29 Gennaio 2017 - Liturgia Anno A: IV Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO

LITURGIA DELLA PAROLA



Prima Lettura  Sof 2,3; 3, 12-13


Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero.
Dal libro del profeta Sofonia


Cercate il Signore
voi tutti, poveri della terra,
che eseguite i suoi ordini,
cercate la giustizia,
cercate l’umiltà;
forse potrete trovarvi al riparo
nel giorno dell’ira del Signore.
«Lascerò in mezzo a te
un popolo umile e povero».
Confiderà nel nome del Signore
il resto d’Israele.
Non commetteranno più iniquità
e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca
una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare
senza che alcuno li molesti.

   



Salmo Responsoriale  Dal Salmo 145


Beati i poveri in spirito.
 

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

    



Seconda Lettura  1 Cor 1, 26-31


Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi


Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.
 


Vangelo  Mt 5,1-12a


Beati i poveri in spirito.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». 


Commento


 “ L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente... Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili...”.
In queste parole pronunciate da Maria con cuore esultante e colmo di stupore e gratitudine per le meraviglie compiute da Dio in lei troviamo splendidamente sintetizzate le letture della liturgia odierna.
Maria è stata appena chiamata “beata” da Elisabetta ispirata dallo Spirito Santo. Elisabetta non poteva sapere nulla di quanto era accaduto in un'umile abitazione di Nazareth; allora non c'erano mezzi veloci di comunicazione. Maria, dopo che l'angelo le aveva annunciato la maternità straordinaria di Elisabetta, “in fretta” si era messa in viaggio, per andare da questa sua parente, che, in età avanzata, aspettava un bambino e aveva senz'altro bisogno di aiuto. E questa donna, al suono della voce di Maria, sente il suo piccolo sussultare di gioia nel suo grembo; anche il suo cuore viene riempito di gioia dalla presenza di Maria; lo Spirito Santo con la sua luce “informa” il cuore di Elisabetta sulle meraviglie avvenute in quella ragazza che le sta di fronte. “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me ?... E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. In quell'istante Maria ha la conferma che veramente Dio ha compiuto in lei il più grande dei prodigi; in quel momento, probabilmente, Maria ha detto di sé: “ Io sono veramente la madre del Messia atteso per secoli dal popolo d'Israele; veramente nel mio grembo è venuto e sta crescendo il Figlio di Dio !”. Come non rimanere senza fiato? Come non avere il cuore pieno di stupore e gioiosa gratitudine? Ed ecco quello splendido canto sgorgare con l' irruenza di una sorgente limpida e fresca, che erompe dalle profondità della terra e irrora gioiosamente ogni deserto, ogni aridità.
“L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva... Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente” esclama quella semplice, sconosciuta ragazza di Nazareth, che, apparentemente con scarsa umiltà, si definisce “umile”. Ma la sua è la vera, più profonda umiltà.
E' opinione abbastanza diffusa che “umiltà” significhi ritenersi “poveri peccatori”, persone senza alcuna capacità. “Non sono niente; non valgo niente” sembra essere la frase per eccellenza dell'umile secondo un'errata idea di umiltà. E quanti danni psicologici, morali e spirituali ha prodotto nei secoli tale concezione di umiltà, concezione che, di fatto, è un'offesa a Dio, la cui potenza creativa opera continuamente in maniera stupenda! Infatti, “Signore, io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda” è la preghiera dell'autore del salmo 138 (v. 14). Non è, forse, la stessa preghiera di lode di Maria? “Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente”. C'è la profonda esultanza della persona veramente umile in queste parole, l'esultanza di stupore e di gratitudine di chi sa che con le proprie forze può fare ben poco, ma che, se mette la sua vita nelle mani di Dio e si lascia lavorare e usare da Lui, potrà vederlo operare con tutta la sua potenza di Dio. Maria con ogni sua fibra, con ogni suo respiro, prima ancora che con le labbra, diceva , in ogni istante, il suo “Sì” a Dio, che in lei e attraverso lei ha potuto compiere le meraviglie più grandi. Splendida questa nostra sorella Maria, la figlia e la rappresentante più umile del genere umano!
