26 Marzo 2017: Liturgia Anno A: IV Domenica di Quaresima

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura 1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a

Davide è consacrato con l’unzione re d’Israele.
Dal primo libro di Samuele

In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 22

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Seconda Lettura Ef 5, 8-14

Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto:
«Svégliati, tu che dormi,
risorgi dai morti
e Cristo ti illuminerà».


Vangelo Gv 9, 1-41 (forma breve: Gv 9,1.6-9.13-17)

Il cieco andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Dal vangelo secondo Giovanni

[ In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, [ sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». ] Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». ] Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. ] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».


COMMENTO


    “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire, sulle nubi del cielo, uno simile a un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7, 13 – 14). E’ una visione avuta dal profeta Daniele, i cui protagonisti sono un “vegliardo” (Dio) e “uno simile a un figlio di uomo” (il Messia atteso dal popolo d’Israele). E’ a tale visione che Gesù fa spesso riferimento, quando, parlando della sua persona, si definisce “Figlio dell’uomo”; e, nel definirsi con tale espressione, Egli sta dicendo ai suoi ascoltatori: “Sono io quell’ ‘uno simile a un figlio di uomo’ di cui parla il profeta Daniele, sono io colui al quale il Vegliardo-Dio dà potere, gloria e regno e il cui ‘potere è un potere eterno, che non finirà mai e il cui regno non sarà mai distrutto’; sono io il Messia che tutti attendete da secoli!”. Ed è questo che Gesù dice al cieco nato, che Egli ha da poco guarito e che è stato appena cacciato fuori dai Giudei, i quali, con il cuore indurito dalla presunzione e dalla cecità spirituale, non vogliono accettare quel segno straordinario che Gesù ha dato della sua divinità.
    Quell’uomo non ha avuto ancora l’occasione di conoscere personalmente colui che lo ha guarito (Gesù, infatti, dopo avergli spalmato sugli occhi del fango fatto con la sua saliva, lo aveva mandato a lavarsi nella piscina di Siloe). Ed ecco, ora sono di nuovo l’uno di fronte all’altro. Gesù sa della coraggiosa testimonianza che quest’uomo ha dato di Lui e gli vuole donare una luce ancora più grande, ancora più profonda e importante. Come alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe, ora Egli vuole rivelare la sua identità anche a quest’uomo semplice, ma capace di affrontare il giudizio dei farisei per testimoniare la verità. “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” gli chiede. Un Ebreo sapeva bene che cosa significasse tale espressione. “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Quale attesa di luce, quale attesa di verità c‘è in quel cuore! Quell’uomo ha ogni fibra del suo essere pronta ad accogliere il Messia tanto atteso. E Gesù è felice di manifestarsi apertamente: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. E quegli occhi appena apertisi alla luce del sole ora possono scorgere la “Luce del mondo”, come Gesù stesso si definisce nell’odierno brano evangelico. Come è solito fare, Gesù parte da una situazione concreta, molto umana, per sollevare i suoi interlocutori alle altezze vertiginose dello spirito.
    E, ancora una volta, Gesù si rivela a una persona socialmente irrilevante, di poco conto, ma desiderosa, nella sua umile ignoranza, di verità, mentre pronunzia tremende parole di condanna nei confronti di quei farisei che, nella loro orgogliosa presunzione, ritengono di essere detentori della verità e di non avere, quindi, alcun bisogno di cercare un’altra verità. E Gesù li definisce “ciechi”. La loro è la cecità più grave e più profonda, quella determinata dalla presunzione intellettuale, che inevitabilmente conduce a una cecità dello spirito, chiudendo la mente e il cuore dell’essere umano a ogni ricerca della verità.
    Dio, per compiere le sue meraviglie, non ha bisogno di persone particolarmente intelligenti, colte e con doti straordinarie. “… Non conta quel che vede l’uomo; infatti, l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” dice Dio a Samuele, da Lui inviato a casa di Iesse, per ungere re d’Israele uno dei suoi figli (prima lettura). E la scelta di Dio cade sul più giovane, che “stava a pascolare il gregge”. Davide riceve lo spirito del Signore, che lo renderà capace di guidare con saggezza e con potenza il popolo d’Israele.
    Dio ha solo bisogno di cuori docili e disponibili, che Lo accolgano e Lo lascino agire con tutta la sua potenza d’amore.
    Io, essere umano, che vengo in questo mondo, sono un “cieco dalla nascita”. Ma, ecco, l’acqua del battesimo mi libera dalla “cecità”. Dio viene in me; mi illumina con la sua luce di verità e di vita. E io posso, così, diventare nel mondo luminosa trasparenza di Lui.

