29 Ottobre 2017 - Liturgia Anno A: XXX Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Es 22,20-26

Se maltratterete la vedova e l’orfano, la mia collera si accenderà contro di voi.
Dal libro dell’Èsodo

Così dice il Signore:
«Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 17

Ti amo, Signore, mia forza.

Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore.
Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.
Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato.


Seconda Lettura 1 Ts 1,5c-10

Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia.
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.


Vangelo Mt 22,34-40

Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


COMMENTO


    “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Ancora una volta i farisei tentano di far cadere in un tranello Gesù, ponendogli una questione molto dibattuta tra gli stessi dottori della Legge. Ancora una volta la domanda viene posta con ipocrisia, oltre che con cattiveria; “Maestro”, infatti, viene chiamato Gesù dal dottore della Legge che gli sta ponendo la domanda, ma certamente “Maestro” Egli non viene ritenuto; se veramente gli scribi, i farisei, i sacerdoti, i capi del popolo d’Israele lo ritenessero un “Rabbi”, un “Maestro”, certamente ascolterebbero la sua parola, accoglierebbero il suo annuncio; invece, in loro vi è una chiusura totale e un’ostilità crescente nei suoi confronti. Anche stavolta, comunque, Gesù accetta la sfida e la sua risposta, come al solito, conduce molto al di là della miope interpretazione della Legge fatta dai suoi interlocutori, che si ritengono gli unici conoscitori della Parola di Dio. Gesù, nella sua risposta, non si limita a ripetere i due grandi comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo, ma, da vero “Rabbi”, aggiunge un suo commento: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. E, con tale commento, Egli supera ogni formalismo e ogni legalismo che caratterizzavano la vita di un “pio” israelita. Rispettare esteriormente la Legge, seguire ogni norma di comportamento in essa indicata: in questo consisteva, per gli Ebrei, il rapporto con Dio, nell’assoluta, presuntuosa certezza che solo questo bastasse per essere salvi. Gesù scardina tale convinzione, mette in crisi tale comoda e piatta concezione religiosa. “E’ il cuore, è l’amore che rendono vero e profondo il rapporto con Dio e con il prossimo – sembra dire Gesù -, è il calore di un amore appassionato che riscalda riti e gesti, i quali, senza tale amore, rimangono solo fredda e vuota osservanza di norme”.
    E’ con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima e con tutta la mia mente che io devo amare il mio Dio; ogni mia fibra deve palpitare per Lui, ogni mio respiro deve essere per Lui, tutto di me deve appartenere a Lui, deve essere al servizio della costruzione del suo Regno; Lui, solo Lui, deve essere il senso della mia vita. In Lui, e solo in Lui, ogni cosa di me trova la sua linfa vivificante e ogni istante della mia esistenza si riempie di significato. E allora il “secondo comandamento” della Legge, l’amore per il mio prossimo, diventa la più “naturale” conseguenza del mio amore per Dio.
    Nel Nuovo Testamento, con Gesù, il rapporto uomo – Dio acquista un valore infinitamente più grande. Nell’antico Testamento, infatti, la Legge era un qualcosa di esterno all’uomo, che questi, nel suo rapporto con Dio, doveva rispettare. Nel Nuovo Testamento tale rapporto non è caratterizzato tanto da un insieme di norme, anche quando vissute con amore, ma dalla presenza stessa di Dio nell’uomo, diventato, per mezzo del battesimo, suo figlio.
    “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui”(Gv 14, 23 ). Lasciano senza fiato per lo stupore queste parole pronunciate da Gesù durante l’ultima cena, che costituiscono il canto al Vangelo di questa domenica e che ben esprimono il “messaggio” dell’odierna parola di Dio. E’ questo Dio che, con la sua presenza, dona al credente la sua stessa vita, la sua stessa essenza, che è l’amore.
    “Dio è amore”: così l’apostolo Giovanni definisce Dio nella sua prima lettera (1Gv 4, 8). E, se io nel battesimo ho ricevuto in me questo Dio – Amore, è l’amore che diventerà anche la mia essenza, la mia specificità. Dio – Amore permea di Sé ogni mia fibra e mi rende capace di amare con il suo stesso amore. Veramente Dio riversa nei suoi figli una cascata infinita di doni! Anche la mia capacità di amare è un suo dono. Non è allora impossibile, per me, fragile creatura, amare come ama Dio. E’ questo ciò che Gesù ha assicurato ai suoi apostoli, quando, al suo comandamento “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34), essi, probabilmente perplessi, gli avranno obiettato: “Per te è facile amare, Tu sei il Figlio di Dio; ma noi come possiamo riuscirci?”. “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” (Gv 15, 5) è stata la risposta di Gesù. Ecco, il segreto dell’amore di un cristiano è tutto qui. E’ in questa intima, splendida presenza di Dio in me che io trovo la forza, il coraggio e il senso profondo del mio amore. E questo mio amore avrà le stesse caratteristiche dell’amore di Dio, sarà gratuito e fedele. E chi si sentirà amato da me potrà, attraverso il mio amore, sentirsi abbracciato dall’infinito, tenero e appassionato amore di Dio.