“Umiltà” deriva dal latino “humus”, “terra”. L'umile, allora, è colui che non s'innalza orgogliosamente di fronte a Dio, ma che, riconoscendo la verità del suo stato di creatura, ha la profonda consapevolezza di non essere né onnipotente né autosufficiente e di avere, quindi, bisogno del suo Creatore per dare il giusto significato e il giusto valore alla sua esistenza. L'umile riconosce che la sua vita, creata da Dio, a questo suo Creatore appartiene e che, nel vivere quotidianamente tale appartenenza, trova la sua piena realizzazione e la sua gioia. Gli umili sono i “poveri in spirito”, di cui parla Gesù.
“D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”. La beatitudine, per Maria, era certamente anche il riconoscimento che gli uomini, di generazione in generazione, avrebbero dato alle meraviglie compiute in lei dall'Onnipotente, ma era prima di tutto e soprattutto quella gioia profonda che invade ogni fibra dell'essere, quando questo si lascia docilmente plasmare e usare da Dio ed Egli può, così, realizzare i suoi prodigi d'amore.
“Beati... Beati... Beati...”. Quante beatitudini proclama Gesù nel suo discorso della montagna! Ma la prima beatitudine e l'ultima che troviamo nel Vangelo è quella della fede, del credere con totale fiducia nel Dio – Amore rivelato da Gesù.
“E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto” sono le parole conclusive rivolte da Elisabetta a quella giovane donna che lo Spirito Santo le ha fatto riconoscere come la “madre del suo Signore”. E' questa la prima beatitudine pronunciata nel Nuovo Testamento.
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” dice Gesù Risorto agli apostoli durante la sua seconda apparizione alla presenza dell'incredulo Tommaso (Gv 20, 29). E questa è l'ultima beatitudine dei Vangeli.
Credere. Anche questa è una parola di derivazione latina, il cui significato è “avere fiducia, fidarsi, affidare”. Credere, quindi, non è solo ammettere l'esistenza di un Essere superiore, ma fidarsi di questo Essere e affidarsi fiduciosamente a Lui, con la consapevolezza che è nel rapporto profondo, intimo, esistenziale con Lui che io trovo la mia “beatitudine”, la felicità vera, quella gioia data dalla certezza di essere amato da questo Dio, di essere stato pensato da Lui con amore fin dall'eternità, di essere stato da Lui creato con amore, salvato per amore, di essere da Lui guidato con amore in ogni istante e di essere atteso da Lui con amore alla fine della mia vita terrena.
“Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”. E ancora: “ Chi si vanta, si vanti nel Signore”. L'apostolo Paolo scrive tali parole ai cristiani di Corinto (seconda lettura). E in tali frasi troviamo il “segreto” dell'umiltà.
Sì, io sono una creatura e Dio è il mio Creatore. E' Lui l'Onnipotente; è Lui, Lui soltanto,
che può compiere meraviglie. Io sono fragile, debole. Ma questo Dio non si è accontentato di crearmi; ha voluto fare di me un suo figlio teneramente e appassionatamente amato, mi ha riempito di Lui, mi ha donato la sua stessa vita divina. Il cuore esulta di gioiosa gratitudine e io, che mi sento così amato, sono felice, se, pur con le mie fragilità, posso essere utile al mio Dio per la costruzione del suo regno d'amore, permettendogli di realizzare in me e attraverso me le sue meraviglie. Ed è di queste sue meraviglie nella mia vita e attraverso la mia vita che, come Maria nel suo “Magnificat”, mi vanterò.

22 Gennaio 2017 - Liturgia Anno A: III Domenica del Tempo ordinario

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 8,23b – 9,3

Nella Galilea delle genti, il popolo vide una grande luce.
Dal libro del profeta Isaia

In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Mádian.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 26

Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.