19 Marzo 2017 - Liturgia Anno A: III Domenica di Quaresima

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Es 17, 3-7

Dacci acqua da bere.
Dal libro dell‘Èsodo.

In quei giorni, il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?».
Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!».
Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà».
Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 94

Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».


Seconda Lettura Rm 5, 1-2. 5-8

L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.


Vangelo Gv 4, 5-42 (forma breve: Gv 4,5-15.19-26)

Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
Dal vangelo secondo Giovanni

[ In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». ] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, [ vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». ]
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
[ Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». ]


COMMENTO


    “Dammi da bere”. Grande deve essere stata la sorpresa di quella donna samaritana nel sentirsi fare tale richiesta da uno sconosciuto e, per di più, un Giudeo, un “nemico”, quindi, una persona con la quale non si poteva avere un rapporto pacifico, dal momento che i Giudei ritenevano i Samaritani degli “eretici”, traditori della religione ebraica.
    E’ stanco Gesù, “affaticato per il viaggio”, e siede presso il pozzo di Giacobbe. E’ l’ora più calda del giorno ed egli probabilmente è impolverato (allora poche strade erano lastricate), accaldato, assetato. L’acqua è lì, in fondo a quel pozzo, ma Gesù non ha un recipiente per prenderla. Ed ecco una donna avvicinarsi. E’ un’ora poco usuale per attingere l’acqua. E’ all’incirca mezzogiorno, il caldo deve essere soffocante. Solitamente si sceglie un’ora più fresca per uscire di casa e affrontare la fatica di attingere l’acqua da un pozzo profondo. Ma quella donna probabilmente non vuole incontrare le altre donne del paese. Non deve avere una buona fama; non può avere una buona fama una donna che ha avuto sei uomini. Meglio evitare sguardi carichi di disprezzo.
    “Dammi da bere”. E’ Gesù che prende l’iniziativa di un dialogo tra i più belli presenti nei Vangeli, un dialogo che è un crescendo di intensità e di profondità.
    La donna si stupisce di quella richiesta, ma non sa che cosa quello sconosciuto ha in serbo per lei. Ciò che le verrà donato sarà per lei motivo di uno stupore infinitamente più grande. A lei, che, con meraviglia, esclama: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”, Gesù risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”.
    Quante volte avremo letto queste parole rivolte da Gesù alla Samaritana e, magari, non le abbiamo mai notate, non ne siamo mai rimasti colpiti! A volte, infatti, forse leggiamo il Vangelo come un qualcosa di scontato, un qualcosa di talmente conosciuto (lo abbiamo sempre ascoltato, fin da bambini, durante la messa, al catechismo, … !), da ritenere che esso non ci possa dire niente di nuovo, niente di più di ciò che noi già sappiamo. Eppure, se per un attimo immaginiamo la scena che Giovanni descrive fin nei minimi particolari, se con la fantasia ci proiettiamo indietro di duemila anni a quel pozzo di Giacobbe di quella città della Samaria, forse scopriremo, con nostro grande stupore, di quanto siano incredibili le parole dette da Gesù a quella donna, che, giustamente, non ne comprende il significato (forse noi l’avremmo compreso?) e che, quindi, mantiene il discorso su un piano molto “terreno”. A Gesù, il quale, volendo andare in profondità dentro quel cuore di donna che Egli sa essere assetato di verità, le dice “Chiunque beve di quest’acqua (l’acqua del pozzo) avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”, la Samaritana non sa rispondere altro che “Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Ha risolto uno dei suoi problemi più pesanti. Non sarà più costretta a venire al pozzo nell’ora più calda, per evitare pettegolezzi e sguardi accusatori. La sua vita sarà un po’ più tranquilla. Il colloquio, a questo punto, per lei è concluso. Invece… “Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui” le dice Gesù. Ora il discorso comincia a vertere su qualcosa di personale. La donna risponde con sincerità: “Io non ho marito”. E Gesù: “Hai detto bene: ‘Io non ho marito’. