28 Gennaio 2018 - IV Domenica del Tempo Ordinario


LITUGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITUGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Dt 18, 15-20

Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole.
Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”.
Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire“».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 94/95

Ascoltate oggi la voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».


Seconda Lettura 1 Cor 7, 32-35

La vergine si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!
Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.
Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.


Vangelo Mc 1, 21-28

Insegnava loro come uno che ha autorità.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnaménto nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. 


COMMENTO


“Erano stupiti del suo insegnamento: egli, infatti, insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”. E improvvisamente, in quella sinagoga di Cafarnao, dove Gesù sta parlando, accade un qualcosa che conferma e rafforza l’impressione di “autorità” che Egli aveva subito dato ai suoi ascoltatori. Tra questi vi è un uomo posseduto da uno spirito impuro, che non riesce a trattenere la sua preoccupazione (i demoni conoscono molto bene la potenza del Figlio di Dio). “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!” grida a Gesù quello spirito. E Gesù dimostra che, sì, Egli veramente è venuto a “rovinare” le potenze del male, a liberare l’essere umano dalla loro malefica tirannia. “Taci! Esci da lui!” è l’ordine severo e imperioso di Gesù. E lo spirito del male non può fare a meno di obbedire. Lo fa con rabbioso furore, ma lo fa. Possiamo immaginare lo sbigottimento e lo stupore che devono avere assalito i presenti. Chi mai aveva potuto vincere le forze del male? Ed ecco ora quest’uomo, che “comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono”. 
    A Mosè e agli altri profeti dopo di lui Dio aveva dato il potere di parlare in suo nome e di compiere prodigi in suo nome. Ma Gesù non è un profeta, cioè “colui che parla in nome di Dio” (questo è, infatti, il significato della parola “profeta”), ma è Dio stesso, che, fattosi Uomo, dice parole divine con un linguaggio umano e conferma le sue parole con prodigi che solo un Dio può compiere. 
    E questi prodigi riguardano anche me. Anch’io sono stato liberato dal potere del male nel momento in cui, ricevendo il sacramento del battesimo, Dio stesso è entrato in me e mi ha permeato della sua vita divina, rendendomi, così, suo figlio. E, se Dio è dentro di me, come può Satana dominare su di me, come può condizionare la mia vita con la sua potenza di male? Nei confronti di me, figlio di Dio inserito nel Figlio di Dio come il tralcio alla vite, le potenze del male non hanno alcun potere. Io appartengo al mio Dio, e solo a Lui, con ogni mia fibra, con ogni mio respiro. 
    Di questa appartenenza totale a Dio parla S. Paolo nel brano tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi (seconda lettura), che continua il brano che costituiva la seconda lettura di domenica scorsa. E’ un testo che, se estrapolato dal contesto in cui è stato scritto, può far giungere a scelte esistenziali esasperate. Di fatto Paolo stesso usa espressioni “estreme”, ma tali sue affermazioni acquistano il giusto significato, se si pensa che egli aveva la ferma convinzione, molto forte nei primi tempi della Chiesa, che la parusia, la seconda venuta di Gesù (quindi, la fine del mondo), fosse imminente, per cui tutto diventava estremamente relativo. Essere sposati o non esserlo, essere ricchi o essere poveri, essere nella gioia o essere nel pianto, … tutto diventa relativo, se abbiamo la certezza che domani o, addirittura, fra qualche ora il Signore Gesù ritornerà glorioso e ci prenderà con Sé per l’eternità.
    “Avere il cuore indiviso”. Tale espressione viene usata nella Chiesa in riferimento alle cosiddette “vocazioni speciali”, cioè la vocazione religiosa e quella sacerdotale. “Cuore indiviso” è considerato, infatti, il cuore di chi ha deciso di non sposarsi, per mettere la propria vita completamente al servizio del Regno di Dio, un cuore, quindi, che appartiene totalmente a Dio, un cuore che non si divide fra l’amore verso Dio e l’amore verso una creatura. Per secoli questa convinzione, poggiata fortemente proprio sulle parole di S. Paolo, ha avuto come conseguenza il considerare la verginità spiritualmente “superiore” rispetto al matrimonio, assegnando alla verginità un maggiore valore santificante. Fortunatamente qualcosa sta cambiando nella Chiesa; lo dimostra il numero sempre maggiore di persone sposate che vengono canonizzate. E, in una società che sta perdendo il senso dell’amore di coppia e della famiglia, diventa sempre più urgente riscoprire, anche da parte della stessa Chiesa, la bellezza e la grandezza dell’amore fra l’uomo e la donna come Dio l’ha pensato e l’ha voluto, un amore che, nella mente e nel cuore di Dio, doveva (e dovrebbe) essere segno visibile della Trinità stessa, “specchio” luminoso, splendido dell’amore che “circola” all’interno della Trinità. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” troviamo in Gen 1, 27. Non è solo l’essere maschile ad essere “immagine” di Dio; non lo è nemmeno solo l’essere femminile; è la coppia uomo–donna che “contiene” in sé la “pienezza” delle caratteristiche di Dio. Il sacramento del matrimonio è il dire a Dio da parte dei due sposi: “Il nostro amore appartiene a Te, usalo per costruire il tuo Regno. Che chiunque veda noi e il nostro amore possa vedere Te e il tuo amore”. 
    “Cuore indiviso”, allora, non è tanto il non amare un uomo o una donna, ma avere la consapevolezza che la propria vita appartiene totalmente a Dio in ogni fibra, in ogni respiro. 
    Il mio cuore è indiviso, perché sei Tu, Signore, il mio Creatore, il mio Salvatore, il senso unico della mia vita, perché solo in Te io trovo la mia pienezza esistenziale. L’uomo che amo (la donna che amo) non costituisce il significato profondo del mio essere. Lo sposo (la sposa) che Tu mi hai messo accanto è uno splendido dono, che mi rende felice, ma non costituisce il senso della mia vita, non costituisce il mio respiro esistenziale. Tu, Dio, soltanto Tu sei il senso della mia vita, soltanto Tu il mio respiro esistenziale. Il mio essere trova la sua piena realizzazione nell’appartenerti, nel vivere la mia esistenza secondo il tuo cuore, così che Tu possa costruire in ogni istante il tuo Regno d’amore in me e attraverso me. Il mio cuore è indiviso, perché Tu sei il Tutto dentro di esso e le persone che amo acquistano senso e valore, perché “inserite” in Te, “permeate” di Te dentro il mio cuore. No, Signore, non c‘è “concorrenza” fra loro e Te nella mia vita; ci sei Tu e, in Te, ci sono meravigliosamente loro.
    Verginità, matrimonio. Tutto va bene, tutto mi santifica, se dentro di me ci sei Tu con la tua santità. 


