24 Giugno 2018 - Natività di San Giovanni Battista


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 49,1-6

Ti renderò luce delle nazioni.

Dal libro del profeta Isaìa

Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome.
Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.
Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Io ho risposto: «Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».



Salmo Responsoriale Dal Salmo 138

Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda.


Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.

Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.

Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.



Seconda Lettura At 13,22-26

Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo.

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, [ nella sinagoga di Antiochia di Pisìdia, ] Paolo diceva:
«Dio suscitò per i nostri padri Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”.
Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele.
Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”.
Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza».



+ Vangelo Lc 1, 57-66. 80

Giovanni è il suo nome.


Dal vangelo secondo Luca

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.



COMMENTO


    “Giovanni è il suo nome” scrive Zaccaria, muto per la sua incredulità di fronte all’angelo che gli aveva annunciato la maternità di sua moglie Elisabetta, sterile e, per di più, avanti negli anni. Egli conferma, così, il nome che Elisabetta stessa aveva detto contraddicendo quanti volevano mettere al bambino il nome del padre. E in quel momento Zaccaria ricomincia a parlare. E le sue prime parole sono di benedizione a Dio, poiché egli sa quale stupenda missione è stata riservata da Dio a quel suo bambino. “… Sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” gli aveva annunciato l’angelo. E quel nome, che l’angelo stesso aveva indicato, conteneva in sé la missione di quel bambino. Giovanni, infatti, in ebraico significa “Dio è favorevole”. Quel bimbo, quindi, era destinato a mostrare al popolo d’Israele la benevolenza di Dio, che si sarebbe manifestata in pienezza con l’avvento del Messia, cioè del Figlio stesso di Dio. E Giovanni, da sei mesi concepito nel grembo di Elisabetta, sarà, dopo Maria, la prima persona che esulterà di gioia, quando, attraverso Maria in visita a Elisabetta, anche Gesù visiterà quella famiglia, come Luca racconta splendidamente nel suo vangelo. Un Bambino, il Figlio di Dio fattosi Uomo nel grembo di Maria, incontra un altro bambino, che, nel grembo della sua mamma, ne percepisce la presenza ed esulta, perché ormai tutte le promesse di Dio al suo popolo si sono realizzate, perché la salvezza piena, totale è lì, dentro il grembo di quella giovane donna. Il Figlio di Dio fattosi Uomo e colui che gli avrebbe preparato la strada nel cuore degli uomini si incontrano e gioiscono entrambi di quell’incontro, quasi assaporando anticipatamente quella gioia che trent’anni dopo entrambi avrebbero provato nell’incontro alle acque del Giordano, quando, aprendosi i cieli e scendendo lo Spirito santo, in forma di colomba, su Gesù, il Padre avrebbe presentato al mondo suo Figlio (cfr. Mt 3, 16-17). 
    Giovanni sarà il Precursore, colui che, con un annuncio appassionato, preparerà le strade al Signore. E sarà lui che, come profeta-ponte tra l’Antico e il Nuovo Testamento, indicherà fisicamente il Messia. “Ecco l’agnello di Dio!” dirà a due suoi discepoli “fissando lo sguardo su Gesù che passava”. Quei due discepoli diventeranno i primi discepoli di Gesù (cfr. Gv 1, 35-39).
    Il brano di Isaia, che costituisce la prima lettura, è il cosiddetto “secondo canto del servo del Signore”, che, insieme ad altri tre brani dello stesso profeta, presenta la figura del Messia. Non è un caso che liturgicamente tale brano sia stato scelto anche per la solennità della nascita di Giovanni Battista, quasi a sottolineare una sorta di identità tra la missione e la vita del Messia e la missione e la vita di questo grande santo. Ma non solo di lui. In tale brano, infatti, possiamo vedere delineati anche i tratti salienti della vita di chiunque abbia accolto Cristo come suo Salvatore e Signore e si sia, quindi, intimamente legato a Lui con una profonda adesione esistenziale: quel nome “pronunciato da Dio fin dal grembo materno”, quell’essere uno strumento nelle mani di Dio, perché Egli possa compiere le sue meraviglie e, così, manifestare la sua gloria, la sua potenza d’amore, quell’agire con gratuità, soltanto per costruire il regno di Dio, non abbattendosi per gli eventuali “fallimenti”, ma aspettando solo da Dio la ricompensa al proprio agire, quell’essere, nella propria quotidianità, “luce delle nazioni”, luce per i vicini, ma anche luce che, attraverso i misteriosi sentieri percorsi dallo Spirito Santo presente potentemente nel credente, può raggiungere ogni persona che vive sulla faccia della Terra. 
    Vita splendida quella del credente in Cristo, vita non sempre facile, a volte anche estremamente faticosa, ma sempre piena di significato profondo, perché piena di Dio. 