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”. Quale deve essere stata la sorpresa nel sentirsi dire, da uno sconosciuto, la verità sulla sua vita! Come poteva sapere quell’uomo addirittura il numero degli uomini con cui aveva convissuto? Solo un uomo di Dio poteva avere tale dono. “Signore, vedo che tu sei un profeta!” esclama quella donna e, improvvisamente, anche lei fa volare alto il dialogo con Gesù; parla del luogo in cui adorare Dio, parla del Messia che deve venire: “… Quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. Ecco la vera sete! Ecco dove Gesù voleva condurre quel cuore! Voleva farlo giungere al riconoscimento del suo bisogno più vero e più profondo, il bisogno della Verità, il bisogno di avere consapevolezza del senso e del valore della propria esistenza, il bisogno di conoscere la strada su cui camminare con sicurezza, senza sbandamenti, il bisogno della vera acqua, quella che disseta l’arsura del cuore, portando in esso la freschezza e la limpidezza di una vita nuova, nella quale orizzonti sconosciuti si aprono all’improvviso in tutta la loro bellezza. Niente è perduto, allora. Tutto può ricominciare. E a quel cuore ormai completamente aperto alla Verità, Gesù fa un dono incredibile. A lei, che gli ha appena detto: “Quando il Messia verrà, ci annuncerà ogni cosa”, Egli risponde: “Sono io, che parlo con te”. E il cuore della donna si ferma. Il Messia atteso da secoli è lì, davanti a lei, sta parlando con lei, proprio con lei, con cui nessuno osa parlare per non “sporcarsi”; il Messia, l’Atteso del popolo d’Israele, si è appena rivelato a lei, proprio a lei! Il cuore sta impazzendo di gioia, di una gioia incontenibile, che deve essere condivisa. L’acqua da attingere non ha più importanza; ben altra acqua ormai è stata attinta dalla sua anima! La brocca viene lasciata lì, sul bordo del pozzo. E’ la brocca di un passato da dimenticare, da lasciarsi alle spalle. Grida di gioia prorompono dal suo petto, mentre ella corre verso il paese ad annunciare che il Messia è arrivato, che non bisogna più attendere. E tutti coloro che, conoscendola, l’hanno fin qui disprezzata, ora, quasi “trasformati” anch’essi dalla gioia che emana da lei, credono alle sue parole e accolgono Gesù. Una nuova vita si spalanca anche per loro. La conoscenza e l’esperienza di Gesù fatta da quella donna diventa anche la loro conoscenza e la loro esperienza. La fede piena di gioia e di entusiasmo è meravigliosamente “contagiosa”!
    Gesù, Tu un giorno hai detto : “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7, 37 – 38). Con questa bellissima immagine Tu stavi annunciando lo Spirito Santo, lo splendido dono che, nel battesimo, avrebbero ricevuto i credenti in Te.
    Anch’io, come quella Samaritana, ho sete profonda di Te, Signore, e desidero con tutto il cuore che ogni fibra del mio essere sia imbevuta della tua acqua, acqua di dolcezza e di tenerezza, acqua di misericordia e di perdono, acqua di bontà e di bellezza.
    Rendimi, Signore, un canale ampio e sgombro, pieno della tua acqua, un canale senza pietre, senza scorie, senza nulla che possa opporre la pur minima resistenza al fluire della tua acqua in me; scorri, attraverso me, nel mondo e raggiungi gli altri tuoi figli che, assetati magari senza saperlo, attendono nell’afa pesante della loro esistenza il refrigerio di Te.

