25 Febbraio 2018 - II Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18

Il sacrificio del nostro padre Abramo
Dal libro della Gènesi

In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 115

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

Ho creduto anche quando dicevo:
«Sono troppo infelice».
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Ti prego, Signore, perché sono tuo servo;
io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo,
negli atri della casa del Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.


Seconda Lettura Rm 8,31b-34

Dio non ha risparmiato il proprio Figlio
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?
Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!


Vangelo Mc 9,2-10

Questi è il Figlio mio, l’amato

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.



COMMENTO


   Due padri. Uno, umano, Abramo, il quale, nella convinzione che Dio gli stia chiedendo ciò che ha di più prezioso, il figlio avuto nella vecchiaia, è disposto, pur con la morte nel cuore, a offrirlo, poiché a Dio tutto appartiene e nulla a Lui si può rifiutare. L’altro è Dio stesso, che, nel suo infinito amore per l’essere umano, vuole riportare a casa questa sua creatura, che un giorno se n’era andata sbattendo la porta per seguire il suo orgoglioso senso di indipendenza e di malintesa libertà; ma il costo di tale azione di “ recupero” è il più alto che un Padre possa pagare: l’annientamento totale, fino alla morte, e alla morte di croce, del suo stesso Figlio, l’Innocente, per salvare figli che innocenti non sono. E’ la “follia” dell’amore di Dio per questa sua creatura ribelle, ma ugualmente e fedelmente amata.
    Già quel coltello si leva in alto, per colpire al cuore il giovane Isacco. Ma Dio ferma quella mano. Ha accettato che Abramo, proveniente da un popolo pagano abituato, come quasi tutti i popoli dell’antichità, ai sacrifici umani, potesse pensare che quel Dio che gli aveva promesso, attraverso quel figlio, una discendenza innumerevole, volesse mettere alla prova la sua fedeltà e la sua obbedienza; ma non può permettere che il sacrificio di quell’innocente si compia. E un ariete prende il posto di Isacco sull’altare del sacrificio.
    Già quella croce viene issata sul Golgota; c‘è il Figlio di Dio appeso a quella croce. E il Padre non ferma la mano di coloro che stanno uccidendo suo Figlio; con la morte nel cuore lascia che l’umanità ribelle arrivi fino all’estrema ribellione (il rifiuto e l’eliminazione fisica dello stesso suo Figlio). E l’Amore si rivela in tutta la sua magnifica, incredibile “follia”. Il Figlio di Dio, Lui, la Sorgente della vita, Lui, la Vita stessa, viene inghiottito nell’oscuro, angosciante baratro della morte, perché l’essere umano, sprofondato e disperatamente immerso in quel baratro, possa, con la resurrezione di Gesù, risorgere anche lui a una nuova vita di comunione con il suo Creatore e acquistare, in Gesù, una nuova dignità, quella di figlio di Dio.
    La creatura, per di più ribelle, ora può chiamare il suo Creatore e Signore con l’affettuoso nome di “Padre”. E ogni battezzato può pronunciare questo nome con lo stesso cuore con cui Gesù si rivolge al Padre. Nemmeno gli angeli che si sono mantenuti fedeli a Dio possono avere con Lui una confidenza così intima e familiare!
    Padre, con quale cuore hai visto tuo Figlio morire su quella croce! Certo, sapevi che Egli sarebbe risorto, come lo sapeva Lui, ma neanche il pensiero della resurrezione ha potuto alleviargli le atroci sofferenze procurategli da tutte le torture che lo hanno ridotto a brandelli e che hanno ridotto a brandelli anche il tuo cuore di Padre. Sì, Padre, il renderci tuoi figli ti è costato caro. Il tuo cuore sanguinava per ogni goccia di sangue che Tu vedevi scorrere sul corpo di quel tuo Figlio innocente.
    Padre, l’umanità è infinitamente preziosa ai tuoi occhi. Allora, ti prego, non permettere che questa umanità si perda, allontanandosi da Te. Non permettere che l’essere umano, che Tu hai creato con amore e che, per tale amore, hai salvato sacrificando il tuo stesso Figlio, possa perdersi nel baratro della sua miseria e del suo peccato. 
    Non abbandonarci in balia di noi stessi, o Padre; te lo chiediamo in nome del tuo Figlio Gesù, che ha preso la nostra stessa natura; natura, quindi, che Tu, Padre, ami ora ancor più di quando l’hai creata, poiché tale natura è ora anche la natura del tuo Figlio prediletto. In Lui, per Lui, con Lui amaci, o Padre, e salvaci. 


