29 Aprile 2018 - V Domenica del Tempo Pasquale


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura At 9, 26-31

Bàrnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore.
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 21

A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.

Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».


Seconda Lettura 1 Gv 3, 18-24

Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.


+ Vangelo Gv 15, 1-8

Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.
Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».



COMMENTO

    “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” dice il sacerdote, aspergendo con l’acqua il capo del battezzando e pronunciando il suo nome. E in quell’istante avviene un miracolo infinitamente grande, assolutamente inconcepibile per la mente umana: il battezzando sta “ricevendo” dentro di sé Dio stesso. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo stanno prendendo dimora in lui, gli stanno facendo dono della loro vita divina ed egli ora non ha più soltanto la natura umana, ma anche quella divina. Nel battesimo avviene un incredibile processo di divinizzazione dell’essere umano. E questa creatura, così fragile, così debole, ma così follemente amata dal suo Creatore, non solo viene liberata dalla prigionia del peccato originale, ma, cosa ancor più splendida, viene “attirata”, “immersa” nella vita stessa della Trinità. E un essere umano, poiché ormai in ogni sua fibra “scorre” la vita di Dio, ne diventa “figlio”e da questo momento egli si può rivolgere al suo Creatore chiamandolo con il tenerissimo nome di “Abbà”, “papà”. Nemmeno gli angeli possono avere con Dio una tale confidenza filiale! E’ questa la “Buona Notizia” che Gesù è venuto a portare all’umanità ancora immersa nelle tenebre profonde e tremendamente devastanti del peccato originale, di quel peccato, cioè, commesso dall’essere umano alle sue origini, quando, non volendo accettare la verità di essere una creatura e non riconoscendo, quindi, il suo Creatore, aveva desiderato, con folle orgoglio, di essere Dio egli stesso e aveva abbandonato il suo Creatore, sbattendo la porta di casa dietro di sé. Ma immediatamente si era scoperto “nudo”, aveva, cioè, in un attimo, preso coscienza della sua verità esistenziale, che, cioè, senza Dio, egli non poteva nulla, che egli, creato a immagine e somiglianza di Dio, separandosi da Lui, aveva perso la sua identità e non sapeva più riconoscersi, poiché non riusciva più a “vedere” nel suo “volto” il “volto” del suo Creatore, che gli dava identità e dignità. Uno sfacelo esistenziale, a cui l’essere umano, con le sue sole forze, non poteva rimediare. E tale consapevolezza portava con sé dolore e disperazione, mentre la nostalgia di quella “casa” lasciata con tanta sicumera di indipendenza stringeva il cuore in una morsa di gelo. 
    Ma Dio aveva già elaborato un suo progetto per “riportare a casa” quella sua creatura ribelle e infelice, un progetto che prevedeva per l’essere umano il dono di una dignità ancora più grande di quella originaria.
    “Io sono la vite, voi i tralci”. Splendida questa frase di Gesù, semplice, eppure ricchissima di significato, perché in tale metafora troviamo la nuova, incredibile dignità che Dio ha voluto donare alla persona umana. 
    La vigna è tra le immagini più usate nella Bibbia, poiché era una delle esperienze più familiari e quotidiane per il popolo ebraico. Quanta cura, quanto amore richiede una vigna, perché essa possa dare frutti abbondanti e di qualità! E Dio spesso si presenta, nei confronti d’Israele, come un vignaiolo pieno di attenzioni per la sua vigna, dalla quale si aspetta un buon raccolto. Gesù, però, durante l’ultima cena, sapendo che quelli sono ormai gli ultimi istanti della sua vita terrena che Egli sta vivendo con i suoi apostoli, si spinge molto oltre nel significato della vigna. Non c‘è più soltanto la cura e l’attenzione di Dio nei confronti del suo popolo. C‘è molto, molto di più; c‘è l’unione intima, profondissima tra Dio e l’essere umano. Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. “Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” dice Gesù ( Gv 14, 20), spiegando, subito dopo, il significato di tale espressione con l’immagine della vite e dei tralci. Egli sta dicendo ai suoi apostoli – e lo dice a ogni persona che viene in questo mondo – il perché Egli ha lasciato il Paradiso, il perché Egli, Dio, si è “svuotato” della sua divinità, prendendo la natura umana, la natura di una sua creatura. Il motivo è: “Io sono la vite, voi i tralci. Io sono la Vita divina, la Vita piena e voglio trasmettere questa vita divina e questa pienezza di vita anche a voi. Io, vostro Creatore e vostro Dio, voglio che voi diventiate una sola cosa con Me”. 