12 Marzo 2017 - Liturgia Anno A: II Domenica di Quaresima

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Gn 12, 1-4a

Vocazione di Abramo, padre del popolo di Dio.
Dal libro della Gènesi

In quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 32

Donaci, Signore, la tua grazia: in te speriamo.

Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.


Seconda Lettura 2 Tm 1, 8b-10

Dio ci chiama e ci illumina.
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.


Vangelo Mt 17, 1-9

Il suo volto brillò come il sole.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».


COMMENTO


    “Di te dice il mio cuore: ‘Cercate il suo volto’. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto”. In queste parole dell’antifona d’ingresso, tratte dal salmo 27, non troviamo forse espresso quel profondo bisogno di verità che ogni essere umano si porta dentro, anche quando non ne è consapevole, quel bisogno di verità su se stesso, sul significato della propria esistenza e su ciò che, dopo la morte, lo attende? Sono, queste, le cosiddette domande esistenziali, le più importanti alle quali ogni persona deve rispondere. Le risposte a tali domande, infatti, costituiscono le fondamenta su cui ogni uomo e ogni donna costruiscono tutta la loro vita. Non è forse l’esigenza profonda di trovare tali risposte quel desiderio insopprimibile di felicità, che l’uomo ricerca spesso in tante cose, le quali, una volta ottenute, lasciano nel cuore un senso di desolante insoddisfazione?
    L’essere umano, che percepisce la sua vita come un qualcosa di fragile e di caduco, sente un profondo bisogno di stabilità per vivere, una stabilità che egli trova solo se ha un punto di riferimento fermo, solido, che gli dia sicurezza. In ogni tempo l’uomo ha cercato tale punto di riferimento e spesso ha creduto di averlo trovato in “prodotti” della sua intelligenza (ideologie, progresso scientifico e tecnologico, …), ma sempre ne è rimasto deluso, ponendosi, quindi, alla ricerca di altri punti di riferimento.
    “Il tuo volto, Signore, io cerco”. E’ questo, di fatto, il desiderio più intimo e più vero dell’essere umano. Egli, creato a immagine e somiglianza di Dio, ricerca il “volto” di Dio per conoscere il proprio “volto”. E tante inquietudini, che l’essere umano sente nel profondo più profondo del suo cuore e di cui spesso non riesce a comprendere il motivo, sono originate proprio da questo bisogno di conoscere Dio, le sue caratteristiche, il suo “volto”, perché il concetto che io, uomo, avrò di me stesso, il “volto” del mio essere, è determinato dall’idea che io ho del Dio in cui credo, un Dio a cui sento di legare profondamente la mia vita, in una intima, vitale relazione, che qualifica la mia esistenza e le dà un preciso significato.
    Dio, creando l’essere umano, gli ha messo dentro una profonda “nostalgia” di Lui. Anche l’uomo più primitivo percepisce, pur se in maniera vaga e confusa, tale esigenza. Da qui, l’esistenza delle varie religioni, dalle più semplici alle più complesse, poiché l’uomo è l’essere religioso per eccellenza, l’essere, cioè, che, per vivere, deve dare un senso pieno alla sua esistenza attraverso la fede, anche se, a volte, questa è costituita da una semplice ideologia costruita dall’uomo stesso, per dare uno scopo ai suoi giorni.
    “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”.