18 Febbraio 2018 - I Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gen 9,8-15

L’alleanza fra Dio e Noè liberato dalla acque del diluvio.
Dal libro della Gènesi

Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra».
Dio disse:
«Questo è il segno dell’alleanza,
che io pongo tra me e voi
e ogni essere vivente che è con voi,
per tutte le generazioni future.
Pongo il mio arco sulle nubi,
perché sia il segno dell’alleanza
tra me e la terra.
Quando ammasserò le nubi sulla terra
e apparirà l’arco sulle nubi,
ricorderò la mia alleanza
che è tra me e voi
e ogni essere che vive in ogni carne,
e non ci saranno più le acque per il diluvio,
per distruggere ogni carne».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 24

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.


Seconda Lettura 1Pt 3,18-22

Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.
Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.


Vangelo Mc 1,12-15

Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli.
Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».



COMMENTO


    Un altro anno è passato. La pasqua dell’anno scorso sembra appena trascorsa… ed ecco, il credente già si ritrova, ancora una volta, a percorrere questo cammino di quaranta giorni, che lo condurrà a vivere, con una consapevolezza maggiore e più profonda rispetto a un anno fa, il “cuore” della propria fede: la morte e la resurrezione di Gesù.
    Ci si potrebbe chiedere perché la Chiesa invita i fedeli a ripetere, anno dopo anno, gli stessi percorsi liturgici. Sembrerebbe quasi una inutile ripetitività. Ma non è così. Si tratta, invece, di una continua, meravigliosa novità della propria vita spirituale, che le dà un carattere di perenne freschezza attraverso questo cammino di approfondimento e, a volte, anche di “riscoperta” o, addirittura, di “scoperta” del senso e del valore della propria fede. 
    Un anno dopo. Quante esperienze in questo anno trascorso! Quante riflessioni, quanti sentimenti suscitati da ogni esperienza che abbiamo vissuta! E ogni sentimento, ogni riflessione ha determinato dei cambiamenti più o meno profondi dentro il nostro essere. No, non siamo più gli stessi dell’anno scorso; e non solo umanamente, ma anche spiritualmente; infatti, lo Spirito Santo, che “lavora” incessantemente, in ogni istante, giorno e notte, nel credente, per formare in lui il “volto” di Gesù, ha “lavorato” anche noi con tutta la sua potenza d’amore. Oggi io somiglio a Gesù un po’ di più di quanto gli assomigliassi l’anno scorso. Ed è dalla mia situazione di questo momento che io inizio, oggi, un nuovo “cammino”, che mi dovrà portare ad assomigliare ancora di più al mio Signore. Per un credente è proprio questo il significato di quell’invito che Gesù fa alla fine del brano del vangelo odierno e che costituisce la sua prima parola “pubblica”: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Per il credente “il tempo compiuto”, cioè il tempo maturo, quello della realizzazione del progetto di salvezza ideato da Dio a favore di tutti gli uomini, è l’oggi, è ogni istante, poiché egli, dal momento in cui ha ricevuto il sacramento del battesimo, ha la presenza di Dio dentro di sé. Per mezzo del battesimo veramente “il regno di Dio è vicino”, talmente vicino da essere dentro di me, poiché il regno di Dio non è altro che Dio stesso presente e all’opera dentro la vita di ogni persona che l’accoglie come suo Salvatore e Signore. E la persona, accettando Dio nella sua vita, con il battesimo riceve, come dono, Dio stesso dentro di sé e questa Presenza le cambia la natura, che da soltanto umana diventa anche divina; un processo di divinizzazione, che ha inizio nell’attimo del battesimo e che viene portato avanti dallo Spirito Santo lungo tutto l’arco della vita del battezzato, fino all’ultimo suo respiro.
