29 Luglio 2018 - XVII Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 2 Re 4, 42-44

Ne mangeranno e ne faranno avanzare.
Dal secondo libro dei Re

In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.
Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».
Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 144

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.


Seconda Lettura Ef 4, 1-6

Un solo corpo, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.


+ Vangelo Gv 6, 1-15

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


COMMENTO


    Uno dei miracoli più straordinari è stato appena compiuto. Gesù, con soltanto cinque pani d’orzo e due pesci, ha sfamato una folla immensa, di migliaia di persone. E, quando tutti si sono saziati, Egli dice ai suoi discepoli di raccogliere i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. “Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo avanzati a coloro che avevano mangiato” annota l’evangelista Giovanni. Dio è infinitamente generoso e dà sempre molto, molto di più di quanto abbiamo bisogno; ma non sempre, o quasi mai, noi ce ne accorgiamo, poiché spesso noi non abbiamo consapevolezza di ciò di cui abbiamo veramente bisogno e chiediamo a Dio secondo quelle che noi riteniamo essere le nostre vere necessità. Fortunatamente lo sguardo di Dio vede molto più in là del nostro sguardo e interviene nel modo più opportuno, come lo sguardo di una mamma vede molto più in là dello sguardo del suo bambino e agisce per il bene del suo figlioletto, anche se il suo piccolo non si vede “accontentato” nel desiderio che ha espresso.
    “Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo avanzati…”. Di fronte a tale sovrabbondanza, come non pensare a uno dei discorsi più belli fatti da Gesù sulla provvidenza del Padre celeste? “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? … Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c‘è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi, dunque, dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?’. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate, invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 25 – 33). E’ significativo il verbo che Gesù usa ripetutamente: “Non preoccupatevi”, cioè “non occupatevi eccessivamente di queste cose, non fate di esse l’occupazione più importante della vostra esistenza, non impegnate tutte le vostre energie solo per queste cose”. Egli non dice di non occuparsene, non dice di non impegnarsi per trovare un lavoro e per svolgerlo nel migliore dei modi. Gesù non dice ai credenti in Lui di essere degli sfaticati, delle persone poco impegnate e poco responsabili in ciò che riguarda il proprio sostentamento e quello dei propri cari, ma fa elevare lo sguardo alle vette più alte, a quelle vette spirituali che danno il giusto significato anche al lavoro, al cibo, al vestiario, perché fanno “vedere” tutto con gli occhi di Dio. E lo sguardo di Dio mi proietta infinitamente più in là delle semplici esigenze materiali, che pure fanno parte della mia esistenza, ma che non costituiscono “il senso” della mia vita. Dio mi dice che ciò che rende piena di significato la mia esistenza è Lui stesso e ciò che Lo riguarda: la costruzione del suo regno. Ecco il perché del mio esistere in questo mondo, ecco lo scopo per cui ogni giorno, ogni istante della mia vita hanno un valore infinitamente grande. Dio, che, nel battesimo, è entrato in me e continua a vivere in me con la sua vita d’amore, mi affida l’incarico di farlo conoscere e amare da coloro che ancora non Lo conoscono e non Lo amano, affinché anche loro possano avere la gioia di sentirsi amati da Lui e di diventare suoi figli, trovando in Lui il senso vero e pieno del loro esistere. 
    “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia…”. Cosa ci può essere di più bello, per un essere umano, dell’aiutare Dio, con la sua gioiosa collaborazione, a “costruire” il Paradiso qui sulla Terra, facendo dell’umanità la famiglia di Dio, in cui tutti i componenti facciano a gara a chi ama di più, a chi fa intravvedere di più nella sua vita il “volto” d’amore di Dio?
    “…E tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Dio mantiene sempre la sua parola. Egli è un Padre che si preoccupa di ogni cosa che mi riguarda, anche delle cose minime, anche di quelle a cui io stesso non do assolutamente importanza. “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati” ha detto un giorno Gesù (Mt 10, 30). Io non mi metto a contare i capelli che cadono dal mio capo e quelli che vi crescono; Dio lo fa. Allora, che cosa devo temere? Io, credente in questo Dio che è Padre e che mette sempre la sua onnipotenza di Dio al servizio del suo amore di Padre, non temerò nemmeno di fronte alle crisi economiche più gravi. Laddove gli altri, che non conoscono l’amore provvidente del mio Dio, tremano per l’eventualità di perdere il posto di lavoro, con tutte le conseguenze che questo comporta, e si disperano, se tale eventualità si verifica, io rimango tranquillo, avendo la fiduciosa certezza che, se io ho fatto di Lui e del suo regno lo scopo e l’impegno primario della mia vita, mettendo tutto di me al servizio della costruzione del suo regno d’amore, Egli manterrà la sua parola e metterà tutta la sua potenza di Dio al servizio della mia esistenza, perché nulla mi manchi e la mia vita possa scorrere, giorno dopo giorno, dignitosa e serena, e io possa, così, avere come unica “preoccupazione” la costruzione qui in Terra di una piccola porzione di Paradiso.