17 Giugno 2018 - XI Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Ez 17, 22-24

Io innalzo l’albero basso.
Dal libro del profeta Ezechiele

Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele.
Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà.
Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò».



Salmo Responsoriale Dal Salmo 91/92

È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.
I1 giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.


Seconda Lettura 2 Cor 5, 6-10

Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere graditi al Signore.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione – siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.


+ Vangelo Mc 4, 26-34

È il più piccolo di tutti i semi, ma diventa più grande di tutte le piante dell’orto.

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. 


COMMENTO


    “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”. Quale respiro di libertà, di ariosità e di freschezza in queste parole di Gesù!
Se soltanto noi cristiani comprendessimo in profondità questo suo discorso sul regno di Dio! Quante “sante” preoccupazioni in meno e quanto amore e rispetto in più nei confronti di coloro che non accettano Cristo o che addirittura Lo combattono! 
    L’ “uomo che getta il seme sul terreno” è il credente; il “seme” è il Vangelo di Cristo; il “terreno” è il cuore di ogni persona che vive in questo mondo. Spesso noi credenti, nel nostro desiderio di annunciare il vangelo al mondo, di “raggiungere i lontani” (espressione solitamente usata, quando si parla delle modalità di annuncio della “Buona Notizia”), utilizziamo tantissimo tempo e infinite energie per elaborare e attuare “strategie” efficaci perché l’annuncio del Vangelo di Gesù possa giungere al cuore di chi ancora non crede in Lui. Ciò, in sé, è una cosa buona; risponde, infatti, alla missione fondamentale che Gesù ha assegnato a tutti i battezzati di ogni luogo e di ogni tempo. Ma, purtroppo, può accadere che questo desiderio di annuncio del Vangelo non venga accompagnato da una salutare dose di umiltà, diventando quasi una presunzione di convertire a tutti i costi gli altri. Di tale “presunzione” il credente spesso non è neanche consapevole, scambiandola, anzi, per un amore ardente per Cristo e per il resto del mondo da “convertire”. Le conseguenze, però, di tale “presunzione” possono essere drammatiche per la stessa fede del credente. Può avvenire, infatti, che i cristiani, se trovano resistenza o addirittura un rifiuto nelle persone alle quali essi hanno annunciato il Vangelo, considerino questo atteggiamento come un rifiuto assoluto e definitivo di Cristo, nutrendo nel loro cuore, insieme alla delusione per il fallimento del loro annuncio, anche una sorta di acredine nei confronti di chi quell’annuncio ha rifiutato. Il cuore, allora, può diventare sempre più chiuso, giungendo, nei casi più estremi (ma nemmeno tanto infrequenti) a un atteggiamento di giudizio di condanna per le persone che hanno “osato” rifiutare l’annuncio, non “concedendo” quasi più a quelle persone la possibilità che un giorno possano rivedere le loro posizioni e diventare, magari, dei cristiani convinti e convincenti. Il credente, a quel punto, si è trasformato in un giudice severo, senza misericordia, senza speranza e senza amore, un credente che del cuore di Cristo non ha più nulla e che, senza quasi rendersene conto, rischia di perdere la vita eterna. 
    Invece, ecco il discorso di Gesù, che ci fa subito comprendere qual è l’atteggiamento giusto che il credente deve avere sia nell’annunciare il Vangelo sia nel rapportarsi con le persone a cui l’annuncio evangelico viene fatto. Il credente deve solo “gettare il seme sul terreno”, deve, cioè, solo annunciare Cristo e la sua Parola, con la vita prima di tutto, vivendo in pienezza tale Parola, e poi con le parole, facendo precedere e seguire ogni incontro di annuncio dalla preghiera, dallo stare “cuore a cuore” con il Signore, per farsi riempire del suo amore e della sua sapienza e annunciare, così, come Gesù annuncerebbe. Dopodichè, ecco la speranza, anzi, la certezza che da quel momento sarà lo Spirito Santo che lavorerà nel cuore di chi ha ricevuto l’annuncio e sarà Lui, solo Lui, che farà germogliare e crescere il seme della Buona Novella “gettato” in quel cuore, facendo produrre “spontaneamente” (con la potenza d’amore di Dio) “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”. 
    Un annuncio nella totale libertà del cuore, continuando a dare amicizia e amore anche a chi ha rifiutato l’annuncio più bello che possa essere fatto a un essere umano, l’annuncio di cui ogni essere umano ha più bisogno per dare un senso pieno alla sua esistenza. Libertà profonda del cuore sia in chi annuncia sia in chi riceve l’annuncio. E Dio, che ha creato l’essere umano come creatura libera e, per questo, responsabile del suo pensiero, del suo cuore e del suo agire, “guarda” con amore e gratitudine colui che, già credente, annuncia la sua parola di salvezza e con amore e speranza colui che, accogliendo tale parola, può diventare un altro dei suoi figli, dando gioia infinita al suo cuore di Padre. 