    “Convertitevi e credete al vangelo” è l’esortazione di Gesù ai suoi connazionali, suscitando sicuramente stupore e, magari, fastidio e rabbia. Come osava lui, ebreo, esortare altri ebrei come lui a “convertirsi”? Quella sua esortazione poteva avere ragione d’ essere se rivolta ai popoli pagani. Ma gli ebrei non adoravano già il vero, unico Dio? E, allora, in che cosa doveva consistere la loro conversione? Non capivano che la “conversione” a cui Gesù li esortava era una Persona, era Lui stesso, e che “il Vangelo”, la “Buona notizia” in cui dovevano credere, era, prima ancora che un annuncio di salvezza, proprio la sua Persona.
    E per me, già credente in Gesù, quale significato può avere la sua esortazione alla conversione e all’accoglienza della “buona notizia”? Non posso forse dire anch’io, come gli ebrei del suo tempo: “Ma io sono già convertito! Io credo già nel Vangelo!”? E rimango perplesso di fronte a un invito che sembra non debba toccarmi personalmente. Ma la parola di Dio è valida sempre, in ogni tempo, per ogni uomo, per ogni donna; anche per me, quindi. 
    Ed ecco, il vangelo di questa prima settimana di quaresima mi “informa” che Gesù, prima di iniziare la sua vita pubblica, ha trascorso quaranta giorni nel deserto. Solitudine e silenzio “avvolgevano” il suo stare con il Padre, mentre la potenza dello Spirito Santo fortificava la sua umanità, rendendola inespugnabile di fronte alle tentazioni del Maligno. Quel deserto è stato, in quei quaranta giorni, “dimora” della Trinità e l’intero Paradiso si è “trasferito”in esso. 
    Ora comprendo, Signore, che anche per me è importante il deserto. E finalmente mi è chiaro il senso della quaresima. Essa è il tempo del mio “deserto”, un tempo particolarmente intenso per la mia vita spirituale, un tempo in cui devo cercare di fare il più possibile silenzio nella mia mente e nel mio cuore, facendo tacere tutte quelle “voci “che quotidianamente attirano la mia attenzione e mi distraggono dalla tua Presenza dentro di me. 
    Quaresima. Stare, in maniera più intensa del solito, cuore a cuore con Te, “ascoltare” la tua voce attraverso i mille modi in cui Tu mi parli (la Sacra Scrittura, le tue parole che solo il cuore può sentire, i fratelli che Tu metti sul mio cammino, ai quali io dono Te e che, a loro volta, mi donano Te, la bellezza della natura che mi aiuta a contemplare la tua bellezza di Creatore,…).
    Quaresima. Lasciarmi “convertire” dallo Spirito Santo, lasciarmi “lavorare” da Lui con particolare docilità, perché Egli formi in me il volto di Gesù; e il Padre, vedendo in me il volto del suo Figlio prediletto, possa gioire anche di me.
    Quaresima. E questo mio deserto diventa “dimora” speciale, profonda e intensa di Te, o Dio. 


11 Febbraio 2018 - VI Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Lv 13,1-2.45-46

Il lebbroso se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento.
Dal libro del Levìtico

Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli.
Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 31

La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia.

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!


Seconda Lettura 1 Cor 10,31 – 11,1

Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.


Vangelo Mc 1, 40-45

La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.