    Ed ecco, verso il 1850 a. C., Dio comincia a svelare direttamente il suo volto all’umanità attraverso l’alleanza che Egli, con una incredibile iniziativa d’amore, realizza con Abramo, un uomo pagano, ma capace di una fede straordinaria. E al popolo d’ Israele, discendenza di Abramo, Dio si svela progressivamente fino a giungere alla rivelazione completa di Sé attraverso suo Figlio Gesù. In Lui Dio ha mostrato pienamente il suo volto. “Chi ha visto me ha visto il Padre” risponde Gesù all’apostolo Filippo, che, durante l’ultima cena, gli aveva detto: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14, 8 – 9). “Basto io – sembra dire Gesù -, perché io rispecchio e manifesto in maniera totale il volto di Dio”. Allora, niente più c‘è ancora da cercare. Dio, nel suo Figlio, si è pienamente svelato al cuore dell’uomo.
    La trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor costituisce uno dei momenti più belli della manifestazione che Dio fa di Se stesso all’umanità. Tale rivelazione avviene in un momento particolarmente drammatico per i discepoli. Gesù ha da poco annunciato loro la sua passione e la sua morte. Il terrore ha invaso i cuori di quei poveri, deboli uomini. E l’annuncio, che Gesù ha fatto, della resurrezione che seguirà alla sua morte non ha tolto dal cuore degli apostoli il macigno d’angoscia che l’opprime. Gesù, che ben comprende lo stato d’animo dei suoi, vuole confortarli, vuole dare loro coraggio. Prende con Sé tre discepoli e li conduce sul monte Tabor, dove essi assistono a qualcosa d’incredibile. Gesù si trasfigura davanti a loro, mostrando la gloria e lo splendore della sua divinità. E’ un dire ai suoi apostoli: “Non temete. Guardate chi io sono. Non fermatevi, quando sarà il momento, a questo mio corpo che vedrete, a brandelli, appeso a una croce e poi, privo di vita, messo in un sepolcro. Guardate oltre, guardate a ciò che io sono e sarò per l’eternità”.
    “Guarda oltre – dice Gesù a ogni persona che, spesso con angoscia, affronta le difficoltà della vita e pensa alla fine della sua esistenza -, guarda con gli occhi della fede e vedrai, nella tua vita, una verità, una realtà profonda, che, con la tua mente, non riusciresti nemmeno lontanamente a immaginare”.
    “Guardate a lui (Dio) e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti” troviamo scritto al v.6 del salmo 34. Non è, questa, una semplice esortazione che Dio, attraverso l’autore del salmo, fa a ogni uomo, a ogni donna; è un’affermazione categorica, è un’assicurazione. Dio mi sta dicendo che io, in Lui, avrò sempre luce sul mio cammino e sicurezza nel mio agire, che la mia vita avrà sempre un punto di riferimento ben preciso, stabile, una solida roccia, su cui poter costruire la “casa” della mia vita con l’assoluta certezza che le tempeste esistenziali più violente non potranno mai abbatterla, mai farla crollare.
    Né questa mia vita è destinata a svanire nel nulla dopo la morte. Nella trasfigurazione di Gesù vi è anche la mia trasfigurazione. Anche il mio corpo, dal tempo ridotto in polvere dopo la morte fisica, sarà, un giorno, da Dio “ricostruito”; verrà, così, ricostituita l’unità del mio essere e tutto di me, alla fine dei tempi, sarà pienamente salvato. Il mio destino finale è un’eternità di pienezza di vita e di gioia con il mio Dio.
    “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”.
    In Gesù Dio mi ha mostrato il suo volto meraviglioso, un volto di misericordia, di tenerezza, di benevolenza, un volto di Padre, con il quale io mi posso rapportare come figlio, in una relazione di comunione, che è un dono suo e che io accolgo con gioiosa gratitudine, una relazione profonda d’amore, che dà un respiro infinito ed eterno alla mia esistenza.
    E so che, ogniqualvolta dal mio intimo salirà al Padre la preghiera “Il tuo volto, Signore, io cerco. Mostrami il tuo volto”, Egli, indicandomi suo Figlio Gesù, mi risponderà: “Eccomi, sono qui”.