10 Giugno 2018 - X Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Gn 3, 9-15


Porrò inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna.Dal libro della Genesi

Dopo che Adamo ebbe mangiato dell'albero, il Signore Dio lo chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché tu hai fatto questo,
sii tu maledetto più di tutto il bestiame
e più di tutte le bestie selvatiche;
sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».


Salmo Responsoriale 
Dal Salmo 129


Il Signore è bontà e misericordia.

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore,
l'anima mia spera nella sua parola.
L'anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l'aurora.

Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe. 



Seconda Lettura   2 Cor 4, 13 -5,1


Crediamo, perciò parliamo.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi


Fratelli, animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: "Ho creduto, perciò ho parlato", anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio.
Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno.
Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne. Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli.



Vangelo   Mc 3, 20-35

Satana è finito.
Dal vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù venne con i suoi discepoli in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E' fuori di sé».
Gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa.
In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «E' posseduto da uno spirito immondo».
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».



COMMENTO

03 Giugno 2018 - SS. Corpo e Sangue di Cristo


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Es 24, 3-8

Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi.
Dal libro dell‘Èsodo

In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!».
Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrifi­care giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto».
Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 115

Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.

Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.


Seconda Lettura Eb 9, 11-15

Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza.
Dalla lettera degli Ebrei

Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.
Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?
Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.


+ Vangelo Mc 14, 12-16. 22-26

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.

Dal vangelo secondo Marco

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov‘è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.


COMMENTO


    “Il Corpo di Cristo” dice il sacerdote, mostrando al fedele l’ostia consacrata. “Amen” è la risposta. Quell’ “Amen” è l’atto di fede del credente: “Si, è così. Io credo che questa particola è veramente Gesù Cristo. Io credo che veramente sto per mangiare il mio Signore, il mio Dio!”.
    Se il cristiano, nel ricevere Gesù Eucaristia, fosse pienamente consapevole di ciò che sta avvenendo, dovrebbe sentire il suo cuore battere all’impazzata e dovrebbe trattenere il respiro, come si trattiene il respiro davanti a uno splendido spettacolo della natura, di fronte al quale le parole diventano solo un sacrilego rumore. E’ lo stupore profondo dell’essere, che percepisce quella bellezza come uno straordinario dono e che desidera solo farsi immergere in quella meraviglia, abbandonarsi in essa e da essa lasciarsi cullare.
    E’ veramente “folle” l’amore di Dio per l’uomo! Non gli è bastato prendere la natura umana (Lui, Dio, il Creatore, che prende la natura di una sua creatura!); non gli è bastato, per la salvezza di questa sua creatura ribelle, affrontare sofferenze indicibili, essere ridotto a brandelli, morire della morte più atroce e infamante, in un annientamento totale. Egli, follemente innamorato dell’essere umano, ha voluto addirittura farsi mangiare da questa sua creatura, perché essa potesse nutrirsi della vita divina e vivere alimentata da tale vita. Gli angeli stessi non hanno questo privilegio!
    “Io sono il pane della vita… Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 48. 51. 54. 56). Da duemila anni queste parole incredibili e sconvolgenti vengono dette dal Figlio di Dio a ogni persona che viene in questo mondo, vengono dette anche a me. Il mio Signore, per amore, mi invita a nutrirmi di Lui! E io, con gioia, accolgo il suo invito.
    Ho appena ricevuto Gesù Eucaristia. Non voglio masticarlo; Lo lascio sciogliere in bocca lentamente, desidero sentirlo “fisicamente” il più possibile. Ed Egli, dentro di me, continua a dirmi: “Vedi, tu, che Mi hai mangiato, rimani in Me e Io rimango in te”. Ecco il meraviglioso miracolo che il mio Signore compie venendo in me: mi fonde con Lui, creando tra Lui e me una comunione intima, totale. Gesù mi dona Se stesso, per trasformarmi in Lui. Egli, Figlio di Dio, aiuta me a vivere da figlio di Dio, pieno della vita stessa di Dio. Si comprende, allora, quella bellissima espressione di S. Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).
    “La gioia del Signore sia la nostra forza. Andate in pace” è il saluto del celebrante. Si, io vado in pace, perché ho ricevuto dentro di me il Dio della pace. Cristo rimane in me e mi chiede di portare, dovunque io vada, la pace e la gioia, di cui Egli ha inondato il mio essere.