COMMENTO


    Quale terrore doveva invadere il cuore di un ebreo nell’accorgersi che la sua carne era stata attaccata dalla lebbra! La Legge non dava scampo a chi fosse stato colpito da questa tremenda malattia. Quel passo del Levitico (prima lettura) risuonava come una condanna a morte, una morte non soltanto fisica, ma anche, e prima di tutto, civile. La persona affetta da lebbra perdeva la sua dignità e la sua identità, non poteva più vivere con gli altri suoi simili, doveva abitare “fuori dell’accampamento” vestita di stracci e doveva avvertire gli eventuali passanti della sua presenza gridando “Impuro! Impuro!”. Tremendo! La morte fisica molto probabilmente faceva meno paura e arrivava, magari, come una liberazione.
    Ma, ecco, da qualche giorno si sta diffondendo una notizia sconvolgente: un certo Gesù di Nazareth compie prodigi straordinari; guarisce ogni sorta d’infermità e scaccia persino i demoni, che non possono fare a meno di obbedirgli. “Forse potrebbe guarirmi!” si sarà detto, con tanta speranza nel cuore, quel lebbroso. E in questa speranza trova il coraggio di trasgredire la Legge; si avvicina a Gesù, si getta ai suoi piedi e gli chiede la guarigione. Quel “Se vuoi…” è indicatore di tanta umiltà e, nello stesso tempo, di tanta fiducia. Non esiste nel cuore di quel lebbroso nessun dubbio che Gesù abbia il potere di guarirlo. L’unico punto interrogativo è: “Lo vuole?”. “Lo voglio” risponde senza esitazione Gesù, preso dalla compassione per quell’uomo che, a brandelli in tutti i sensi, gli si presenta davanti. E la lebbra, al suo tocco, scompare. 
    Una gioia incontenibile ha certamente invaso il cuore di quell’uomo, che probabilmente era, per sua natura, un “chiacchierone”. Deve avere subito cominciato a gridare a tutti il miracolo che lo aveva “investito”, preoccupando non poco Gesù, il quale non voleva che la sua fama si diffondesse, per evitare proprio la situazione con cui si chiude l’odierno brano di vangelo: “Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti”. Ora è Gesù che se ne sta lontano dai luoghi abitati, per cercare di non essere letteralmente “divorato” dalla gente. Ma neanche il deserto lo salva dall’ “assalto” di chi ha trovato in Lui il taumaturgo che guarisce ogni tipo di malattia; infatti, “venivano a lui da ogni parte”. 
    Gesù avrebbe voluto evitare di essere cercato soprattutto, o addirittura soltanto, per il suo potere di guarigione. Egli era venuto in questo mondo per qualcosa di molto, molto più importante, di cui le guarigioni erano solo un segno. Egli, Dio, aveva assunto la natura umana, per ridarle la sua infinita dignità, ridotta a brandelli e sfigurata dopo il peccato originale. Quale devastazione aveva causato nell’uomo il suo orgoglioso, folle rifiuto di quel Dio che, con un atto d’amore gratuito, l’aveva creato! L’essere umano, “cosa molto buona” uscita dalle mani di Dio (tutto il resto era, invece, “cosa buona”) (Gen 1), creatura fatta a immagine e somiglianza del suo Creatore, allontanandosi da Lui aveva perso la sua dignità e la sua identità. Il peccato, come una tremenda lebbra dello spirito, aveva deturpato il volto di questa splendida creatura. Come fare per riportare quel