05 Marzo 2017 - Liturgia Anno A: I Domenica di Quaresima

LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Gn 2, 7-9; 3, 1-7

La creazione dei progenitori e il loro peccato.
Dal libro della Gènesi

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 50

Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.


Seconda Lettura Rm 5, 12-19 (forma breve: Rm 5, 12.17-19)

Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

[ Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato…. ]
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. [ Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. ]


Vangelo Mt 4, 1-11

Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.


COMMENTO


    Non sto bene. Sento che nel mio fisico qualcosa non va. Decido di andare dal medico; egli potrà individuare la mia malattia e prescrivermi le medicine efficaci, perché io possa guarire.
    Quaresima: un tempo particolare che ogni anno la Chiesa propone a me credente per un cammino spirituale che da una situazione di “malattia” mi dovrà far arrivare alla “guarigione”. Le letture che la liturgia mi presenta all’inizio di tale cammino mi fanno comprendere il perché vi sia la necessità di affrontare questo percorso abbastanza lungo e impegnativo.
    Non sto bene. Io, essere umano, sperimento in me, esistenzialmente, un malessere profondo. Sento nel mio cuore l’esigenza di amare, di dare, con la mia vita, serenità e gioia agli altri, eppure devo quotidianamente lottare con me stesso per vincere un’altra forza, negativa, che mi vuole fare vivere egoisticamente, come se gli altri non esistessero o, addirittura, come se fossero “oggetti” da usare per il mio tornaconto personale; sperimento la sofferenza, mentre tutto in me anela alla felicità; sperimento la morte come ineluttabile traguardo di questa mia vita terrena, mentre ogni mia fibra “urla” il suo desiderio di pienezza e di perennità di vita.
    Io, essere umano, sto male. Perché?
    Ed ecco, la parola di Dio, nella prima lettura, mi dà la risposta.
    “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. L’autore del racconto (i primi capitoli della Bibbia non hanno assolutamente la pretesa di costituire “storia”; sono un insieme di racconti aventi soltanto il valore di “parabole”, per far comprendere al popolo d’Israele, popolo di pastori e di agricoltori, popolo semplice, quindi, di scarsa capacità speculativa, certi concetti fondamentali riguardanti l’uomo ) vuole affermare una verità dell’essere umano: egli è una creatura, un essere creato da Dio per un suo libero atto di volontà e d’amore. L’uomo, allora, non è un essere autonomo, non è né eterno né onnisciente né onnipotente; la sua esistenza “scaturisce” dal cuore di Dio e a Lui è profondamente legata; solo in Dio l’essere umano trova il senso della sua vita, solo da Lui riceve la luce del suo pensare e del suo agire. Questa è la condizione della creatura. E guai se la creatura non riconosce tale verità! Purtroppo, nella storia dell’umanità è avvenuto proprio questo. E’ iniziato, così, il calvario dell’essere umano, che ha portato, poi, al calvario del Figlio di Dio.
    E tutto “per invidia del diavolo”, come troviamo scritto nel libro della Sapienza: “Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità (l’immortalità); lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo” (Sap 2, 23 – 24a ). Il diavolo, creatura anche lui, l’angelo più bello e più intelligente (“Lucifero” vuol dire “portatore di luce”), che non ha voluto accettare la sua condizione di creatura, che non solo non ha voluto riconoscere Dio come suo creatore, ma, addirittura, ha desiderato essere Dio egli stesso. E, ribellandosi al suo Creatore, ne ha voluto diventare il rivale. L’odio verso Dio e verso tutto ciò che Dio ama anima ogni suo pensiero, ogni sua azione. Egli mette tutto il suo potere di male al servizio di questo suo odio; il suo scopo è distruggere tutto ciò che Dio costruisce. E quale creatura Dio ama più di tutte? Nel racconto della creazione, di ogni elemento creato (astri, acque, animali, piante) si dice che “Dio vide che era cosa buona” (Gen 1, 25); ma, quando si giunge alla creazione dell’essere umano, si dice che per Dio “era cosa molto buona” (Gen 1, 31). L’essere umano, allora, il capolavoro di Dio, la sua creatura prediletta, diventa per il diavolo l’obiettivo primario da distruggere. Per raggiungere tale obiettivo, però, occorre mettere questa creatura contro Dio. L’arma diventa quella stessa che aveva spinto lui contro il suo Creatore: l’orgoglio, il folle desiderio di innalzarsi fino a Dio, di diventare, lui, creatura, come il suo Creatore.