Seconda Lettura 1 Cor 1,10-13. 17

Siate tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo».
È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.


Vangelo Mt 4, 12-23 (Forma breve Mt 4, 12-17)

Venne a Cafàrnao perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa.
Dal vangelo secondo Matteo

[ Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». ]
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.


COMMENTO


    “In passato il Signore umiliò la terra di Zabulon e la terra di Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti”. Il profeta Isaia è contemporaneo di questo “passato”; egli sta vivendo in prima persona la tragedia del popolo d’Israele, che, per la sua infedeltà al Signore (ha accolto e adorato le divinità pagane, costruendo altari e facendo sacrifici in loro onore) e a causa di intrighi politici e di alleanze sbagliate fatte dai suoi capi, è caduto sotto il dominio dell’Assiria. Sono proprio i territori di Zabulon e di Neftali i primi a essere conquistati. Ma il profeta vive questo momento tragico come storia del passato; il suo sguardo profetico gli fa “vedere” un futuro glorioso, un futuro talmente certo, che appare già realizzato, come chiaramente si può comprendere dalla frase immediatamente seguente, in cui i verbi sono usati al passato: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.
    Non è un caso che la prima lettura della messa della notte di Natale inizi proprio con queste parole di Isaia. Come non è un caso che Gesù, “quando seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia”.
    A Natale il Messia nasce. Ora, diventato adulto, è pronto a iniziare la missione per cui è venuto in questo mondo.
    La terra di Zabulon e la terra di Neftali sono immagine dell’essere umano dopo il peccato originale, l’essere umano che, sicuro di poter fare a meno del suo Creatore, l’aveva rifiutato, abbandonato, scoprendo immediatamente, con disperazione e angoscia, la tragica verità: senza Dio egli non riusciva più a trovare se stesso, non riusciva più a capire il senso e il valore della sua esistenza; senza Dio, Armonia e Perfezione e Sorgente della vita, egli aveva sperimentato lo squilibrio spirituale, morale, psichico e fisico e la mancanza della vita, cioè la morte.
    Ma, ecco, questo essere umano, disgregato, lacerato, disperato, non viene abbandonato dal suo Creatore; questo essere umano, “che camminava nelle tenebre, ha visto una grande luce”. Il suo Dio, a cui egli non poteva più ritornare con le proprie forze, viene a lui; è il suo Creatore che si china con tutto il suo amore su di lui, che lo prende tra le sue braccia e lo riporta a casa.
    La terra di Zabulon e la terra di Neftali sono ogni persona che viene in questo mondo, perché ogni uomo, ogni donna si portano dentro, come un’eredità genetica spirituale, le conseguenze di quel lontano peccato commesso dalla prima umanità. Ogni essere umano, per il fatto stesso di essere un “essere umano”, se lasciato in balia di se stesso, “cammina nelle tenebre e abita in terra tenebrosa”. Ogni essere umano ha bisogno di una luce che rifulga su di lui.
    “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. E’ stata questa la prima parola che Gesù ha rivolto ai suoi contemporanei, invitandoli ad aprire i loro cuori alla Luce che era Lui, a quella Luce annunciata sette secoli prima dal profeta Isaia. Da allora questa sua parola è rivolta a ogni persona che viene in questo mondo.
    La terra di Zabulon e la terra di Neftali sono anch’io. “Convertiti, perché il regno dei cieli è vicino” dice il Signore anche a me. Sì, questo regno dei cieli è vicino a me, è addirittura dentro di me, perché il “regno dei cieli” è Lui stesso, che, venuto in me nel giorno del mio battesimo, vuole crescere dentro di me in ogni istante con tutta la potenza del suo amore. A me Egli chiede soltanto che io apra, anzi spalanchi, la porta del mio essere a Lui, perché Egli possa entrare dentro di me e compiere in me le meraviglie del suo amore.
    “Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” dice il profeta Isaia, rivolgendosi a Dio.
    Anch’io, “terra di Zabulon e terra di Neftali” visitata dalla potenza d’amore del mio Dio, esulto di gioia e, pur con tutte le mie debolezze e fragilità, desidero camminare nel mondo portando in esso la splendida Luce che è il mio Dio dentro di me.