22 Ottobre 2017 - Liturgia Anno A: XXIX Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 45,1.4-6

Ho preso Ciro per la destra per abbattere davanti a lui le nazioni.
Dal libro del profeta Isaìa

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 95

Grande è il Signore e degno di ogni lode.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.


Seconda Lettura 1 Ts 1,1-5b

Mèmori della vostra fede, della carità e della speranza.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.
Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.
Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.


Vangelo Mt 22,15-21

Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


COMMENTO


    Un re pagano, Ciro. Non conosce il Dio di quel popolo a cui, sconfiggendo i Babilonesi, che quel popolo tengono in schiavitù, ha restituito la libertà. Dio aveva promesso al popolo d’Israele deportato in Babilonia che lo avrebbe liberato, ma probabilmente nessuno immaginava che la liberazione sarebbe arrivata attraverso lo strumento più impensato: il potente re di Persia, che portava avanti una politica di conquiste per espandere sempre più il suo regno. Il progetto di Dio si “incontrava” con un progetto umano e il progetto umano, al di là della consapevolezza degli uomini, diventava parte del progetto divino. Niente, niente di ciò che è umano rimane fuori dall’azione di Dio; la sua fantasia d’amore si serve di tutto, anche di ciò che di amore ha poco o niente, per realizzare il bene degli uomini. Anche la politica rientra in tale “logica” di Dio.
    “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Con questa risposta Gesù evita il trabocchetto tesogli dai farisei per fargli dire un qualcosa che lo possa far condannare. Sottile la domanda che gli viene posta: “E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Un suo “Sì” farebbe scattare contro di lui l’accusa di essere favorevole alla dominazione romana e, quindi, di non essere un vero ebreo, perdendo così la sua credibilità; un suo “No” permetterebbe ai suoi avversari di accusarlo di essere un rivoluzionario e, quindi, di poterlo denunciare ai Romani. Quale che sia la risposta, la conseguenza certa è un giudizio di condanna. Quanta cattiveria nei confronti di Gesù! E quanta ipocrisia nel modo in cui la domanda gli viene fatta! I suoi interlocutori lo interpellano addirittura lodandolo per il suo parlare francamente, senza timore, e per il suo “insegnare la via di Dio secondo verità”. Ma Gesù non accetta quella lode ipocrita, anzi la smaschera (“Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?”) e risponde ponendo, a sua volta, una domanda sull’immagine riportata su una moneta usata per pagare il tributo a Roma: “Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?”. “Di Cesare” rispondono quelli, non rendendosi forse conto che con tale risposta si stanno “restituendo” come un boomerang il colpo che volevano infliggere a Gesù. E Gesù, infatti, replica con quella frase fra le più conosciute del Vangelo: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Egli, che era stato definito dai suoi ipocriti interlocutori “colui che è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità”, un “Rabbi”, quindi, un maestro spirituale, mette quegli uomini di fronte alla loro malizia, alla loro mala fede e dice loro una grande verità: l’autorità politica è importante, poiché ha il compito di far vivere e far crescere nella giustizia e nella pace il popolo a essa affidato; a tale autorità, quindi, si deve rispetto e obbedienza; ma è Dio il Signore dell’universo, è Lui il Signore della mia vita, il significato unico della mia esistenza, è in Lui che io trovo il vero, profondo senso del mio essere uomo e cittadino. Io sono, infatti, un componente di una società civile e politica, alle cui leggi obbedisco come tutti gli altri cittadini e la cui crescita io sento come mio dovere primario, contribuendo a tale crescita in piena e fattiva collaborazione con gli altri cittadini e, in primo luogo, con i governanti, per i quali devo continuamente pregare, perché le loro scelte e le loro azioni siano sagge e sempre e unicamente indirizzate al bene comune, perché, pur quando essi non ne hanno consapevolezza, Dio si serve anche di loro per costruire il suo regno d’amore. Dove si lavora per il bene dell’umanità, lì c‘è sempre Dio all’opera.
    Quegli uomini avevano posto a Gesù un quesito in cui vi era un vero e proprio aut aut: “Si deve o non si deve obbedire all’autorità costituita?”. Gesù, come è suo solito, va molto oltre i limiti angusti delle domande che solitamente gli vengono fatte e proietta i suoi interlocutori verso orizzonti molto più vasti, che costringono a riflettere profondamente su chi si è e sul perché dell’esistenza.
    Chi sono io, o Dio? Sono un tuo figlio.
    Perché esisto? Per costruire il tuo regno d’amore nella mia quotidianità di uomo e di cittadino, per lasciare questo mondo un po’ più bello di come l’ho trovato.