    Dio desidera che l’essere umano sia in comunione totale con Lui in questa vita e nell’eternità; è questa la vocazione fondamentale di ogni uomo e di ogni donna chiamati da Dio all’esistenza. Ed è con tale incredibile “regalo” d’amore infinito che Dio ha risposto a questa sua creatura, che Lo aveva abbandonato nella insensata ricerca di una libertà e di una indipendenza dal suo Creatore.
    All’essere umano che gli aveva sbattuto la porta in faccia, dicendogli: “Di Te non mi importa nulla; posso benissimo fare a meno di Te”, Dio ha risposto: “E Io continuo ad amarti, con fedeltà, con tenacia, con tenerezza, con tutto il mio essere e non ti abbandono in balia di te stesso, della tua fragilità, del tuo folle orgoglio, della tua infelicità!”. 
    Ed ecco l’incarnazione del Figlio di Dio. Dio prende la natura di una sua creatura, per poterle donare la sua natura divina! Se veramente avessimo una profonda consapevolezza di tale verità, al solo pensarla il respiro si fermerebbe e la contemplazione diventerebbe l’atteggiamento più “quotidiano” del credente. 
    “Io ti battezzo…”. E da quel momento lo Spirito Santo mi “lavora” senza sosta, per plasmare il “volto” del mio essere secondo il “volto” di Cristo, in modo che il Padre, guardandomi e vedendo in me le sembianze del Figlio prediletto, possa essere contento anche di me. Ed è l’amore il “volto” di Cristo, perché, come scrive l’apostolo Giovanni, “Dio è amore” (1Gv 4, 8). Allora, anche il mio “volto” di figlio di Dio deve essere un “volto” d’amore. Ma… come è possibile che io, creatura così fragile e debole, possa amare come ama Dio? Probabilmente è stata questa la domanda che gli apostoli hanno fatto a Gesù, quando Egli ha dato loro il “suo” comandamento: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Quel “come” deve aver fatto trasalire i cuori di quei poveri uomini. Gesù era il Figlio di Dio, era Dio Egli stesso. Ma loro…? Amare come Lui! Come poteva chiederlo? E, davanti ai loro sguardi perplessi e sbigottiti, Gesù li rassicura, facendo un’affermazione che probabilmente in quel momento essi non hanno compreso pienamente, poiché era l’affermazione di una unione intima tra Dio e l’essere umano, una realtà spirituale lontana dalla mentalità di un ebreo, che, pur nella proclamazione della forte vicinanza di Dio al suo popolo, tuttavia non osava nemmeno lontanamente pensare che Dio potesse entrare in una comunione profondissima con una persona al punto da donarle Se stesso.
    “Io sono la vite, tu sei un mio tralcio”. Signore, desidero “sentire” in ogni istante dentro il mio cuore questa tua frase e in ogni istante desidero ripetere al mio cuore questa stupenda realtà. 
    E la mia fragilità non mi fa più paura, non mi fa più temere di non poter amare “come” ami Tu. Il tralcio sa che non lui produce il grappolo d’uva, ma la vite, che, trasmettendogli la sua linfa, lo rende capace di produrre quegli acini grossi e succosi. E’ la tua vita, Signore, che scorre in me fin dal momento del battesimo, a rendermi capace di amare come Te, perché, da quel momento, lo Spirito Santo mi lavora per fondere la mia mente con la tua mente, il mio cuore con il tuo cuore.
    Capisco, allora, quella straordinaria frase di S. Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20) e, nella consapevolezza che il “portare frutto” non è un mio merito, ma un tuo dono che io devo accogliere con gioiosa gratitudine, anch’io, Signore, lasciandomi invadere e permeare ogni giorno di più, in ogni mia fibra, dalla “linfa” della tua vita, desidero poter dire: “Non sono più io che vivo, ma sei Tu, Signore, che vivi in me”. E Tu sei felice di amare e di “portare molto frutto” attraverso me. 




22 Aprile 2018 - IV Domenica del Tempo Pasquale


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura At 4, 8-12

In nessun altro c’è salvezza.
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:
«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato.
Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.
In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 117

La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.