15 Gennaio 2017 - Liturgia Anno A: II Domenica del Tempo ordinario

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 49, 3. 5-6

Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza.
Dal libro del profeta Isaia

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 39

Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.


Seconda Lettura 1 Cor 1, 1-3

Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!


Vangelo Gv 1, 29-34

Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.
Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».


COMMENTO


    “Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio,… alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata…”. Così Paolo scrive ai cristiani di Corinto (seconda lettura).
    E’ il brano che abbiamo appena letto in questo ritiro spirituale, al quale stiamo partecipando. Neanche il tempo di rileggere le parole di Paolo che… “Tu sei santo?”. La domanda mi fa sobbalzare. Credo che il mio sguardo, dopo un primo lampo di stupore, sia percorso da un interrogativo un po’ risentito. “Forse mi si vuole prendere in giro?”. Ma, ecco, la stessa domanda viene rivolta a tutti i presenti e non sembra che in chi sta ponendo la domanda vi sia la volontà di prendersi gioco di noi. Il suo tono è pacato, lo sguardo è sinceramente interrogativo. “Io santo? Certo che non lo sono! Come posso essere santo con tutti i difetti che mi ritrovo, con tutte le mancanze, di cui, quasi continuamente, devo chiedere perdono a Dio?”. Penso questo e, guardando gli altri, “vedo” nelle loro espressioni la stessa risposta .
    “Io sono santo!”. Tale frase, detta con calma serafica da chi ci ha messi in crisi con quella domanda, provoca un sussulto generale. “Ma che presunzione!” è il pensiero che balena nella mia mente e, quasi certamente, nella mente di tutti.
    La santità. Uno stato, un livello di rapporto con Dio che io ho sempre ritenuto impossibile, quasi “follia”, desiderare di raggiungere da parte di uno come me, un cristiano “normale”, senza infamia e senza lode, che cerca, con tanta fatica, di rimanere fedele a quel battesimo, che ha ricevuto ancora in fasce e che, come una seconda pelle, si trova a vivere, non facendo male a nessuno e sforzandosi di fare un po’ di bene, se ne ha la possibilità. Ecco, questo sono io. E ora questa strana domanda e questa, ancora più strana, affermazione: “Io sono santo”. Ma come si può dire una simile enormità?!
    “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. E ancora: “ Le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi…Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme”.
    Veniamo invitati a leggere attentamente, oltre al brano di Paolo, anche questi due brani, rispettivamente Levitico 19, 2 ed Ezechiele 36, 23b. 25 – 27. Che strano! Non li avevo mai letti! E qui si parla di santità! Ma Dio non si sta rivolgendo a persone particolarmente avanti nel cammino spirituale, sta parlando al popolo d’Israele, a tutto il popolo, non a un’elite. E, che io sappia, il popolo d’Israele non era proprio un modello di fedeltà e di coerenza nel suo rapporto con Dio! Eppure… Dio dice a tutti gli Israeliti: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Allora, l’invito è rivolto a tutti, non soltanto a pochi “privilegiati”, a pochi “addetti ai lavori”, come io ho sempre definito preti, frati e suore. L’invito, allora, non sarà rivolto anche a me?!
    E quell’altra frase che Dio dice al suo popolo (sempre a tutto il popolo, non a una parte):
“… Mostrerò la mia santità in voi… Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi”. Ma qui la prospettiva è completamente diversa da come io l’ho vista finora! Qui la santità è possibile anche per me!
    Io ho sempre pensato che la santità sia una conquista che il credente deve fare con costi tremendi, con fatiche e sofferenze indicibili, con continui sacrifici e rinunce, che solo pochi sono in grado di affrontare. La santità: una vetta altissima, che solo esperti alpinisti dello spirito possono raggiungere, non certamente uno come me, che a malapena riesce a camminare in una pianura dove le difficoltà sono costituite, al massimo, da qualche sasso qua e là, da qualche fosso, da qualche torrentello da attraversare. Come poter soltanto sperare di raggiungere quelle vette?!