21 Gennaio 2018 - III Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gio 3, 1-5. 10

I Niniviti si convertirono dalla loro condotta malvagia.
Dal libro del profeta Giona

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Alzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore.
Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta».
I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 24/25

Fammi conoscere, Signore, le tue vie.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.


Seconda Lettura 1 Cor 7, 29-31

Passa la figura di questo mondo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!


Vangelo Mc 1, 14-20

Convertitevi e credete al vangelo.
Dal vangelo secondo Marco

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.



COMMENTO


    “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Con queste parole Gesù inizia la sua vita pubblica. Sono parole forti, sconvolgenti per coloro che lo stanno ascoltando. Egli non si sta rivolgendo, infatti, a persone pagane, che adorano mille dei. La richiesta di conversione sarebbe, allora, comprensibile. La stessa richiesta non era stata fatta da Dio agli abitanti di Ninive attraverso il profeta Giona? Ma gli abitanti di Ninive erano peccatori; “normale”, quindi, che Dio ne richiedesse una conversione. Gesù, invece, sta parlando ai suoi connazionali, agli Ebrei. Egli è uno di loro; le sue preghiere, i riti religiosi a cui partecipa sono gli stessi delle persone a cui sta parlando. E allora… che senso ha quell’ invito alla conversione? Da che cosa ci si deve convertire, se la Legge viene rispettata, se tutte le prescrizioni vengono rigorosamente osservate? Molto probabilmente erano espressioni di perplessità quelle che apparivano sui volti delle persone nell’ascoltare quella frase così strana di Gesù. Mille domande dovevano sorgere nelle loro menti a ogni parola che ascoltavano da quel Galileo, da quel figlio di un carpentiere di Nazareth, che, quindi, non poteva avere né la preparazione né l’autorità di un “rabbì”. Eppure quell’uomo aveva qualcosa di particolare. Le sue parole non scivolavano via, non facevano rimanere indifferenti; avevano una forza dirompente, penetravano come una spada a doppio taglio nelle profondità del cuore e costringevano a guardarsi dentro e a fare una scelta ben precisa: o ascoltarlo e, quindi, accettare di mettere in discussione tutto ciò in cui si era creduto fino a quel momento o rifiutarlo, restando abbarbicati alle proprie convinzioni religiose, al proprio modo di rapportarsi con Dio, nella convinzione di far rimanere tranquille le coscienze. Ma, dal momento in cui veniva udita la sua voce, le coscienze cessavano di essere tranquille; pur rifiutata, quella voce restava dentro e non dava pace.
    “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Gesù non ha parlato solo duemila anni fa; non ha parlato solo ai suoi connazionali. Egli continua a parlare a ogni persona che viene in questo mondo e ogni persona, non appena “ode” le sue parole, deve fare una scelta, “la” scelta, quella fondamentale, esistenziale, quella che fa decidere il senso da dare alla propria vita, a ogni giorno, a ogni istante della propria vita. 
    “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. “E’ giunto il momento – dice Gesù – in cui le promesse di Dio si realizzano e le speranze del popolo d’Israele (e del cuore dell’essere umano) trovano il loro compimento. Io, il Messia annunciato dai profeti e atteso per secoli, sono qui e vi annuncio che il regno di Dio è vicino, perché il regno di Dio è dove sono Io. E Io, il Figlio di Dio mandato dal Padre per rivelarvi tutto il suo amore, spalanco davanti al vostro cuore il cuore stesso di Dio, facendovi entrare nelle profondità di questo cuore. Dio Padre vuole farvi conoscere il suo infinito, tenero e appassionato amore per ogni persona e Io sono qui per farvi ‘vedere’, attraverso Me, il vero ‘volto’ di Dio. Ed è a questo volto che voi dovete assomigliare, è questo volto che anche voi dovete avere. E’ questa la conversione, quel cambiamento del cuore e della mente, che diventa necessariamente anche cambiamento della vita. E questo cambiamento ha in Me e nella parola che vi annuncio la sua base, la sua roccia forte e salda”. 