15 Ottobre 2017 - Liturgia Anno A: XXVIII Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 25,6-10a

Il Signore preparerà un banchetto, e asciugherà le lacrime su ogni volto.
Dal libro del profeta Isaìa

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 22

Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Seconda Lettura Fil 4,12-14.19-20

Tutto posso in colui che mi dà forza.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni.
Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.



Vangelo Mt 22,1-14 (Forma breve Mt 22,1-10)

Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Dal vangelo secondo Matteo

[ In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. ]
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


COMMENTO


    “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati”. Così inizia il brano di Isaia (prima lettura). E subito viene da pensare: “E’ il meglio che Dio vuole offrire all’umanità. Egli non si accontenta di sfamare e dissetare i suoi figli, vuole dare loro il massimo, vuole dare cibi particolarmente prelibati, vini della migliore qualità”. E’ il monte di Gerusalemme quello a cui il profeta si riferisce. La città santa è il luogo nel quale tutti i popoli della terra sono invitati a fare esperienza dell’amore di Dio, di questo Dio infinitamente generoso, che vuole donare a piene mani l’abbondanza di ogni bene, un Dio che vuole “strappare il velo che copre la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni”, che vuole, cioè, attraverso il popolo d’Israele, rivelarsi, farsi conoscere da tutti gli uomini, i quali, pur non avendone profonda consapevolezza, tuttavia attendono di essere salvati dall’oscurità spirituale in cui il peccato originale li ha immersi. E, quando la salvezza arriva, viene elevato a Dio quel bellissimo inno di ringraziamento che, dal profondo dell’anima, sgorga come un gioioso canto: “ Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.
    Un’umanità in attesa di salvezza, quindi, e un popolo, Israele, che Dio stesso si è formato lungo i secoli, per diventare il “luogo” in cui suo Figlio Gesù, il Messia, avrebbe realizzato il suo progetto di salvezza. E questo Figlio di Dio arriva, cresce in mezzo al popolo d’Israele e parla ai suoi connazionali del Regno di Dio. Ma vede sordità e cecità in loro, vede chiusura, diffidenza, vede addirittura ostilità e odio. La salvezza promessa e preparata da secoli è in mezzo a loro ed essi non la accolgono, si pongono davanti a essa con un atteggiamento di totale rifiuto. Ed ecco tutte quelle parabole che Gesù racconta a scribi, sacerdoti e farisei, il cui messaggio è sempre “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi, primi”, parabole che la Chiesa sta ponendo all’attenzione dei fedeli da varie settimane attraverso la liturgia domenicale.
    Uno splendido banchetto preparato da Dio sul monte di Gerusalemme è al centro del brano di Isaia. Un banchetto di nozze è al centro della parabola evangelica di questa settimana. Ma vi è una sostanziale differenza fra il brano di Isaia e la parabola di Gesù. Il banchetto di cui parla Isaia è pienamente positivo, ogni suo elemento è motivo di gioia; il banchetto di nozze di cui parla Gesù è permeato di tristezza e di dolore. I primi invitati, infatti, cioè il popolo eletto, trovano mille scuse per non andare alla festa; e il re si indigna per questo rifiuto. Egli ha preparato ogni cosa ormai, “la festa di nozze è pronta”. In quella festa c‘è tutto il suo amore di Padre; niente di ciò che è stato preparato deve andare perduto. Gli invitati, allora, diventano altri, tutti coloro che si trovano “ ai crocicchi delle strade” del mondo, “cattivi e buoni”, perché l’amore non esclude nessuno. Una sola è la condizione per poter godere dell’abbondanza di cibi e di vini (cioè dell’abbondanza della gioia), preparata da quel re per gli invitati: indossare l’abito nuziale. Non basta accettare l’invito, occorre “indossare” un abito nuovo, l’abito della fede e dell’amore, l’ “abito” di una vita vissuta in piena comunione con Dio, di una vita che solo in Lui ha il suo senso e la sua realizzazione. E, se veramente Dio costituisce la ricchezza più grande per me, se veramente solo in Lui io trovo il “cibo” e la “bevanda” che possono soddisfare i bisogni più profondi del mio essere, allora avrò dentro di me la più grande libertà di fronte alle varie situazioni che la mia vita potrà presentare. Come S. Paolo (seconda lettura), potrò affermare con serenità: “So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza”, poiché è solo in Dio che io trovo la mia sicurezza e la mia stabilità. Non c‘è, per me, nulla di più importante di Lui. Al suo invito a stare con Lui non risponderò, allora, come i primi invitati, apportando la scusa che non ho tempo perché devo “andare a lavorare il mio campo” o devo “badare ai miei affari”. Niente è più importante dello stare con il Signore, niente è più importante della costruzione del suo Regno. Gesù un giorno ha detto ai suoi discepoli: “Non preoccupatevi, dunque, dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?’ Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate, invece, anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 32 – 33). E continua a dirlo a ogni credente in Lui. Lo dice anche a me. E, se veramente io vivo la mia esistenza in questa libertà interiore datami dalla certezza che la mia vita è al sicuro nelle mani di Dio (“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce… Mi guida per il giusto cammino” leggiamo nel salmo responsoriale), già in questa mia vita terrena posso sperimentare, anche se non in pienezza, la gioia di partecipare al banchetto di Dio, che mi fa “gustare” la sua presenza in me, che mi fa gustare la gioia di amare con il suo cuore.
    Ed ecco, un giorno Egli mi chiamerà a Sé e mi farà prendere parte a quel banchetto eterno che Gesù mi ha conquistato con la sua morte e la sua resurrezione. E’ il banchetto più bello e più ricco che Dio mi potesse preparare, poiché è Lui stesso che costituisce quei “cibi succulenti”, quei “vini eccellenti”, è Lui che costituisce il meglio, anzi, il massimo che il cuore umano può desiderare. E io, che già su questa terra avevo potuto avere un “assaggio” della sua presenza nella mia vita, ora , davanti al mio Dio, faccia a faccia con Lui, totalmente cuore a cuore con Lui, sperimento la gioia piena della perfetta comunione con Lui.