 

22 Luglio 2018 - XVI Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Ger 23, 1-6

Radunerò il resto delle mie pecore, costituirò sopra di esse pastori.
Dal libro del profeta Geremìa

Dice il Signore:
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 22

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Seconda Lettura Ef 2, 13-18

Egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.


+ Vangelo Mc 6, 30-34

Erano come pecore che non hanno pastore.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.


COMMENTO


    Un’umanità dolente, un’umanità sbandata, disorientata, vagante senza un preciso percorso e senza una meta: ecco la realtà umana dopo il peccato originale. L’essere umano non sapeva più dare un significato alla sua vita, quel senso sicuro che costituisce la roccia salda sulla quale costruire la propria identità e la propria quotidianità. L’esistenza umana era caratterizzata dalla fragile precarietà del momento presente, priva di quella prospettiva di eternità che, sola, le può dare un respiro ampio e profondo. 
    E Dio interviene con l’infinita tenerezza del suo amore, per riprendere per mano questa sua creatura ribelle, ma pur tanto amata, e riportarla a casa, guidandola “per il giusto cammino” (salmo responsoriale). Manda suo Figlio dentro questa umanità, Lo fa diventare parte integrante di essa, per far diventare l’essere umano, attraverso il battesimo, “parte integrante” della Trinità. E da quel momento ogni persona, se vuole, può far parte della famiglia di Dio, non è più sola, ma percorre il suo cammino esistenziale insieme agli altri figli di Dio, in una comunione profonda, poiché uno stesso Spirito, quello di Dio, “circola” in tutti e li rende una cosa sola con Dio e tra di loro. Con la venuta del Figlio di Dio in mezzo all’umanità, ogni persona, se vuole, può non vagare più per sentieri incerti e sconosciuti verso mete altrettanto incerte e sconosciute.
    Gesù, “Via, Verità e Vita”, è la luminosa certezza della mia vita; Egli mi ha rivelato il senso profondo, stupendo del mio esistere. In Lui il mio cammino ha trovato il suo sentiero ben segnato e la meta è visibile al mio sguardo esistenziale. Procedo tranquillo e sicuro: il mio Signore cammina innanzi a me. 


15 Luglio 2018 - XV Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Am 7, 12-15

Và, profetizza al mio popolo.
Dal libro del profeta Amos

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».
Amos rispose ad Amasìa e disse:
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 84

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.
Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.


Seconda Lettura Ef 1, 3-14

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

[Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.]
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.


+ Vangelo Mc 6, 7-13

Prese a mandarli.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. 