Seconda Lettura 1 Gv 3,1-2

Vedremo Dio così come egli è.
Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.


+ Vangelo Gv 10, 11-18

Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».


COMMENTO


    “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Splendide e incredibili queste parole di Gesù. La conoscenza di cui Egli sta parlando non è quella intellettuale spesso fredda, senz’anima, che rimane solo a livello razionale e non riscalda il cuore. Egli sta usando tale vocabolo nel suo significato biblico. Nella Bibbia, infatti, questa parola indica una “conoscenza esperienziale”, una conoscenza dell’altro nella sua intimità più profonda, una conoscenza che è un entrare nell’essere dell’altro e diventare una cosa sola con lui. Gesù, quindi, sta dicendo a ogni persona credente in Lui: “Tu – e ciascuno può sentire pronunciato il proprio nome -, se vuoi, puoi entrare nel mio cuore, puoi entrare in una comunione profonda con me, la stessa comunione che vi è tra me e il Padre”. E, allora, attraverso Gesù, io, piccola, fragile creatura, posso entrare anche nel cuore del Padre e instaurare con Lui lo stesso rapporto di intimità che vi è tra il Padre e il Figlio! E, poiché dove c‘è una Persona della Trinità, vi sono anche le altre due, anche lo Spirito Santo fa parte di questo “Circolo” di comunione d’amore. Attraverso Gesù, allora, io vengo fatto entrare nel mistero stesso della Trinità e divento partecipe della vita che “circola” in Essa. E’ da vertigine questa realtà. E il respiro non può non fermarsi! 
    Essere in comunione con Dio, in questa vita e nell’eternità: ecco la vocazione fondamentale di ogni uomo, di ogni donna che Egli chiama all’esistenza. Ecco ciò che Gesù voleva comunicare ai suoi apostoli, durante l’ultima cena, dicendo: “ Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 5). E lo continua a dire a ciascuna persona che crede in Lui e Lo accoglie nella sua vita come suo Salvatore e Signore. Il tralcio non ha vita in se stesso, ma la riceve dalla vite, che fa passare in esso la sua linfa. E tanta più linfa il tralcio riceve quanto più ampio è il punto della sua attaccatura alla vite. Così accade per il credente. Con il battesimo la vita divina è “passata” in lui, divinizzandolo, facendolo, così, diventare figlio di Dio. E’ il dono infinitamente grande del Creatore per questa sua creatura infinitamente amata. Ma Dio chiede ai suoi figli di fare la loro parte attraverso quella libertà che Egli ha dato all’essere umano e che diventa la responsabilità di ogni uomo, di ogni donna di fronte al dono di Dio. La vita divina immessa nella persona al momento del battesimo è un “fiume” che vuole diventare sempre più ricco di acqua; ma la progressiva “quantità” di tale vita divina nel credente, l’intensità, cioè, della presenza di Dio in lui, dipende dall’apertura del suo cuore, del suo essere, a questo Dio che vuole abitare in lui con tutto il suo amore, per farlo essere una sola cosa con Lui.
    E, perché ogni persona potesse ricevere tale vita divina, il Figlio di Dio ha dato la sua stessa vita. “… Do la mia vita per le pecore” dice Gesù. Quanto è preziosa la mia vita, se Dio stesso ha dato la sua, perché io potessi diventare partecipe della sua divinità!
    “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”. Molto probabilmente gli apostoli non hanno immediatamente compreso il significato profondo di tale affermazione di Gesù. Essi facevano parte del popolo eletto e, da buoni ebrei, erano certamente convinti che il Messia sarebbe venuto per la salvezza e la gloria solo di Israele. Qualche voce universalistica vi era stata tra i profeti, ma non era stata molto ascoltata, seguita. La convinzione profonda del popolo era che la salvezza sarebbe stata appannaggio esclusivo di Israele. Ora Gesù parla di “pecore di altro recinto” ed è chiaro che si sta riferendo ai pagani, agli altri popoli che non fanno parte del “recinto” d’Israele. Sta cercando di far comprendere ai suoi apostoli che Egli è venuto a salvare ogni uomo, ogni donna a qualsiasi razza, a qualsiasi popolo appartengano, senza alcuna distinzione. 
    “Un solo gregge sotto un solo pastore”: ecco il “sogno” di Dio, il suo desiderio più profondo. Egli desidera fare di tutti gli uomini una sola famiglia, la sua famiglia, i cui componenti abbiano le sue stesse caratteristiche. “Dio è amore”: questa è la definizione che l’apostolo Giovanni dà di Dio (1 Gv 4, 8). Questo Dio–Amore, venuto in me nel momento del battesimo, attimo dopo attimo fa crescere in me la sua Presenza. Ed è Lui che, Presenza anche negli altri suoi figli, li rende miei fratelli e li fa essere una sola cosa con me.
    E l’umanità, allora, se vuole, può diventare quell’oceano d’amore, in cui Dio, con gioia infinita e con tenero e profondo orgoglio di Padre, può vedere rispecchiato il suo volto. 