    Santità: un’altezza spirituale da vertigine! “No, non è per me, non può essere anche per me” mi sono sempre detto. E mi sono accontentato di ammirare e, se possibile, imitare quei modelli che lungo i secoli la Chiesa ha innalzato agli onori degli altari per far comprendere ai fedeli che, se in un’impresa così ardua ci sono riusciti loro, normalissimi esseri umani, tutti possono riuscirci. Solo che a me è sempre risultato difficile considerare i santi persone “normali”; li ho visti sempre veramente “sugli altari”, irraggiungibili per me.
    Ed ecco, ora, queste parole, rivolte da Dio al suo popolo tanti secoli fa; improvvisamente le sento rivolte anche a me, stanno parlando al mio cuore, lo stanno riempiendo di un’emozione e di un calore mai provati di fronte alla parola di Dio. Dio sta parlando a me in questo momento e io sento tutto il mio essere in un gioioso subbuglio, come se si fosse spalancato davanti a me il portone di un meraviglioso castello, che il padrone di casa mi invita ad esplorare insieme a lui. E sto comprendendo quale è stato, fino ad ora, il mio errore; pensavo che io dovessi conquistare con le mie forze la santità, che io dovessi andare verso Dio, che mi aspettava in cima a quelle vette. Invece… è Lui che viene verso di me; anzi, di più, molto di più: Egli viene in me, mi riempie con il suo Spirito, permea di Sé, della sua vita, ogni fibra del mio essere; Egli, che è il tre volte Santo, Egli che è la Santità, mi riempie della sua santità. E mi rendo conto, allora, che la santità non è una mia conquista, ma l’accoglienza di un dono, del Dono per eccellenza, di Dio stesso, di cui sono diventato figlio al momento del battesimo; é stato lì, in quel momento, che è avvenuto il miracolo della mia santificazione. E non ho dovuto fare altro, per essere santo, che aprirmi al mio Dio, il quale, con infinito amore, veniva dentro di me e attuava la trasformazione della mia natura umana nella sua natura divina. E’ questo lo stupendo, incredibile regalo che Gesù, il Figlio di Dio fattosi uomo, ha ottenuto dal Padre per me, per ogni essere umano, con la sua morte e la sua resurrezione. Nel battesimo io vengo inserito in Lui, come un tralcio alla vite, e, attraverso Lui, divento una cosa sola con il Padre. Ed è lo Spirito Santo, con tutta la sua potenza, che attua tale “immersione” nella vita stessa della Trinità. Dio in me e io in Lui. Io sono santo, perché Egli è Santo. E io continuerò ad essere santo, e ad esserlo sempre di più, nella misura in cui, con disponibilità e docilità, permetterò al mio Dio di vivere in me e di “espandersi” con tutto il suo amore dentro di me, nella misura in cui gli permetterò di togliere dal mio petto il cuore di pietra dell’egoismo e di sostituirlo con il suo cuore di carne, cuore di tenerezza e di perdono, cuore di misericordia e di gioia profonda.
    “Io sono santo” ha detto chi ci ha fatto riflettere sulla santità. Ha ragione; non è né presunzione né follia, la sua; è solo la grata consapevolezza di un figlio di Dio che si sente veramente tale. Ora comincio a capirlo anch’io. E anch’io, con gratitudine e gioioso stupore, sto avvertendo dentro di me la bellezza della santità che mi è stata donata. E finalmente riesco a udire anch’io, nel profondo del mio cuore, la voce del mio Dio: “Sì, figlio mio, tu sei santo, perché sei veramente mio figlio, perché in te Io ho riversato la mia vita, la mia santità. Sii trasparenza di questa mia santità in te, perché le “nazioni”, tutti gli uomini che ancora non mi conoscono, sapranno che io sono il Signore, quando mostrerò la mia santità in te e in tutti gli altri miei figli davanti ai loro occhi. Così tu, amato e santo figlio mio, sarai testimone della mia presenza dentro la storia dell’umanità, dentro la storia di ogni uomo, di ogni donna che io creo con l’infinito amore di un Dio che è Padre”.