COMMENTO


    “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo”. In un solo versetto Paolo usa per ben tre volte parole che esprimono il concetto di “benedire”. 
    “Benedire”, cioè “dire bene” di qualcuno.
    “Benedetto sei Tu, Padre”. Sì, o Dio, io “dico bene” di Te, perché Tu sei Amore e metti sempre tutta la tua potenza di Dio al servizio del tuo infinito amore per ogni essere umano che Tu crei nella gratuità del tuo amore e che, nella stessa gratuità d’amore, Tu chiami a diventare tuo figlio, innestandolo, attraverso il battesimo, nel tuo Figlio Gesù.
    Benedetto sei Tu, Padre, perché è il tuo amore per me, come per tutti, che ti fa continuamente “dire bene” di me, come di ogni persona che Tu chiami all’esistenza; un amore incredibile, il tuo, un amore fedele e tenace anche quando, nella nostra libertà, noi facciamo la scelta orgogliosa di non riconoscerti come nostro Creatore e nostro Dio e vogliamo percorrere una strada diversa da quella che Tu, col tuo amore di Padre, da sempre hai progettato per noi per condurci alla piena realizzazione della nostra vita e alla più profonda e più vera felicità esistenziale. Ma, di fronte alle nostre ribellioni, Tu, Padre, non ti arrendi; Tu continui ad amare. Insegui in ogni istante questa umanità, per ricolmarla continuamente di ogni benedizione spirituale. 
    E, grazie alla salvezza conquistataci da tuo Figlio Gesù con la sua incarnazione, passione, morte e resurrezione, Tu stesso, insieme a Lui e allo Spirito Santo, hai voluto farti “Benedizione” per noi. Nel battesimo, infatti, Voi entrate nel battezzato e lo divinizzate con la vostra Presenza. E un essere umano diventa, in Voi, anche divino.
    Sì, Padre, io Ti benedico, perché Tu hai voluto essere, insieme a Gesù e allo Spirito Santo, la piena, incredibile, straordinaria “Benedizione” per me. E l’eternità non mi basterà per esprimere la gioiosa gratitudine che io sento “vibrare” in ogni fibra del mio essere. 
    “Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati” si proclama nel canto al vangelo (Cfr Ef 1, 17–18). Ancora una volta è Paolo che fa “volare” il nostro spirito verso le vette più alte. E “la speranza” alla quale siamo stati chiamati dal Padre è meravigliosamente espressa dalla seconda lettura, probabilmente uno dei passi più belli dell’ “apostolo delle genti”. Ogni parola conduce nelle profondità del cuore del Padre e ci fa “assaporare” il suo amore, immergendoci nella contemplazione del suo stupendo progetto di salvezza per ogni persona che viene in questo mondo. 
    Anche noi, allora, potremo “dire” nel nostro intimo, con verità, le parole che il sacerdote pronuncia nella preghiera che “chiude” il rito d’inizio della celebrazione eucaristica di questa domenica: “Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell’uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere”. 
    E l’ “Amen” dei credenti esploderà come un gioioso e riconoscente canto di lode e di benedizione per questo splendido nostro Dio. 


08 Luglio 2018 - XIV Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Ez 2, 2-5

Sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.
Dal libro del profeta Ezechiele

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.
Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 122

I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.
Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.


Seconda Lettura 2 Cor 12, 7-10

Mi vanterò delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.


+ Vangelo Mc 6, 1-6

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.