    Signore, ti sto ascoltando e, mentre le tue parole giungono alle mie orecchie, anch’io, come duemila anni fa i tuoi connazionali, ti mostro un’espressione perplessa. Anche a me tu parli di conversione e ti confesso che questo tuo “invito” mi sconcerta. Io sono stato battezzato nei primi mesi della mia vita; ti conosco, quindi, da sempre. Recito le mie preghiere ogni giorno (o quasi), partecipo alla messa ogni domenica (escluso quando ho qualcosa di molto importante da fare), ho fatto la prima comunione, ho ricevuto la cresima, mi sono sposato in chiesa, ho fatto battezzare i miei figli. Non faccio male a nessuno e, se posso, faccio un po’ di bene. Eppure anche a me Tu parli di conversione, anche a me tu dici: “Convertiti e credi nel vangelo”. Ecco, il vangelo. Forse, Signore, hai messo la mano sulla piaga. Ora che mi ci fai pensare, mi rendo conto che io non leggo quotidianamente il vangelo, non lo considero la “magna charta” del mio essere un buon cristiano. Mi accontento di quei brani che ascolto alla messa domenicale. “Ascolto” ho detto, ma forse dovrei dire: “ Mi accontento di quei brani che colpiscono il mio udito”, ma che non riescono ad arrivare al cuore, poiché quasi sempre, durante la lettura della parola di Dio, la mia mente è occupata da mille altri pensieri. 
    E nella mia vita quotidiana? Quando mai, durante la giornata, nelle varie situazioni che mi si presentano, io mi rivolgo a Te e ti chiedo un parere su ciò che devo fare, su ciò che devo dire? Eppure, io, cristiano, dovrei pensare come pensi Tu, dovrei avere gli stessi sentimenti che hai Tu, dovrei fare le stesse scelte che faresti Tu, se fossi al mio posto. Chi vede me dovrebbe poter scorgere sul mio volto il tuo volto, nella mia vita la tua vita. Ma, Signore, mi sto rendendo conto che non è così. La mia vita scorre quasi sempre senza di Te, costruita da me secondo i miei schemi e i miei progetti, come se Tu non esistessi. Parlo poco con Te o, forse, non parlo affatto; mi ricordo che Tu esisti solo quando ho bisogno della tua potenza di Dio e, magari, se ho ricevuto il tuo aiuto, una volta cessato il “pericolo”, mi dimentico di ringraziarti. E ti lascio nuovamente cadere nel dimenticatoio.
    Tu, che sei Dio, hai preso la natura umana, perché, con il battesimo che mi innesta in Te, la mia natura, da soltanto umana, diventasse anche divina. E io non provo nessuno stupore, mentre, di fronte a tale follia d’amore (il Creatore che prende la natura di una sua creatura!), il respiro mi si dovrebbe fermare. Tu, che sei la Vita, la Sorgente della vita, hai voluto affrontare l’esperienza tremenda della sofferenza e della morte, perché io potessi avere, per l’eternità, la pienezza della vita. Signore, Tu sei veramente folle d’amore per me, al di là di ogni umana comprensione! Anche il mio cuore dovrebbe fermarsi per lo stupore e la gratitudine di questo “abbraccio” con cui mi hai inserito nella stessa vita della Trinità; nel battesimo Tu, il Padre e lo Spirito Santo siete venuti in me e avete realizzato nel mio essere una trasfusione della vostra vita divina. Mi avete reso figlio di Dio! Dio Padre per l’eternità mi chiamerà “Figlio mio!” e io, per l’eternità, potrò chiamare Lui “Padre mio!”. Sono immerso in uno stupendo miracolo d’amore e non me ne rendo nemmeno conto!
    Sì, Gesù, hai ragione a dire anche a me: “Convertiti e credi nel vangelo”! 