08 Ottobre 2017 - Liturgia Anno A: XXVII Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Is 5,1-7

La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele.
Dal libro del profeta Isaia

Voglio cantare per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva;
essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda
sono la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 79

La vigna del Signore è la casa d’Israele.

Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli.
Perché hai aperto brecce nella sua cinta
e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco
e vi pascolano le bestie della campagna.
Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo,
fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.


Seconda Lettura Fil 4,6-9

Mettete in pratica queste cose e il Dio della pace sarà con voi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!


Vangelo Mt 21,33-43

Darà in affitto la vigna ad altri contadini.
Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».


COMMENTO


    La vigna. Nelle ultime settimane essa ha costituito un elemento importante delle parabole raccontate da Gesù. E non è un caso. La vigna, nell’Antico Testamento, è simbolo del popolo d’Israele. Dio, il vignaiolo, ha una cura amorevole per la sua vigna, per il suo popolo, poiché desidera che questa vigna, così ben curata, possa dare frutti ottimi e abbondanti. Ma niente è scontato nel rapporto fra Dio e il suo popolo. E, attraverso il profeta Isaia (prima lettura), Dio manifesta la sua delusione di fronte a una vigna che non ha saputo corrispondere positivamente alla cura di cui è stata oggetto, producendo solo acini acerbi. Un popolo curato con infinito amore non riesce a mettere a frutto quest’amore, poiché non vive secondo il cuore di Dio, ma attua ciò che è male ai suoi occhi.
    Niente era scontato nel rapporto fra Dio e il popolo d’Israele; come niente è scontato nel rapporto fra Dio e ogni essere umano. Dio ci mette tutto il suo amore perché ogni uomo e ogni donna da Lui chiamati all’esistenza possano dare il meglio di sé, realizzandosi pienamente. Ma l’essere umano ha una volontà libera; è lui che decide che tipo di vigna vuole essere, cioè che tipo di rapporto vuole instaurare con Dio e, quindi, quale senso dare alla propria esistenza.
    Anche il messaggio di questa domenica, come nelle due domeniche precedenti, è: “Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi” (Mt 20, 16); infatti, Gesù conclude la parabola dei vignaioli omicidi (Vangelo di questa domenica ) con parole durissime rivolte ai sommi sacerdoti, ai farisei e agli anziani del popolo: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Matteo, nei versetti che seguono il Vangelo odierno, termina la narrazione della parabola descrivendo la reazione degli ascoltatori: “Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta” (Mt 21, 45 – 46). Ormai è chiaro anche per loro il messaggio che Gesù vuole mandare; ed è un messaggio estremamente severo, che non lascia possibilità di equivoci. I “primi” sono proprio loro, è il popolo d’Israele, il popolo eletto, che Dio stesso, da Abramo in poi, si è formato, perché accogliesse con disponibilità e con amore il suo stesso Figlio. Invece è un rifiuto che il Figlio di Dio riceverà. E Gesù, nel raccontare la