08 Gennaio 2017 - Liturgia Anno A: Battesimo del Signore

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 42, 1-4. 6-7

Ecco il mio servo di cui mi compiaccio.
Dal libro del profeta Isaia

Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 28

Il Signore benedirà il suo popolo con la pace.

Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.
Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre.


Seconda Lettura At 10, 34-38

Dio consacrò in Spirito Santo Gesù di Nazaret.
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.
Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti.
Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».


Vangelo Mt 3, 13-17

Appena battezzato, Gesù vide lo Spirito di Dio venire su di lui.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».


COMMENTO


    “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio” troviamo scritto nel brano del profeta Isaia. Queste parole, che Dio indirizza al suo popolo cinque secoli prima di Cristo, si riferiscono al Messia, a quel “Servo di Jahve”, che, in un rapporto privilegiato, profondo, unico con Dio, sarebbe stato il Salvatore di Israele e di tutti gli uomini.
    Dio, nel brano che costituisce la prima lettura, annuncia le caratteristiche di questo suo Servo, caratteristiche di dolcezza, di mitezza, di pazienza, di fortezza. Un Servo che sarà egli stesso “alleanza” fra Dio e il suo popolo e “luce delle nazioni”, che avrà la missione e il potere di “aprire gli occhi ai ciechi”, di “far uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”.
    Ciechi, prigionieri, abitatori di tenebre. Ecco la situazione esistenziale di tutti gli uomini dopo il peccato originale. L’essere umano, nel suo folle desiderio di diventare come Dio (“Diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” aveva detto il serpente tentatore ad Adamo ed Eva, per convincerli a mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, conoscenza considerata prerogativa esclusiva di Dio), aveva rinnegato il proprio Creatore, non volendo più riconoscere la propria condizione di creatura; aveva voluto lasciare la casa di Dio, chiudendosi la porta alle spalle. Ma questo essere umano, nell’attimo in cui aveva abbandonato Dio, rompendo ogni rapporto con Lui, si era visto “nudo”, aveva ,cioè, fatto la tremenda scoperta della sua verità esistenziale: senza Dio aveva perso tutto: la sua identità, la sua dignità, il senso della vita. E aveva fatto la tragica esperienza della mancanza di Dio, di ciò che non è Dio. Dio è perfezione, armonia; l’essere umano, staccandosi da Lui, aveva fatto l’esperienza dello squilibrio totale, a livello spirituale, psicologico, fisico. Dio è Vita, è la sorgente della vita; l’essere umano, come un ruscello che si stacca dalla sua sorgente, aveva fatto l’esperienza della morte. E, a tutto ciò, si aggiungeva la disperata consapevolezza di non poter far nulla, con le proprie forze, per poter tornare indietro, per poter ricostituire il rapporto con il proprio Creatore, necessario per vivere con pienezza la propria esistenza.
    Ma Dio amava troppo questa sua creatura, per abbandonarla in balia della sua disperazione. Mentre, con dolore, guardava l’essere umano allontanarsi da Lui, già costruiva, nel suo infinito, tenace amore, un progetto di salvezza. “Vuoi aiutarmi a salvare questi miei poveri figli?” ha chiesto Dio Padre al Figlio. “Sì, con gioia” ha risposto il Figlio, nel suo infinito amore per il Padre e per gli uomini, ben sapendo che quel “Sì” gli sarebbe costato sangue.