COMMENTO


    Chissà come batteva forte il cuore di Gesù, mentre tornava a Nazareth, dopo i primi tempi della sua vita pubblica! Aveva già compiuto tanti miracoli dovunque era andato e certamente aveva le mani pieni di “doni” per i suoi concittadini: occhi spenti avrebbero finalmente visto la luce del sole e i visi delle persone amate, visi tante volte soltanto immaginati, gambe inerti avrebbero finalmente, con gioiosa fatica,“macinato” chilometri, orecchi chiusi avrebbero finalmente udito le voci più care, lingue immobili avrebbero finalmente pronunciato parole d’amore rimaste fino a quel momento solo in fondo all’anima. E tanto, tanto altro ancora…
    Era entrato a Nazareth sicuramente con un largo sorriso e gli occhi lucidi per la commozione. “Mi accoglieranno con affetto e con gioia” certamente pensava. E invece… ha sentito il suo cuore immediatamente stretto in un gelo mortale. Sguardi perplessi accompagnavano i suoi passi lungo le strade di quel villaggio che lo aveva visto bambino, adolescente, uomo e da cui si aspettava un caloroso abbraccio. 
    E quella sinagoga, nella quale aveva tante volte pregato insieme alla sua comunità, è diventata il luogo della “verità”: la sua, costituita dall’annuncio della “Buona Novella”, e quella dei suoi concittadini, che, invece di gioire per la bellezza del suo annuncio e per la fama delle meraviglie da Lui compiute, si sono chiusi nella loro gretta incredulità, originata dalla presunzione di conoscerlo. Non avevano potuto fare a meno di riconoscere la sua sapienza e i suoi prodigi. “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?” dicevano, infatti, molti, ascoltandolo e rimanendo stupiti. Ma, invece di accoglierlo proprio per aver riconosciuto la sua sapienza e i prodigi da Lui compiuti, Lo rifiutano per la conoscenza che hanno di Lui e della sua famiglia: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria?”, elencando perfino i nomi dei suoi parenti più stretti ( infatti,nelle lingue semitiche, caratterizzate da un vocabolario molto povero, le parole “fratello” e “sorella” indicavano anche i parenti prossimi).
    Gesù ci rimase molto male. “E si meravigliava della loro incredulità”; per cui poté fare ben poco di tutto ciò che avrebbe desiderato realizzare a beneficio dei suoi concittadini. Questi, presumendo di conoscerlo fin troppo bene, di fatto non avevano saputo guardare oltre la loro miope, presuntuosa conoscenza, chiudendosi, così, alla verità e alla salvezza.
    Signore, non rischiamo anche noi cristiani di commettere lo stesso errore dei tuoi concittadini? Non pensiamo, forse, anche noi di conoscerti bene, perché fin da bambini abbiamo sentito parlare di Te? Non siamo stati battezzati, quando eravamo ancora in fasce? Non abbiamo sempre partecipato alla messa domenicale? Non abbiamo fatto la prima comunione? Non siamo stati cresimati? Non ci siamo sposati in chiesa? Non diamo proprio in chiesa, durante una celebrazione eucaristica, l’estremo saluto ai nostri cari? Certo che ti conosciamo! Ma, ecco, mentre mi trovo a parlare con delle persone, qualcuno, che sa che io sono di fede cattolica, mi sta chiedendo il perché io sia cristiano e qualche altro mi chiede che io parli di Te. “Che domande!” penso tra me e me. Forse è la prima volta che mi si chiede così esplicitamente di parlare del Dio in cui credo. “Sono cristiano, perché sono battezzato e credo in Gesù Cristo”. Ho iniziato bene, mi sembra. Guardo i miei ascoltatori. E’ chiaro, dalle loro espressioni, che si aspettano che io dica qualche altra cosa. Mi sembrava che la mia spiegazione, pur estremamente sintetica, potesse bastare. Ma, a quanto pare, non è così. Devo parlare ancora della mia fede, devo parlare ancora di Te, Gesù, e mi sto rendendo conto, con terrore e vergogna, che non so dire altro. Eppure, pensavo di conoscerti bene. Avevo la certezza che di Te avrei saputo parlare per ore senza fermarmi un istante; e invece… sento uscire dalla mia gola dei suoni confusi, un balbettio quasi incomprensibile anche per me. I miei interlocutori mi fanno domande anche sui vangeli. E non ricordo bene nemmeno i nomi degli autori.
    E’ terribile, Signore! Chiamato a dare ragione della mia fede, non riesco a dare spiegazioni, non dico convincenti, ma neanche elementari. Allora, Gesù, non mi devo meravigliare dell’atteggiamento dei tuoi concittadini né posso giudicarli. Essi non hanno voluto conoscerti meglio, pensando di conoscerti bene. E io? Che cosa faccio io per conoscerti di più, per amarti di più, per aprire di più il mio essere alla tua presenza in me? 
    Aiutami, Gesù, a stare di più cuore a cuore con Te, ad ascoltarti e a conoscerti di più attraverso la lettura e la meditazione quotidiana dei vangeli, che mi raccontano la tua vita, i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri, le tue scelte, in modo che anche la mia vita, i miei sentimenti, i miei pensieri, le mie scelte seguano le tue orme e io, così, possa non solo dirmi cristiano, ma esserlo veramente nella concretezza della mia esistenza quotidiana. E, se qualcuno mi chiederà di parlargli di Te, io potrò finalmente mostrare, attraverso la mia gioia e il mio entusiasmo, la straordinaria bellezza di questo splendido Dio in cui credo e che riempie di significato ogni istante della mia vita. 


01 Luglio 2018 - XIII Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Sap 1,13-15; 2,23-24

Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo.
Dal libro della Sapienza

Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 29

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.


Seconda Lettura 2 Cor 8,7.9.13-15

La vostra abbondanza supplisca all’indigenza dei fratelli poveri.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».


+ Vangelo Mc 5, 21-43
Fanciulla, io ti dico: Àlzati!
Dal vangelo secondo Marco

[In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.]
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando [dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.