volto alla sua bellezza originaria? Ed ecco, Dio, per “riportare a casa” questa creatura ribelle, ma ugualmente tanto amata, compie il cammino opposto a quello che aveva fatto l’uomo. Questi si era voluto orgogliosamente innalzare fino a Dio, desiderando diventare egli stesso Dio. Dio, con umiltà infinita, si “abbassa” al livello di questa sua creatura, assumendone la natura, una natura, per di più, non integra, come era uscita dalle mani del suo Creatore, ma una natura degradata, orribilmente deturpata. Gesù, il Figlio di Dio, in tutto simile all’uomo, fuorché nel peccato, per liberare dalla lebbra devastante del peccato l’essere umano, che con le sue sole forze non poteva guarire, ha preso su di Sé tale lebbra. Sulla croce Egli, come una calamita, ha attirato nella sua persona tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Morendo, ha fatto “morire” con Sé tali peccati. Risorgendo, ha fatto risorgere, in Lui, un’umanità nuova, liberata da ogni “pustola” spirituale, un’umanità ancora più luminosa di quella uscita dalle mani di Dio all’inizio della creazione.
    La “guarigione” dal peccato è un regalo di Dio per ogni persona che viene in questo mondo. Una sola è la condizione: accettare il Figlio di Dio come proprio Salvatore e Signore, accogliere la Buona Notizia, da Lui annunciata, di un Dio che è Padre e che vuole fare di ciascuno un suo figlio e aprirsi docilmente all’azione potente dello Spirito Santo, che “lavora” ogni fibra dell’uomo, per renderlo sempre di più figlio di Dio somigliante al Figlio.
    Ecco il meraviglioso progetto di salvezza elaborato dalla fantasia d’amore di Dio per questa sua creatura tanto amata, che è l’essere umano. E questa creatura ribelle, grazie all’amore tenace e fedele del suo Creatore, non solo può “ritornare a casa”, ma vi ritorna con l’anello al dito, segno della sua dignità di figlio. 
    Ti ringrazio, o Dio, per avermi amato fino al punto di sacrificare tuo Figlio innocente, per fare di me, che innocente non sono, un tuo figlio teneramente e appassionatamente amato. 
    Tu, o Padre, hai un unico desiderio: che io, diventato tuo figlio con il sacramento del battesimo, possa assomigliare al tuo Figlio prediletto Gesù, in modo che, vedendo in me il suo volto, Tu possa compiacerti anche di me come di Lui. E questo volto del tuo Figlio Gesù dentro la mia vita non è dato da segni eclatanti, da opere buone straordinarie, ma dalla mia quotidianità vissuta con la vostra presenza dentro di me. Siete Voi a dare senso e qualità alla mia esistenza.
    “Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” scrive Paolo ai Corinzi (seconda lettura). Ecco, Signore, il “segreto” della santità è tutto qui. La “gloria di Dio” non è altro che la manifestazione di Te, del tuo amore. In ogni cosa della mia vita, quindi, io devo far trasparire Te, la tua misericordia, la tua tenerezza, il tuo amore infinito, fedele e tenace. E’ la tua presenza dentro di me che permea di eternità la mia quotidianità e la fa diventare un barlume di cielo nella storia dell’umanità.
    Signore, dovunque io sia, qualunque cosa io faccia, aiutami ad essere sempre, nella mia quotidianità, limpida e luminosa trasparenza di Te. 