    “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” sono le parole che il Padre pronuncia, appena Gesù esce dal fiume Giordano, dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni il Battista. Con quale gioia Dio Padre deve avere detto queste parole, mentre faceva scendere con potenza lo Spirito Santo su quel suo Figlio innocente, che gli avrebbe permesso di salvare gli altri suoi figli, che innocenti non erano! C’era il compiacimento di un Padre che vedeva un Figlio in totale comunione d’amore con Lui, un Figlio che desiderava solo ciò che Egli desiderava. Che cosa un padre può volere di più da un figlio?
    Un Innocente si avvicina a Giovanni il Battista per ricevere il battesimo di penitenza. Giovanni ha una luce interiore. Comprende bene chi è Colui che gli sta chiedendo di essere battezzato. E ha la profonda consapevolezza di essere lui, invece, ad aver bisogno di essere battezzato da quell’Uomo che gli sta davanti. Ma Gesù lo convince. E’ importante quel gesto. Giovanni da tempo annuncia ormai imminente la realizzazione delle promesse di Dio ed esorta il popolo al pentimento dei propri peccati, pentimento, di cui il battesimo (cioè l’ “immersione”) nelle acque del Giordano diventa segno visibile. Gesù accetta di fare tale gesto, pur essendo senza peccato, volendo dimostrare di essere, Egli, l’Innocente, solidale con l’umanità peccatrice. Con questo gesto Gesù comincia a portare su di sé i peccati degli uomini. “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” dirà Giovanni il Battista il giorno dopo, vedendo ancora Gesù (Gv 1, 29). E sulla croce Gesù veramente, come una calamita, attirerà su di sé tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. E darà origine a una nuova umanità, a una nuova famiglia di Dio.
    Il battesimo di Giovanni era solo un battesimo di penitenza, un battesimo, cioè, che indicava, in chi lo riceveva, soltanto un desiderio di purificazione, una volontà di cambiamento di vita; ma tale battesimo solo “di acqua” non rendeva “nuovo” l’essere umano, non gli dava una natura nuova, non lo cambiava nella sua essenza.
    Invece… “Io ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Appena vengono pronunciate tali parole, accompagnate dal gesto del versamento dell’acqua sul capo del battezzando, avviene un miracolo straordinario: la persona che sta ricevendo il sacramento del battesimo non solo viene liberata dal peccato originale, ma viene riempita della presenza di Dio per mezzo dello Spirito Santo e Dio permea di sé, della sua divinità, la persona e la divinizza. Da tale momento il battezzato non è più soltanto una creatura umana, ma un figlio di Dio, poiché la vita stessa di Dio “circola” in lui; da tale momento egli può chiamare Dio con lo splendido, dolcissimo nome di “Abbà”, “papà” in aramaico.
    “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Così vengono riferite le parole del Padre dagli evangelisti Marco e Luca nel riportare lo stesso episodio. Il Padre parla direttamente a suo Figlio, ma si fa sentire anche dai presenti. A questi il Padre sta dicendo: “Di questo mio Figlio Io, Dio Padre, mi compiaccio, perché Egli è una cosa sola con Me, perché il suo cuore batte all’unisono con il mio, perché Egli desidera solo ciò che Io desidero e la sua volontà è in perfetta sintonia con la mia”.
    Ecco, così era Gesù, il Figlio di Dio. Così dovrebbero essere ogni uomo e ogni donna che, col sacramento del battesimo, sono diventati figli di Dio. Come sarebbe bello se Dio Padre potesse, di ogni suo figlio, di ogni sua figlia, dire con gioia: “Anche di te mi compiaccio, figlio mio, figlia mia”!

06 Gennaio 2017 - Epifania del Signore


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 60,1-6

La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal libro del profeta Isaia

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 71

Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.


Seconda Lettura Ef 3,2-3a.5-6

Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.


Vangelo Mt 2,1-12

Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

Dal vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.