14 Gennaio 2018 - II Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 1 Sam 3, 3b-10. 19

Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta.
Dal primo libro di Samuèle

In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio.
Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire.
Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore.
Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta“». Samuèle andò a dormire al suo posto.
Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: Samuèle, Samuèle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».
Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 39

Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.


Seconda Lettura 1 Cor 6, 13c-15, 17-20

I vostri corpi sono membra di Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signo­re, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impu­rità, pecca contro il proprio corpo.
Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!


Vangelo Gv 1,35-42

Videro dove dimorava e rimasero con lui.
Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbi – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui: erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro.



COMMENTO


    “Che cosa cercate?”. “Rabbì, dove dimori?”. “Venite e vedrete”. Mai dialogo fu più breve e conciso. Mai dialogo fu più importante non solo per la storia delle persone coinvolte, ma anche per la storia dell’umanità intera. 
    Gesù si è fatto battezzare nel Giordano da Giovanni il Battista. Questi, attraverso il segno prodigioso dello Spirito Santo disceso, in forma di colomba, su Gesù e della voce di Dio Padre, che dà testimonianza al Figlio, riconosce in quell’uomo il Messia annunciato e atteso da secoli. Il giorno dopo si ritrovano ancora vicini. Giovanni il Battista è con due suoi discepoli. Vede Gesù e lo indica con sicurezza: “Ecco l’agnello di Dio!”, con chiaro riferimento all’agnello pasquale (Es 12, 1–11), simbolo della “redenzione” di Israele, della sua liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Ma ben altro Agnello è quello che Giovanni sta indicando ai suoi discepoli! Gesù è l’Agnello che porta su di sé, togliendolo, il peccato del mondo. E i due discepoli di Giovanni il Battista non esitano a lasciare il loro maestro per seguire “quel” nuovo Maestro. Non hanno ancora udito la sua voce (Gesù, infatti, non ha ancora iniziato ad annunciare la Buona Notizia), ma il cuore comincia inspiegabilmente a fremere, ad avvertire un forte, profondo desiderio di conoscere quell’uomo. Lo seguono, mantenendosi a una certa distanza. Probabilmente hanno un qualche timore ad avvicinarsi a Lui. Il loro maestro l’ha indicato come il Messia! Non è come seguire un semplice uomo, pur grande, come poteva essere Giovanni il Battista. Quell’uomo, se è veramente Colui che il loro maestro ha detto, è il Cristo, l’Inviato di Dio per la salvezza del suo popolo! C‘è da far tremare le vene e i polsi. E Gesù? In quanto anche Dio, leggeva nei loro cuori e nelle loro menti, conosceva i loro pensieri, percepiva le loro esitazioni, il loro turbamento. Ed è Lui che prende l’iniziativa di quel dialogo, che avrebbe cambiato per sempre la vita di quei due uomini. Si volta verso di loro e… “Che cosa cercate?” chiede. Ma essi non cercano qualcosa, cercano Qualcuno. “Rabbì, dove dimori?”. La casa è il luogo della familiarità, degli affetti, dell’intimità. Quei due uomini stanno chiedendo a Gesù di permettere loro di entrare in una profonda unità con Lui, di diventare suoi amici, di instaurare con Lui un rapporto “familiare”. E Gesù esaudisce questa loro richiesta. “Venite e vedrete” dice loro, “venite nell’intimità della mia casa, della mia famiglia, del mio cuore, conoscetemi profondamente, fate esperienza di Me”. Ed essi “andarono … e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui”. E tale incontro divenne talmente importante per quegli uomini, che essi conservarono per sempre impressa dentro di sé addirittura l’ora del giorno: “Erano circa le quattro del pomeriggio”. E’ l’ora in cui ha veramente inizio la vita pubblica di Gesù; è l’ora in cui Egli per la prima volta si sente chiamare “Rabbì”, “Maestro”; è l’ora in cui inizia per quegli uomini una vita completamente diversa; è l’ora in cui comincia a formarsi