04 Febbraio 2018 - V Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gb 7, 1-4. 6-7 

Notti di dolore mi sono state assegnate.
Dal libro di Giobbe

Giobbe parlò e disse:
«L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?
Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
così a me sono toccati mesi d’illusione
e notti di affanno mi sono state assegnate.
Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”.
La notte si fa lun­ga
e sono stanco di rigirarmi fino all’alba.
I miei giorni scorrono più veloci d’una spola,
svanisco­no senza un filo di speranza.
Ricòrdati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 146

Risanaci, Signore, Dio della vita.

È bello cantare inni al nostro Dio,
è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d’Israele.
Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.
Grande è il Signore nostro,
grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri,
ma abbassa fino a terra i malvagi.


Seconda Lettura 1 Cor 9, 16-19.22-23

Guai a me se non annuncio il Vangelo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!
Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.
Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.


Vangelo Mc 1, 29-39

Guarì molti che erano affetti da varie malattie.
Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.



COMMENTO


    Perché la sofferenza? Perché la morte? Quante volte dal cuore dell’uomo si sono levate verso Dio (o verso il Destino) queste domande, a volte come un lamento, a volte come un urlo, a volte come una rassegnata richiesta di spiegazioni, a volte come una rabbiosa ribellione! 
    Perché io, uomo, devo soffrire, quando ogni mia fibra aspira alla felicità? Perché io, uomo, devo morire, quando ogni mia fibra aspira all’immortalità? Sono le domande più drammatiche della vita umana, poiché nessun uomo è esente dalla tragica realtà della sofferenza e della morte, esperienze che egli avverte estranee a sé, contro la sua natura, pur se esse fanno profondamente parte della sua esistenza.
    Anche Giobbe si è posto queste domande e alla fine ha dovuto ammettere che non poteva trovare risposte, che doveva accettare di non capire, che doveva semplicemente fidarsi di Dio. Ha tentato di fare a Dio delle obiezioni, mettendogli davanti la sua onestà, la sua fedeltà. “Se io ho sempre obbedito alla tua Legge, perché ora mi ritrovo in questa situazione di dolore?” è, in sintesi, il “rimprovero” che Giobbe fa a Dio. E Dio gli mette davanti la sua onnipotenza creatrice: “Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare?… Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo!” (Gb 38, 4-5.18) e continua a lungo su questo tono, fino a quando Giobbe, messo di fronte alla verità della sua piccolezza, non può fare altro che esclamare: “Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò” (Gb 40, 4-5). Nel libro di Giobbe, quindi, le domande sulla sofferenza e sulla morte rimangono senza risposta.
    Sarà il libro della Sapienza, il più recente dei libri dell’Antico Testamento (forse seconda metà del primo secolo a. C.), a dare una risposta chiara, precisa: “Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo” (Sap 2, 23–24). Eccola la risposta: il peccato originale, la tragedia più grande della storia dell’umanità. L’uomo, il capolavoro della potenza creatrice di Dio, non ha voluto riconoscere Dio come suo Creatore, desiderando addirittura di diventare Dio egli stesso. Non è stata forse questa la tentazione del serpente che ha fatto cadere ogni resistenza in Adamo ed Eva? Di tutti gli alberi dell’Eden essi potevano mangiare i frutti; solo dell’albero della conoscenza del bene e del male Dio aveva loro proibito di mangiare il frutto. La conoscenza del bene e del male (la conoscenza della verità, quindi), è, infatti, una prerogativa esclusiva di Dio, il quale è Lui stesso Verità (per questo Gesù, Figlio di Dio, ha potuto dire di Sé “Io sono la Via, la Verità e la Vita”). Mangiare di quell’albero significava, quindi, voler diventare come Dio, poter decidere da sé che cosa era bene e che cosa era male, che cosa era giusto e che cosa non lo era, poter decidere, così, della propria vita indipendentemente da Dio. Essere padrone assoluto della propria esistenza: è questo il desiderio dell’uomo di ieri, dell’uomo di oggi, dell’uomo di sempre! E Satana punta proprio su questo folle desiderio del cuore dell’uomo (lo stesso folle desiderio che aveva condotto lui, Lucifero, il più bello e il più intelligente degli angeli, a voler entrare in competizione con Dio) per distruggere il suo rapporto d’amicizia con Dio. Satana, che odia con tutte le sue forze ciò che Dio ama infinitamente, ha voluto rovinare lo splendido capolavoro di Dio, che era l’uomo. E la rovina è stata veramente grande. Appena l’uomo è uscito dalla “casa” di Dio, chiudendosi la porta alle sue spalle, si è improvvisamente e tragicamente reso conto della tremenda gravità del suo gesto, si è reso conto che avere “troncato” con Dio significava sperimentare ciò che è mancanza di Dio. 