    Conoscere il bene e il male: prerogativa esclusiva di Dio; solo in Dio, infatti, vi è la verità nella sua essenza; anzi, è Dio stesso “Verità”. Per questo Gesù, il Figlio di Dio, nel dare una definizione di Sé, ha potuto affermare: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Ecco il motivo della proibizione fatta da Dio ad Adamo ed Eva. Era un atto di fiducia che Egli chiedeva loro. “Avete tutto per essere felici. Fidatevi di me, del mio amore; fidatevi della mia parola” sembrava dire Dio a questa coppia umana, nel momento in cui l’aveva posta nel giardino dell’Eden, di cui l’uomo e la donna potevano mangiare qualunque frutto, escluso i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Fidarsi del suo amore. Ecco l’unica richiesta che Dio aveva fatto a questa sua creatura. Per amore Dio aveva creato l’essere umano e desiderava che l’amore fosse alla base del suo rapporto con questa creatura. Ma non vi può essere un rapporto d’amore se non nella libertà. Dio, nel creare l’essere umano, non vuole farne un burattino da muovere a suo piacimento; vuole instaurare con questa sua creatura particolarmente amata una comunione profonda, un dialogo d’amore, che può esistere solo in una situazione di reciproca libertà. All’amore si può rispondere con amore solo se si è liberi di rispondere. L’amore vero non obbliga mai, non incute mai paura, ma lascia sempre la libertà della risposta. Dio ha amato l’essere umano a tal punto da lasciargli la libertà anche di rifiutarlo, di rinnegarlo come suo Creatore! Quale amore, infinito e permeato di delicatezza e di rispetto, è in questo nostro splendido Dio!
    Libertà: grandezza dell’essere umano, ma anche tremenda responsabilità! E Satana gioca le sue diaboliche carte. E’ astuto, molto astuto (“Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto” dice il racconto della Genesi) e sa quali corde del cuore umano toccare per fare capitolare quei due ingenui, che possono opporsi a lui soltanto fidandosi della parola di Dio. Ma essi non si fidano. Riferendosi ai frutti dell’albero “proibito”, Satana dice ad Adamo ed Eva: “Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. E “allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”. Ma non è tanto il frutto in sé desiderabile; è veramente desiderabile ciò che esso rappresenta: la possibilità di diventare come Dio. La capitolazione dell’essere umano avviene nelle profondità del suo cuore. Lucifero, il “portatore di luce”, nel mettersi contro Dio, aveva perso la sua felicità. Nella sua rabbia e nel suo odio ora egli accomuna a sé l’essere umano, puntando sullo stesso orgoglioso desiderio che aveva, di fatto, distrutto lui!
    Essere come Dio. Può una creatura nutrire un sogno più grande? Diventare dio di se stessi, della propria vita; gestire la propria esistenza decidendo da sé che cosa è bene e che cosa è male; non dover mai rendere conto a nessuno del proprio operato… Questa è l’onnipotenza! Ma…
    “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi”. La “nudità” è la tremenda verità esistenziale dell’essere umano che ha abbandonato il suo Creatore. L’uomo si scopre debole e fragile. Senza la luce della parola di Dio egli non sa più trovare se stesso, la sua identità; il bene e il male diventano in lui concetti relativi, che non danno alcuna certezza morale e spirituale; il buio attanaglia la coscienza. E poi… quel dolore, che in miliardi di modi attraversa l’esistenza. E, infine, quella terribile esperienza che fa tremare i polsi al solo pensarla, quel corpo che perde ogni energia e si spegne. Perché la sofferenza e la morte sono entrate a far parte della mia esistenza di essere umano? Le risposte sono tutte lì, in quella porta che mi sono chiuso alle spalle, quando io, essere umano, ho detto a Dio: “Non ti riconosco come mio Creatore e mio Dio”. Ora capisco. Dio è Luce; e io, senza di Lui, mi ritrovo immerso nelle tenebre più fitte. Dio è Perfezione, Armonia; e io, senza di Lui, sperimento in me la disarmonia, lo squilibrio totale a tutti i livelli: spirituale, morale, psichico e fisico. Dio è Vita; e io, staccato da Lui, come un ruscello staccato dalla sua sorgente, faccio l’esperienza della mancanza della vita. Come fare per ritornare indietro, per ritrovare il mio Dio? Da solo non ce la faccio. Ma, ecco, é il mio Dio che viene in mio soccorso. Egli, nel suo tenace, incrollabile amore, non ha abbandonato me, essere umano, che pure l’avevo abbandonato. Egli si sta chinando su di me con infinita misericordia. Mi vuole tirar fuori dai gorghi di quel mare in tempesta che è la mia esistenza di essere umano. Il mio Dio ha elaborato un progetto per riportarmi a casa da Lui. Ma quanto gli costerà questa opera di “salvataggio”! Dovrà sacrificare suo Figlio innocente, per salvare me, che innocente non sono.
    Ed ecco, il Figlio di Dio diventa uomo, perché io, essere umano, possa diventare figlio di Dio. Questo mio Creatore non finirà mai di stupirmi con il suo incredibile amore per me!
    E vedo all’opera il Figlio di Dio che ha preso la natura umana e che, con la sua vita, con i suoi comportamenti, con le sue scelte, mi “dice” come io, essere umano diventato figlio di Dio, posso vivere questa mia straordinaria, incredibile figliolanza.
    Satana è sempre lì, in agguato. Non si arrende. La sua voce suadente e ingannatrice risuona continuamente alle mie “orecchie” attraverso le situazioni che in ogni istante mi interpellano e richiedono da me una risposta. Ma io ora so quali risposte dare. Il Figlio di Dio, il mio stupendo Fratello e Signore, mi ha indicato la strada. Anche Lui è stato tentato; anche a Lui Satana ha proposto quei “miraggi” che confondono le coscienze e fanno perdere la strada, quelle false felicità, che, una volta raggiunte, fanno sentire solo un grande vuoto dentro il cuore. Gesù, in quel deserto, nello scontro con il Maligno, ha vinto. E la sua vittoria è stata in quel “Sta scritto…”, con cui iniziava ogni sua risposta. La parola di Dio è stata la sua arma. Voglio che sia anche la mia. E, ne sono certo, vincerò.