il gruppo dei Dodici. E il gruppo si allarga immediatamente. Uno dei due era Andrea, fratello di Simon Pietro. Appena Andrea vede suo fratello, non può tenere per sé quella gioia che gli esplode dentro. “Abbiamo trovato il Messia!” esclama e conduce da Gesù il povero Simone probabilmente ancora esterrefatto e stordito per la notizia. E Gesù lo fa stupire ancora di più con quella frase, di cui quasi certamente in quel momento Simone non comprende il significato: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa”. Quello sconosciuto gli stava dando un nome nuovo; perché? E poi… strano, molto strano quel nome. “Cefa” significa “pietra”. Che significato poteva avere un simile nome? Passeranno anni prima che egli abbia le risposte a queste domande.
    Il nome. E’ molto importante il nome di una persona; è l’elemento che la caratterizza come individuo, mentre il cognome indica la famiglia di appartenenza. Il cognome è importante, ma il nome di un individuo, all’interno di una famiglia, è ancora più importante.
    Dio chiama sempre per nome; chiama ogni persona con il suo nome, perché quel nome “contiene” in sé tutta la realtà di un soggetto originale, unico, irripetibile all’interno dell’umanità. Ciò che ogni persona è chiamata a compiere dentro la storia dell’umanità non potrà mai essere compiuto da nessun altro. Se un uomo, una donna non vivono pienamente le caratteristiche che Dio ha dato loro per lasciare questo mondo un po’ più bello di come l’hanno trovato, questo mondo rimarrà un po’ meno bello. 
    Dio mi crea dandomi dei talenti che io devo utilizzare per la costruzione del suo Regno. E mi chiede di utilizzarli tutti e fino in fondo. Se così sarà, allora ogni fibra di me potrà sentirsi pienamente realizzata, proprio nella realizzazione di quel progetto (la “chiamata”, la “vocazione”) che Dio ha elaborato su di me sin dall’eternità con tutta la sua fantasia d’amore.
    Dio chiama per nome Samuele (prima lettura). Gesù chiama per nome Simon Pietro e tutti gli altri apostoli. Dio chiama per nome anche me, come chiama per nome ogni uomo e ogni donna che vengono in questo mondo. Egli chiama ciascuno a essere suo figlio (questa è la vocazione fondamentale, esistenziale di ogni persona) e, vivendo nel mondo questa figliolanza divina, l’essere umano costruisce in esso, nella quotidianità della propria esistenza, il regno di Dio. Tutto di me (fisico, psiche, spirito) è “impegnato” in tale stupenda “costruzione”, perché tutto di me è stato “permeato” della vita di Dio al momento del battesimo e questa vita divina si irradia nel mondo con tutta la sua forza attraverso me, anche al di là del fatto che io ne possa avere consapevolezza in ogni istante, in ogni situazione. Il Sole irradia la luce, perché la luce è una sua qualità. Un figlio di Dio irradia Dio, perché Dio è dentro di lui e ne costituisce l’essenza. E’ questa la nostra realtà di figli di Dio, la verità del nostro essere e della nostra esistenza, come splendidamente scrive san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (seconda lettura). Essere tempio dello Spirito Santo! Il respiro dovrebbe fermarsi ogniqualvolta la mente si sofferma su questa realtà.
    E io, Signore, sono felice di essere tuo figlio, di appartenere a Te, perché tale appartenenza è l’essenza del mio essere, è la mia più profonda realtà, è ciò che mi fa vivere gioiosamente la vita anche nelle tempeste più turbolente e nei tunnel più bui. E, nello stupore di fronte al tuo incredibile amore, anch’io, insieme all’autore del salmo responsoriale, con ogni mia fibra, con ogni mio respiro, voglio dirti: “Ecco, io vengo. … Su di me è scritto di fare la tua volontà. Mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel profondo del mio cuore”. 


07 Gennaio 2018 - Battesimo del Signore


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 55, 1-11

Venite all’acqua: ascoltate e vivrete.
Dal libro del profeta Isaia

Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro,
senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie.
Oracolo del Signore.
Quan­to il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».


Salmo Responsoriale Is 12,2-6

Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza.

Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.