    Dio è perfezione, è armonia. E l’essere umano ha sperimentato, a livello spirituale, morale, psichico e fisico, la mancanza della perfezione, dell’armonia; ha sperimentato, cioè, la malattia e la sofferenza.
    Dio è la pienezza della vita, è la Vita. E l’essere umano, come un ruscello staccatosi dalla sua sorgente, ha sperimentato la mancanza della vita; ha fatto, cioè, esperienza della morte.
    L’uomo ha preso subito coscienza della sua tragica condizione.“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi” (Gen 3,7). E’ una nudità spirituale prima ancora che fisica; è lo scoprire, nell’aver abbandonato Dio, di essere in una situazione di estrema “povertà”, di estrema miseria. L’essere umano, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, si ritrovava con un volto deforme, che egli stesso non riconosceva più; aveva perso la sua identità e la sua dignità. E a tutto questo dolore si aggiungeva la disperata consapevolezza che con le sue forze non avrebbe mai potuto ricostruire la sua amicizia con Dio. 
    Ma Dio non poteva abbandonare questa sua creatura infinitamente amata, pur se ribelle, in balia della sua miseria e della sua disperazione. Ed è intervenuto come solo un Dio-Amore poteva intervenire. Egli aveva creato l’uomo con una volontà libera, poiché voleva instaurare con questa sua creatura un rapporto d’amore; e l’amore non si impone mai, aspetta solo che l’altro risponda con altrettanto amore. L’uomo non aveva risposto con amore all’amore di Dio; aveva risposto con la follia dell’orgoglio presuntuoso, che gli aveva fatto sbattere la porta in faccia al suo Creatore. E Dio aveva dovuto rispettare questa sua scelta e le conseguenze di tale libera scelta: la sofferenza e la morte. Non poteva più eliminare queste tragiche conseguenze dall’esistenza dell’uomo; eliminarle avrebbe significato non rispettare fino in fondo la volontà libera di questa sua creatura. E allora è intervenuto su queste due tragiche realtà in una maniera incredibile, che l’essere umano mai avrebbe potuto lontanamente immaginare e desiderare: ha fatto prendere al Figlio innocente la natura umana, perché questa natura venisse “recuperata” e riportata alla sua bellezza originaria; anzi, a una bellezza e a una dignità ancora più grandi. L’uomo, con il battesimo, che lo “innesta” in Gesù, Figlio di Dio fattosi uomo, e, attraverso Lui, nella Trinità, acquista la natura stessa di Dio. Da quel momento la sua natura non è più semplicemente umana; la vita di Dio che “circola” in essa la divinizza. Attraverso il battesimo avviene un vero e proprio processo di divinizzazione dell’uomo, che, da quel momento, può rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre”. E l’essere umano, creatura ribelle, si ritrova immerso totalmente nell’amore infinitamente grande e infinitamente gratuito di Dio, che ora lo chiama “Figlio mio”.
    Ecco la “Buona notizia” che Gesù è venuto ad annunciare all’umanità. 
    “Tutti ti cercano”. Con queste parole Simone e gli altri interpellano Gesù, per presentargli le richieste di guarigione e di liberazione di tutti coloro che, avendo visto i prodigi fatti da Lui a Cafarnao, si erano recati là per poter essere curati. Ma Gesù, invece di accogliere le loro richieste, dà una risposta che deve essere risuonata strana alle loro orecchie: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono venuto!”.
    Sì, Signore, non erano e non sono i prodigi l’aspetto più importante della tua venuta nel mondo. “Tutti ti cercano”, certo, ma non tanto per essere guariti dalle malattie (guarigione che pure ha il suo valore), ma perché il loro cuore ha bisogno di Te, perché, anche se magari non ne hanno piena consapevolezza, nel profondo più profondo del loro essere c‘è l’esigenza di dare un senso bello e pieno alla loro vita, quel senso di figli amati appassionatamente e teneramente da Dio e che in tale amore trovano il respiro vero della loro esistenza. 
    Sì, Signore, “tutti ti cercano”. E io, che già ti ho trovato, devo annunciare al mondo ciò che Tu sei venuto ad annunciare. “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” scrive Paolo (seconda lettura). In questa espressione c‘è tutta la sua passione di figlio di Dio, che, abbracciato dall’amore misericordioso del Padre, vuole trasmettere agli altri la pienezza della sua gioia di creatura assunta alla dignità di figlio. Non c‘è nulla di più bello e di più grande da annunciare, Signore!
    “Tutti ti cercano”, Gesù. Rendimi capace di farti trovare anche attraverso il mio amore e la mia gioiosa riconoscenza.