COMMENTO


    “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri (agli umili) è annunciata la buona notizia” (Lc 7, 22). Così Gesù aveva risposto ai due discepoli inviati da Giovanni il Battista, che, imprigionato subito dopo il battesimo di Gesù nel Giordano, aveva avuto notizia dei miracoli da Lui compiuti all’inizio della sua vita pubblica e che si chiedeva se fosse veramente arrivato il Messia tanto atteso. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” era stata, infatti, la domanda “inviata” da Giovanni a Gesù. A tale domanda Gesù risponde immediatamente con gesti concreti; “in quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi” (Lc 7, 18–21 ). La risposta “visibile” di Gesù fuga ogni dubbio nel cuore del Precursore, poiché quei miracoli, quei prodigi erano le azioni indicate dai profeti come i segni che avrebbero rivelato il Messia. Gesù, attraverso i fatti, sta dicendo a Giovanni: “Sì, sono io il Messia che deve venire; non bisogna aspettare nessun altro”.
    Nel vangelo odierno vengono narrati due miracoli di Gesù, a cui si collega la prima lettura, nella quale vengono trattate le due realtà più drammatiche della vita umana: la sofferenza e la morte. Da sempre queste due esperienze esistenziali hanno determinato il sorgere di domande su domande. L’essere umano costitutivamente, per sua natura, anela alla felicità e all’immortalità. Allora, perché esiste la sofferenza, anche quella degli innocenti? Perché esiste la morte, cioè la mancanza della vita? Perché Dio, che ha creato l’essere umano con questo anelito insopprimibile alla felicità e alla pienezza di vita, ha creato anche la sofferenza e la morte? E, se non è stato Lui a volere queste due realtà, da dove esse arrivano e perché Egli, con la sua onnipotenza, non le elimina? Domande angoscianti, a cui l’essere umano, con la sua sola ragione, non ha mai saputo dare risposte certe e definitive. 
    E’ nella prima lettura dell’odierna liturgia della parola, tratta dal libro della Sapienza, il più recente dei libri dell’Antico Testamento (forse seconda metà del primo secolo a. C.), che troviamo una risposta chiara, precisa: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi… Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità (per l’immortalità), lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo”. Ecco la causa di tutto: il peccato originale, la tragedia più grande della storia dell’umanità.
    L’essere umano, il capolavoro della potenza creatrice di Dio, non ha voluto riconoscere Dio come suo Creatore, desiderando addirittura di diventare Dio egli stesso. Non è stata forse questa la tentazione del serpente, che ha fatto cadere ogni resistenza in Adamo ed Eva? Di tutti gli alberi dell’Eden essi potevano mangiare i frutti; solo dell’albero della conoscenza del bene e del male Dio aveva loro proibito di mangiare il frutto. La conoscenza del bene e del male, cioè la verità, è, infatti, una prerogativa esclusiva di Dio; anzi, Egli stesso è Verità (per questo Gesù, il Figlio di Dio, si è potuto definire “Via, Verità e Vita”). Voler mangiare di quell’albero significava, quindi, voler diventare come Dio, poter decidere da sé che cosa era bene e che cosa era male, che cosa era giusto e che cosa non lo era, poter decidere, così, della propria vita indipendentemente da Dio. Essere padrone assoluto della propria esistenza: è questo il desiderio dell’essere umano di ieri, di oggi, di sempre! E Satana punta proprio su questo folle desiderio del cuore dell’essere umano (lo stesso folle desiderio che aveva condotto lui, Lucifero, il più bello e il più intelligente degli angeli, a voler entrare in competizione con Dio), per distruggere il suo rapporto d’amicizia con Dio. Satana, che odia con tutte le sue forze ciò che Dio ama infinitamente, ha voluto rovinare lo splendido capolavoro di Dio, che era l’essere umano. 
    E la rovina è stata veramente grande. Appena l’essere umano è uscito dalla “casa” di Dio, chiudendosi la porta alle sue spalle, si è improvvisamente e tragicamente reso conto della tremenda gravità del suo gesto, si è reso conto che avere “troncato” con Dio significava sperimentare ciò che è mancanza di Dio.
    Dio è perfezione, armonia. E l’essere umano ha sperimentato, a livello spirituale, morale, psichico e fisico, la mancanza della perfezione, dell’armonia, ha sperimentato in sé lo squilibrio totale, cioè la malattia e la sofferenza.
    Dio è pienezza di vita, è la Vita. E l’essere umano , come un ruscello staccatosi dalla sua sorgente, ha sperimentato la mancanza della vita, ha fatto, cioè, esperienza della morte.