Seconda Lettura 1 Gv 5, 1-9

Lo Spirito, l’acqua e il sangue.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e os­serviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.


Vangelo Mc 1, 7-11

Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento.
Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

COMMENTO

“O voi tutti assetati, venite all’acqua; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete”. Sembra l’invito insistente di un venditore, che a ogni costo vuole “piazzare” la sua merce. Solo che questo “venditore” sembra poco accorto, sembra non badare molto ai suoi affari; egli, infatti, invita gli “acquirenti” a “comprare” gratuitamente, “senza denaro, senza pagare”, i suoi prodotti. E cerca di far riflettere questi acquirenti sulla stoltezza del loro comportamento, dal momento che essi spendono il loro patrimonio per cose che non saziano, per cose che li fanno rimanere con la loro fame. L’invito, quindi, diventa esplicitamente un’esortazione all’ascolto e tale “ascolto” diventa “cibo buono, gustoso”, diventa “vita”. A questo punto il Signore (è Lui, infatti, che sta parlando al suo popolo attraverso il profeta Isaia) diventa sempre più esplicito, invita decisamente alla conversione. “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”.
    Il brano di Isaia si conclude con un bellissimo paragone “inventato” da Dio stesso: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. E subito vengono in mente le splendide parole del prologo del vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo (cioè la Parola) e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. … E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. … Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno lo ha mai visto; il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 1. 14. 16 – 18). E Gesù non ritornerà al Padre senza aver realizzato quel progetto di salvezza per cui il Padre l’ha mandato. 
    Chi sono gli “assetati” e gli “affamati”, di cui parla Isaia? 
    “Fame” e “sete” sono diventate le realtà esistenziali dell’essere umano dal momento in cui il peccato originale gli ha fatto perdere la sua identità e il vero significato della sua esistenza. L’aver abbandonato Dio lo ha fatto entrare in un tunnel buio e disperante. Da quel momento egli, nella sua confusione morale e spirituale, si è ridotto veramente a “spendere” la sua esistenza “per ciò che non è pane, per ciò che non sazia”. Ricchezze, potere, piaceri, sicurezze umane: quante energie uomini e donne impiegano per ottenere tutte queste cose! Eppure, appena raggiunte, esse lasciano il cuore desolatamente freddo e vuoto.
    “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”; con queste parole del Deuteronomio Gesù risponde a Satana durante la tentazione nel deserto (Mt 4, 4). E’ Dio stesso il “pane” di cui l’essere umano ha esistenzialmente bisogno. E’ la sua parola che illumina e riscalda il cuore di ogni persona, che la fa camminare e vivere secondo la verità più profonda del suo essere, secondo la sua essenza, quella somiglianza con Dio ricevuta al momento della creazione, somiglianza che, in Gesù, attraverso il battesimo, è diventata una dignità ancora più grande, è diventata figliolanza divina, dono gratuito di Dio per questa sua creatura tanto fragile e tanto amata.
    Un amore sino alla follia, quello di Dio. Veramente i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie! Egli, mentre con dolore guardava l’essere umano allontanarsi da Lui, già costruiva, nel suo infinito, tenace amore, un progetto di salvezza. 
    “Vuoi aiutarmi a salvare questi miei poveri figli?” ha chiesto Dio Padre al Figlio. “Sì, con gioia” ha risposto il Figlio, nel suo infinito amore per il Padre e per gli uomini, ben sapendo che quel “Sì” gli sarebbe costato sangue.
    “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” dice il Padre, appena Gesù esce dal fiume Giordano, dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni il Battista. Quale gioia possiamo avvertire in queste parole pronunciate dal Padre, mentre fa scendere con potenza lo Spirito Santo su quel Figlio Innocente, che Gli permetterà di salvare gli altri suoi figli, che innocenti non sono! C‘è il compiacimento di un Padre che vede un Figlio in totale comunione d’amore con Lui, un Figlio che desidera solo ciò che Egli desidera. Che cosa un Padre può volere di più da un figlio?
    Un Innocente si avvicina a Giovanni il Battista per ricevere il battesimo di penitenza. E’ importante tale gesto. Giovanni da tempo annuncia che è ormai imminente la realizzazione delle promesse di Dio ed esorta il popolo al pentimento dei propri peccati, pentimento, di cui il battesimo (parola greca che significa “immersione”) nelle acque del Giordano diventa segno visibile. Gesù accetta di fare tale gesto, pur essendo senza peccato, volendo dimostrare di essere, Egli, l’Innocente, solidale con l’umanità peccatrice. Con questo gesto Gesù comincia a portare su di sé i peccati degli uomini. “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” dirà Giovanni il Battista il giorno dopo, vedendo ancora Gesù (Gv 1, 29). E sulla croce Gesù veramente, come una calamita, attirerà su di sé tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. E darà origine a una nuova umanità, a una nuova famiglia di Dio.
    Il battesimo di Giovanni era solo un battesimo di penitenza, un battesimo, cioè, che indicava, in chi lo riceveva, soltanto un desiderio di purificazione, una volontà di cambiamento di vita; ma tale battesimo solo di “acqua” non rendeva “nuova” la persona, non le dava una natura nuova, non la cambiava nella sua essenza. Invece… …“Io ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Appena vengono pronunciate tali parole, accompagnate dal gesto del versamento dell’acqua sul capo del battezzando, avviene un miracolo straordinario: la persona che sta ricevendo il sacramento del battesimo non solo viene liberata dal peccato originale, ma viene riempita della presenza di Dio per mezzo dello Spirito Santo, e Dio permea di sé, della sua divinità, quella persona e la divinizza. Da tale momento il battezzato non è più una creatura soltanto umana, ma una creatura umano-divina, un figlio di Dio, poiché la vita stessa di Dio “circola” in lui; da tale momento egli può chiamare Dio con lo splendido, dolcissimo nome di “Abbà”, “papà”.
    “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Il Padre parla direttamente a suo Figlio, ma si fa sentire anche dai presenti. A questi il Padre sta dicendo: “Di questo mio Figlio Io, Dio Padre, mi compiaccio, perché Egli è una cosa sola con Me, perché il suo cuore batte all’unisono con il mio, perché Egli desidera solo ciò che Io desidero e la sua volontà è in perfetta sintonia con la mia”.
    Ecco, così era Gesù, il Figlio di Dio. Così dovrebbero essere ogni uomo e ogni donna che, col sacramento del battesimo, sono diventati figli di Dio. Come sarebbe bello se Dio Padre a ogni suo figlio, a ogni sua figlia potesse dire con gioia: “Anche di te mi compiaccio, figlio mio, figlia mia”! 