COMMENTO


    Dio, per mezzo di una stella, conduce degli uomini pagani alla presenza di suo Figlio fattosi uomo. Quegli uomini, consapevoli di essere giunti di fronte a quel Bambino attraverso segni straordinari, “ si prostrarono e lo adorarono”, riconoscendo in Lui una regalità divina. 
    Nel manifestare (“epifania”, in greco, significa, infatti, “manifestazione”) a dei pagani la divinità di quel Bambino, Dio rivela il suo amore per tutti gli uomini. Come scrive l’apostolo Paolo (seconda lettura ), il “mistero” di Dio, cioè il progetto di Dio riguardante l’umanità, è stato manifestato, “rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito”. E tale progetto, che nasce dall’infinito amore che Dio ha per ogni persona, è che anche le “genti”, cioè i popoli non appartenenti al popolo ebraico, “sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità” (la salvezza), a cui erano stati chiamati gli Ebrei, “a formare lo stesso corpo”, cioè un’unica realtà, l’unica famiglia di Dio, “e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”, cioè della “buona notizia” annunciata e realizzata da Gesù. Paolo, in maniera concisa, ma molto chiara, spiega il meraviglioso progetto d’amore di Dio: ogni uomo e ogni donna, a qualsiasi razza, popolo, nazione appartengano, sono chiamati a essere figli di Dio e a vivere la loro vita come tali, costruendo, insieme agli altri, il regno di Dio, regno di pace, di concordia, di giustizia, di serenità, di gioia. Questo è il desiderio più profondo del cuore di Dio. E Dio si aspetta che questo sia anche il desiderio più profondo del cuore dell’essere umano.
    Forse è stato proprio questo desiderio, magari inconsapevole, a condurre i Magi, guidati da una stella che brillava sopra di loro, fino al luogo in cui si trovava il Bambino Gesù. Anche in loro, pur pagani, vi era una forte attesa di un Salvatore. “Essi provarono una gioia grandissima” al vedere la stella fermarsi sopra il luogo dove si trovava il Bambino; entrati, si prostrarono davanti a quel piccolo e lo adorarono. 
    I Magi. Fanno molto riflettere questi uomini, saggi, ma pagani, che si inchinano, con il cuore pieno di esultanza, davanti a un bambino. Una grandissima gioia vibrava nei loro cuori: la “meta” tanto desiderata era lì, davanti ai loro occhi; non dovevano cercare altro. 
    E una grandissima gioia dovrebbe essere il sentimento più naturale e profondo del cristiano, in quanto per il credente l’ “epifania” del Signore è in ogni istante della sua esistenza, perché da quella lontana notte di duemila anni fa l’essere umano, se lo vuole, può essere pieno di luce, di quella Luce che è Cristo; Egli, infatti, come luce è venuto nel mondo e brilla dentro la vita di chi Lo ha accolto, di chi crede in Lui.
    Anche oggi, come sempre, “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni” (prima lettura), perché anche oggi molti cuori sono lontani da Dio, molti uomini vivono come se Dio non esistesse. “Ma – annuncia il profeta Isaia al popolo d’Israele – su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti (i popoli) alla tua luce”.
    Tale annuncio si è realizzato e continua a realizzarsi nella Chiesa di Cristo. Al di là di tutti i limiti umani che la Chiesa, famiglia di Dio costituita da uomini salvati, ma pur sempre fragili e deboli nella loro umanità, presenta, essa brilla della luce di Gesù, il quale, un giorno, di Sé ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” 
(Gv 8, 12); e ancora: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12, 46); e dei credenti in Lui, cioè della Chiesa, ha detto: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,14 – 16). Ecco la meravigliosa missione dei figli di Dio: farsi riempire della luce di Gesù e donare tale luce a tutta l’umanità, perché ogni uomo e ogni donna hanno diritto a sapere che su ciascuno di loro Dio ha uno splendido progetto d’amore e che, se essi accettano tale progetto, Dio stesso entrerà dentro di loro con tutto il suo amore, con tutta la sua pace, con tutta la sua gioia e darà un senso pieno alla loro esistenza.