    L’essere umano ha preso subito coscienza della sua tragica condizione. “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi” (Gen 3, 7). E’ una nudità spirituale prima ancora che fisica; è lo scoprire, nell’aver abbandonato Dio, di essere in una situazione di estrema “povertà”, di estrema miseria. L’essere umano, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, si ritrovava con un volto deforme, che egli stesso non riconosceva più; aveva perso la sua identità e la sua dignità. 
    E a tutto questo dolore si aggiungeva la disperata consapevolezza che con le sue forze non avrebbe mai potuto ricostruire la sua amicizia con Dio.
    Ma Dio non poteva abbandonare questa sua creatura infinitamente amata, pur se ribelle, in balia della sua miseria e della sua disperazione. Ed è intervenuto come solo un Dio-Amore poteva intervenire.
    Egli aveva creato l’essere umano con una volontà libera, poiché voleva instaurare con questa sua creatura un rapporto d’amore; e l’amore non s’impone mai, aspetta soltanto che l’altro risponda con altrettanto amore. L’essere umano non aveva risposto con amore all’amore di Dio; aveva risposto con la follia dell’orgoglio presuntuoso, che gli aveva fatto sbattere la porta in faccia al suo Creatore. E Dio aveva dovuto rispettare le conseguenze di tale libera scelta: la sofferenza e la morte. Non poteva eliminare dall’esistenza dell’essere umano (nemmeno dalla vita di un bambino, essendo questi, anche lui, un “ramo” dell’albero malato dell’umanità) queste tragiche conseguenze; eliminarle avrebbe significato non rispettare fino in fondo la volontà libera dell’essere umano. E allora è intervenuto su queste due tragiche realtà in una maniera incredibile, addirittura “folle”: ha fatto prendere al Figlio innocente la natura umana, perché questa natura venisse “recuperata” e riportata alla sua bellezza originaria; anzi, a una bellezza e a una dignità ancora più grandi. L’essere umano, con il battesimo che lo “innesta” in Gesù, Figlio di Dio fattosi uomo, e, attraverso Lui, nella Trinità, acquista la natura stessa di Dio. Da quel momento la sua natura non è più semplicemente umana, ma anche divina; la vita di Dio che “circola” in essa l’ha divinizzata. Attraverso il battesimo, infatti, avviene un vero e proprio processo di divinizzazione dell’essere umano, che, da quel momento, può rivolgersi a Dio chiamandolo con lo splendido, tenerissimo nome confidenziale di “Abbà”, “Papà”. E l’essere umano, creatura ribelle, si ritrova immerso totalmente nell’amore infinitamente grande e infinitamente gratuito di Dio, dal quale ora viene chiamato “figlio mio”.
    Ecco la “Buona Notizia” che Gesù è venuto ad annunciare all’umanità.
    Ed è la fede che mi fa accogliere il Figlio di Dio e il suo annuncio.
    “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. E’ con queste parole che Gesù inizia il suo ministero. Credere: atteggiamento indispensabile di ogni fibra del mio essere, perché la salvezza di Cristo possa irrompere con tutta la sua potenza nella mia vita. I miei occhi, allora, potranno vedere una realtà diversa da quella che i miei occhi fisici e la mia stessa ragione mi fanno vedere. “Perché vi agitate e piangete? – dice Gesù ai presenti, appena arrivato alla casa di Giairo -. La bambina non è morta, ma dorme”. Tutti lo deridono. La fanciulla, di fatto, è morta, è veramente morta. Ma al padre, a cui poco prima avevano annunciato la morte della figlioletta, Gesù aveva detto: “Non temere, soltanto abbi fede!”. E quel padre aveva creduto. “Fanciulla, io ti dico: alzati” dice Gesù alla bambina, prendendola per mano. “E subito la fanciulla si alzò”. 
    Fede immensa è anche quella della donna emorroissa. Tocca il mantello di Gesù, pensando che le basterà quel tocco dell’abito di Lui per essere guarita. E lo sarà per la sua fede. 
“Chi ha toccato le mie vesti?” chiede Gesù, appena si rende conto della forza che è uscita da Lui. La sua domanda suscita la meraviglia dei discepoli. “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: Chi mi ha toccato?” . Ma tutta quella folla non era accorsa a Lui e non si era accostata a Lui con la stessa fede di quella donna. “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
    Signore, fa’ che io abbia la fede semplice e forte di quella donna e di quel papà, fede di due cuori che, sperando al di là di ogni speranza umana, hanno saputo fidarsi di Te, hanno saputo “vedere” infinitamente oltre lo sguardo degli altri e hanno potuto, così, “strapparti” il miracolo che attendevano, dandoti la possibilità di poterti manifestare con il tuo vero volto, quello di un Dio che gioisce nel mettere sempre la sua potenza al servizio del suo amore per l’umanità.