06 Gennaio 2018 - Epifania del Signore


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 60,1-6

La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal libro del profeta Isaia

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 71

Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.


Seconda Lettura Ef 3,2-3a.5-6

Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.


Vangelo Mt 2,1-12

Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.
Dal vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.



COMMENTO


    Dio, per mezzo di una stella, conduce degli uomini pagani alla presenza di suo Figlio fattosi uomo. Quegli uomini, consapevoli di essere giunti di fronte a quel Bambino attraverso segni straordinari, “ si prostrarono e lo adorarono”, riconoscendo in Lui una regalità divina. 
    Nel manifestare (“epifania”, in greco, significa, infatti, “manifestazione”) a dei pagani la divinità di quel Bambino, Dio rivela il suo amore per tutti gli uomini. Come scrive l’apostolo Paolo (seconda lettura ), il “mistero” di Dio, cioè il progetto di Dio riguardante l’umanità, è stato manifestato, “rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito”. E tale progetto, che nasce dall’infinito amore che Dio ha per ogni persona che Egli chiama all’esistenza, è che anche le “genti”, cioè i popoli non appartenenti al popolo ebraico, “sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità” (la salvezza), a cui erano stati chiamati gli Ebrei, “ a formare lo stesso corpo”, cioè un’unica realtà, l’unica famiglia di Dio, “e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”, cioè della “buona notizia” annunciata e realizzata da Gesù. Paolo, in maniera concisa, ma molto chiara, spiega il meraviglioso progetto d’amore di Dio: ogni uomo, a qualsiasi razza, popolo, nazione appartenga, è chiamato a essere figlio di Dio e a vivere la sua vita come tale, costruendo, insieme agli altri, il regno di Dio, regno di pace, di concordia, di giustizia, di serenità, di gioia. Questo è il desiderio più profondo del cuore di Dio. E Dio si aspetta che questo sia anche il desiderio più profondo del cuore dell’uomo.
    Forse è stato proprio questo desiderio, magari inconsapevole, a condurre i Magi, guidati da una stella che brillava sopra di loro, fino al luogo, in cui si trovava il Bambino Gesù. Anche in loro, pur pagani, vi era una forte attesa di un Salvatore. “Essi provarono una gioia grandissima” al vedere la stella fermarsi sopra il luogo dove si trovava il Bambino; entrati, si prostrarono davanti a quel piccolo e lo adorarono. 
    I Magi. Fanno molto riflettere questi uomini, saggi, ma pagani, che si inchinano, con il cuore pieno di esultanza, davanti a un bambino. Una grandissima gioia vibrava nei loro cuori: la “meta” tanto desiderata era lì, davanti ai loro occhi; non dovevano cercare altro. 
    E una grandissima gioia dovrebbe essere il sentimento più naturale e profondo del cristiano, in quanto per il credente l’ “epifania” del Signore è in ogni istante della sua esistenza, perché da quella lontana notte di duemila anni fa l’uomo, ogni uomo, se lo vuole, può essere pieno di luce, di quella Luce che è Cristo; Egli, infatti, come luce è venuto nel mondo e brilla dentro la vita di chi Lo ha accolto, di chi crede in Lui.
    Anche oggi, come sempre, “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni” (prima lettura), perché anche oggi molti cuori sono lontani da Dio, molti uomini vivono come se Dio non esistesse. “Ma – annuncia il profeta Isaia al popolo d’Israele – su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti (i popoli) alla tua luce”.
    Tale annuncio si è realizzato e continua a realizzarsi nella Chiesa di Cristo. Al di là di tutti i limiti umani che la Chiesa, famiglia di Dio costituita da uomini salvati, ma pur sempre fragili e deboli nella loro umanità, presenta, essa brilla della luce di Gesù, il quale, un giorno, di sé ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” 
( Gv 8, 12); e ancora: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12, 46); e dei credenti in Lui, cioè della Chiesa, ha detto: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,14 – 16). Ecco la meravigliosa missione dei figli di Dio: farsi riempire della luce di Gesù e donare tale luce a tutti gli uomini, perché ogni uomo ha diritto a sapere che su di lui Dio ha uno splendido progetto d’amore e che, se egli accetta tale progetto, Dio stesso entrerà dentro di lui con tutto il suo amore, con tutta la sua pace, con tutta la sua gioia e darà un senso pieno alla sua esistenza. 