15 Aprile 2018 - III Domenica del Tempo Pasquale


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura At 3, 13-15. 17-19

Avete ucciso l’autore della vita: ma Dio l’ha risuscitato dai morti.
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 4

Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.

Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!
Nell’angoscia mi hai dato sollievo;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.
Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore mi ascolta quando lo invoco.
Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene,
se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».
In pace mi corico e subito mi addormento,
perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.


Seconda Lettura 1 Gv 2, 1-5

Gesù Cristo è vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo.

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.


+ Vangelo Vangelo Lc 24, 35-48

Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».


COMMENTO


    “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto”; così ripete l’assemblea a ogni strofa del salmo responsoriale dell’odierna liturgia della parola. E’ questa, forse, la preghiera più alta e più esistenzialmente vera che possa sgorgare dal cuore dell’uomo; è la preghiera che esprime il bisogno di “identità divina” insito in ogni cuore umano, quel bisogno che riporta l’uomo alle sue origini, alla sua creazione, a quel progetto d’amore, per il quale Dio, quando, tra le sue mani, l’essere umano prese forma “a sua immagine e somiglianza”, “vide che era cosa molto buona”, affermando, così, che in questa sua creatura Egli vedeva il meglio della sua opera creatrice, il suo capolavoro. E l’uomo, da quel momento, per sentirsi pienamente realizzato, ha sempre sentito l’esigenza di cercare il “Volto” di Dio, per poter “trovare” il proprio “volto” di uomo, un’esigenza che si è fatta drammaticamente spasmodica da quando egli ha voltato le spalle al suo Creatore nell’orgogliosa pretesa di diventare come Dio, perdendo così la sua originaria, limpida somiglianza con Lui.
    “Risplenda su di me, Signore, la luce del tuo volto”. Sì, o Signore, ho bisogno del “tuo” 
“Volto”, per poter trovare il “mio” “volto”, per poter capire chi sono, per poter sapere qual è il senso della mia vita, per poter sapere che cosa avverrà di me dopo la mia morte.
    Ho bisogno della luce del tuo volto, Signore, perché, senza quella luce, la mia esistenza non riesce ad acquistare un senso pieno e definitivo e io mi ritrovo ogni giorno a “inventare” motivi fittizi, a cui do il valore di verità esistenziali, per vivere le mie giornate con una parvenza di pienezza, ma ritrovandomi ogni sera, nel veritiero silenzio del mio cuore, con un profondo vuoto esistenziale, alla ricerca, ancora una volta, di quelle risposte che diano significato pieno a ogni mio istante di vita.
    Ed ecco, Tu appari a porte chiuse a quegli uomini che, sgomenti per la tua morte, non sapevano che cosa fare; a quei cuori turbati e oppressi dalla paura Tu dici “Pace a voi!”. Ma gli avvenimenti di quegli ultimi giorni hanno sconvolto nel profondo cuori e menti. La tua apparizione porta ancora più sconcerto. Davanti a Te quegli uomini, che hanno ancora negli occhi il tuo corpo a brandelli penzolante da una croce, rimangono stupefatti, senza parole. La tua resurrezione, di cui Tu avevi pure parlato loro tante volte, è una realtà lontana dai loro pensieri e anche dalle loro speranze, nonostante le donne al mattino abbiano detto di averti visto vivo e i due discepoli di Emmaus, ritornando a Gerusalemme in piena notte, stiano raccontando loro con entusiasmo “ciò che era accaduto lungo la via e come ti avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Quegli uomini Ti guardano attoniti, ritenendoti un fantasma. E la