parabola dei vignaioli omicidi, preannuncia la sua stessa morte voluta fortemente da coloro che lo stanno ascoltando. Essi, che ritengono di conoscere molto bene la parola di Dio, nella loro cieca presunzione si chiudono completamente alla Parola fattasi carne in Gesù e, in tal modo, diventano spiritualmente sordi. Chi ritiene di possedere già la verità non si mette né alla ricerca di essa né, tantomeno, in ascolto di chi si definisce Egli stesso “Verità”. La sua persona diviene ingombrante, scomoda, perché tende a scuotere le menti e i cuori; e, se quelle menti e quei cuori vogliono rimanere pigramente e orgogliosamente nelle loro certezze, tutto ciò che può costituire motivo di disturbo di quella miope “quiete” deve essere eliminato. I profeti, che parlavano in nome di Dio, erano scomodi e, per questo, erano spesso perseguitati e anche uccisi. Lo stesso Figlio di Dio subirà questa sorte.
    “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. E’ la Chiesa di Gesù quest’altro “popolo” che “farà fruttificare il regno di Dio”. E’ a noi battezzati, inseriti in Gesù come tralci alla vite, che viene affidata questa impegnativa e stupenda opera. Un compito che farebbe tremare le vene e i polsi, se non avessimo la certezza che, nella costruzione del regno di Dio, non soltanto non siamo soli, ma addirittura il lavoro più importante e più profondo è attuato da Dio stesso. “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” afferma Gesù (Gv 15, 5). Queste sue parole ci dicono chiaramente che la nostra disponibilità è certamente importante (Dio interpella sempre, nella sua azione a favore dell’umanità, la libera collaborazione di ciascuno), ma è la sua potenza d’amore che, lavorando in noi e attraverso noi, gli fa compiere le sue meraviglie.
    Però… neanche per noi tutto deve essere scontato. Il popolo eletto considerava Dio come una sua esclusiva proprietà, poiché riteneva che, essendo Egli fedele alle sue promesse, mai avrebbe tolto al suo popolo il privilegio dell’elezione. Invece… ecco quella scioccante frase di Gesù: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. Ma, perché questo nuovo popolo produca frutti, Dio pone la stessa condizione che aveva posto al popolo eletto: essere in comunione con Lui. “Le genti sapranno che io sono il Signore, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi…Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme”; così aveva parlato Dio al suo popolo attraverso il profeta Ezechiele (Ez 36, 23. 25 -27). E, se questo era il progetto di Dio per il popolo d’Israele, ancora più intimo e profondo è il rapporto che Egli vuole instaurare con ogni uomo e ogni donna che accolgono suo Figlio Gesù come Salvatore e Redentore; essi, con il battesimo, diventano “tralci” uniti alla “vite” Gesù e, in Lui, divengono figli di Dio. Ma tale figliolanza non è scontata; in ogni istante il credente deve alimentarla e viverla, in un costante e profondo rapporto con il Padre, con Gesù e con lo Spirito Santo, con questo Dio Uno e Trino, che, così, potrà riempirlo sempre di più della sua Presenza.
    Signore, permea di Te ogni mia fibra, ogni mio respiro, perché chiunque mi incontri nella mia vita di ogni giorno possa percepire Te in me e Tu possa, così, attraverso me, “dipanarti” con il tuo amore per le vie del mondo.