01 Gennaio 2018 - Maria Santissima Madre di Dio


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Nm 6,22-27 

Essi invocheranno il mio Nome, e io li benedirò.
Dal libro dei Numeri

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 66

Dio abbia pietà di noi e ci benedica.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.


Seconda Lettura Gal 4,4-7

Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.


Vangelo Lc 2,16-21

I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino. Dopo otto giorni gli fu messo nome Gesù.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.


COMMENTO


Pastori pieni di gioia, che parlano a tutti di quel bambino, la cui nascita è stata loro annunciata in una esplosione di luce.
    Ascoltatori stupiti per quanto i pastori dicono di quel bambino.
    E una Madre, che “custodisce tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
    Che cosa doveva esserci in quel cuore di madre?! Quel figlio, che ella teneva tra le braccia e che sconosciuti erano venuti ad adorare, era il Figlio di Dio! Ed era lì, così piccolo, così inerme! Un Dio fattosi uomo, perché l’uomo, fragile e peccatore, potesse essere “recuperato” al rapporto con Dio, rapporto spezzato con il peccato originale. E Dio “recupera” l’essere umano in maniera stupenda, dandogli addirittura una dignità che egli non aveva nella sua originaria condizione di creatura. Come dice l’apostolo Paolo nella seconda lettura, “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, … perché ricevessimo l’adozione a figli”. E l’essere umano, da allora, può rivolgersi a Dio chiamandolo “Abbà”, “papà” (questo, infatti, in aramaico è il significato della parola “abbà”, un termine, quindi, molto confidenziale, tipico del bambino che chiama affettuosamente il suo papà).
    E’ bello meditare nel nostro cuore, come Maria e insieme a lei, le meraviglie che Dio ha voluto compiere, e continua a compiere, a favore di noi uomini, perché Dio è Amore e non si stanca mai di benedire l’essere umano, cioè di “dire bene” di questa sua creatura, di pensare a ogni uomo e a ogni donna sempre positivamente, con amore.
    Inizia un nuovo anno.
    Non è un caso che il primo giorno dell’anno nuovo venga dedicato a Maria, Madre di Dio. La Chiesa mette sotto la sua materna e potente protezione quest’altro tempo che Dio ci dona.
    E non è un caso che la prima lettura del primo giorno del nuovo anno sia una splendida benedizione.
    “Buon anno!” è l’augurio che ci si scambia all’inizio di un nuovo anno. Tale augurio significa: “Il nuovo anno possa essere per te un anno buono”.
    E non può non essere buono il nuovo anno, se io so con certezza che si realizza veramente, per me, in ogni istante, quanto Dio stesso ha indicato a Mosè come benedizione per il suo popolo: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.