tua voce risuona con maggiore terrore dentro le loro menti. Quel “Pace a voi!” li sconvolge ancora più profondamente. E Tu, che sei sempre molto comprensivo e sai venire incontro anche alle titubanze e alle paure del cuore umano, fai il gesto più quotidiano, per tranquillizzare quegli uomini che Ti osservano come inebetiti: chiedi qualcosa da mangiare e mangi davanti a loro la porzione di pesce arrostito che ti viene offerta. Finalmente le menti comprendono che cosa significhi “risorgere dai morti” e i cuori si aprono alla gioia! E Tu riprendi il tuo ruolo di “Rabbì”, ti rimetti pazientemente a spiegare tutto ciò che nella S. Scrittura Ti riguarda e doni a quegli uomini ancora un po’ “intontiti” la luce per comprendere ciò che Tu stai dicendo. Quindi, assegni loro un compito importantissimo, il più impegnativo che mai sia stato affidato agli uomini: annunciare a ogni uomo la “Buona Novella”, la splendida notizia che nel tuo nome egli può “convertirsi”, può, cioè, dare un senso nuovo e pieno alla sua esistenza, vivendo secondo il cuore di Dio e trovando, così, il suo vero volto esistenziale, nella certezza del perdono di Dio Padre, di fronte al quale Tu, Gesù, intercedi continuamente a nostro favore (seconda lettura). 
    E tale annuncio, dagli apostoli in poi, attraverso generazioni e generazioni di credenti, è giunto fino a noi, fino a me, dandomi la gioia di trovare in Te, Signore, le risposte a tutte quelle domande esistenziali, che, al di fuori di Te, non hanno alcuna risposta certa e duratura. 
    E anche a me Tu affidi il compito di annunciare la “Felice Notizia” a chiunque Tu mi metti accanto nella mia vita di ogni giorno. E il mio annuncio sarà credibile e incisivo nella misura in cui gli altri, guardando la mia vita, guardando il mio “volto” esistenziale, potranno intravvedere la tua vita, il tuo “Volto”, Signore. Tu, durante l’ultima cena, hai indicato chiaramente ai tuoi apostoli (e, attraverso loro, a tutti coloro che avrebbero creduto in Te) la “chiave” che può “aprire”, che può far “vedere”, il tuo volto: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34 – 35). E siccome qualcuno degli apostoli, preso dallo sgomento di fronte a tali parole, Ti avrà obiettato che amare per Te era facile, essendo un Dio-Amore, ma che per loro, poveri, deboli uomini, amare “come Te” sarebbe risultato impossibile, Tu hai risposto: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). 
    Hai proprio ragione, Signore. Non è impossibile, per il mio piccolo, debole cuore umano, amare come Tu mi ami, perché, di fatto, non sono io ad amare con le mie sole forze, ma sei Tu dentro di me che, per mezzo dello Spirito Santo, trasformi il mio cuore secondo il tuo cuore, che, addirittura, fondi il mio cuore con il tuo e lo rendi capace di amare come ami Tu. Una cosa sola Tu mi chiedi e, trattenendo il respiro, attendi la mia libera risposta: che a Te, che, risorto e vivo, vuoi entrare dentro di me, dentro la mia vita, dicendomi “Eccomi”, io risponda “Eccomi”, spalancandoti ogni fibra del mio essere. E al mio “Eccomi” di accoglienza Tu entrerai in me, mi illuminerai nel profondo con la luce del tuo Essere, il tuo “Volto” “plasmerà” a sua immagine il mio “volto” esistenziale. E io potrò, così, essere, per le vie del mondo, limpida, luminosa trasparenza di Te. 


08 Aprile 2018 - II Domenica del Tempo Pasquale


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura At 4, 32-35 

Un cuore solo e un’anima sola.
Dagli Atti degli Apostoli

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 117

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
Il Signore mi ha castigato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!


Seconda Lettura 1 Gv 5, 1-6

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.


+ Vangelo Gv 20, 19-31

Otto giorni dopo, venne Gesù.

Dal vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 


COMMENTO


    “Mio Signore e mio Dio!”. E’ l’atto di fede più grande. E’ il riconoscere Gesù come Dio e Signore. Eppure… la prima, grande proclamazione della divinità e della signoria di Gesù viene fatta dall’apostolo più dubbioso, Tommaso, un uomo che non si convince tanto facilmente, nemmeno di fronte alla testimonianza degli altri apostoli. “Abbiamo visto il Signore!” gli comunicano con gioioso stupore. Essi avevano dubitato all’annuncio delle donne, che, al mattino dopo il sabato, avevano trovato il sepolcro vuoto ed erano state informate da un angelo che Gesù non era più tra i morti, ma era risuscitato, come aveva predetto. Ora, però, non avevano più alcun dubbio; essi stessi, la sera del giorno della resurrezione, avevano visto Gesù risorto apparire, a porte chiuse, nel luogo in cui si trovavano e avevano ricevuto da Lui la pace e lo Spirito Santo, in un anticipo di Pentecoste. Con il cuore ancora trepidante per l’emozione “Abbiamo visto il Signore!” gridano all’unico assente. Si sarebbero aspettati di vedere sul suo viso la loro stessa gioia; invece… “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Quel “non credo” deve essere scoppiato nella testa e nel cuore degli apostoli come un lampo in piena notte. Tommaso non stava credendo alle loro parole! E, forse, in quel momento, essi hanno ripensato, con una certa vergogna e un po’ di rimorso, al dubbio mostrato di fronte all’annuncio che quello stesso mattino le donne avevano fatto loro. Non si stava ripetendo, in fondo, la stessa scena d’incredulità? Essi avevano dubitato di fronte alle parole delle donne; ora Tommaso dubita di fronte alle loro parole. Quanta incredulità, fin dall’inizio e lungo i secoli, ha accompagnato lo straordinario annuncio della resurrezione di Gesù!
    Trascorrono otto giorni. Stavolta tutti gli apostoli sono presenti. Gesù appare loro con le stesse modalità della prima apparizione; ma, dopo aver detto “Pace a voi!”, si rivolge direttamente a Tommaso, il quale deve avere sentito risuonare dentro di sé come una cascata impetuosa le parole che Gesù gli rivolge: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Il povero Tommaso deve essersi fatto piccolo piccolo per la mortificazione. Gesù aveva udito le sue parole! Eppure… non era presente, quando egli le aveva pronunciate! Solo Dio poteva sapere, Dio, che scruta il cuore dell’uomo e ne conosce i pensieri più reconditi. Ed ecco, dal profondo dell’essere di Tommaso prorompe quello che probabilmente è stato, nello stesso tempo, un grido e un sussurro: “Mio Signore e mio Dio!”. Tommaso non si avvicina a Gesù, non tocca le sue mani e il suo costato; non ne sente più il bisogno. Il Risorto è lì, vivo, e gli sta facendo comprendere che ha letto dentro il suo cuore, che vi ha trovato dubbi e perplessità e che è tornato una seconda volta proprio per lui, per fugare quei dubbi che lo attanagliano. Gesù è Misericordia e il suo cuore è sempre chinato verso le difficoltà e le debolezze degli uomini, per aiutarli a superare tutto ciò che, in loro, costituisce un ostacolo allo spiccare il volo verso l’infinito e l’eternità.
    Il pacato rimprovero fatto a Tommaso per la sua incredulità diventa, per Gesù, l’occasione per pronunciare l’ultima beatitudine del suo vangelo: “… Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
    Beati siamo noi, quindi, perché la nostra fede di credenti di oggi, di credenti di duemila anni dopo la resurrezione di Gesù, non è basata su un’esperienza sensibile, sull’esperienza del vedere e toccare i segni della sua passione, ma è fondata su un annuncio che, trasmesso di generazione in generazione lungo i secoli, è giunto fino a noi e che noi abbiamo accolto.
    “Tu, credente di oggi, sei beato” mi dice Gesù. Ed è vero; perché credere che Egli è il Figlio di Dio, morto e risorto e vivo in eterno, illumina la mia esistenza, mi permette di costruire la mia vita su una roccia salda di fronte alla violenza delle tempeste esistenziali, mi fa tenere gli occhi puntati continuamente sull’eternità e mi fa dire con incrollabile certezza: “Tu, Dio, mi hai chiamato all’esistenza e mi hai destinato all’eternità con Te. E’ stupendo: io esisto e non svanirò nel nulla dopo la morte fisica; io esisto e non morirò più!”.