30 Settembre 2018 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Nm 11, 25-29

Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo!
Dal libro dei Numeri

In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito.
Ma erano rimasti due uomini nell’accampamento, uno chiamato Eldad e l’altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell’accampamento.
Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell’accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me?
Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 18

I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Anche il tuo servo ne è illuminato,
per chi li osserva è grande il profitto.
Le inavvertenze, chi le discerne?
Assolvimi dai peccati nascosti.
Anche dall’orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro da grave peccato.


Seconda Lettura Gc 5, 1-6

Le vostre ricchezze sono marce.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco.
Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.


+ Vangelo Mc 9,38-43.45.47-48

Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c‘è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». 


COMMENTO


    “Spirito libero”. Così viene solitamente definita una persona non imprigionata in rigidi schemi, non guidata da preconcetti, non affetta da cristallizzazione intellettuale ed esistenziale, una persona dall’ampio respiro, dalla mente aperta, una persona mossa interiormente solo da un profondo bisogno di verità, di giustizia, di vera umanità, una persona che, nel rapportarsi con gli altri, non insegue orgogliosamente la propria affermazione, il proprio egoistico, miope tornaconto, ma cerca e desidera trovare, in tutti, un qualcosa di bello e di buono con cui “arricchirsi”, con cui crescere, mettendo, a sua volta, i propri talenti al servizio del bene di tutti, in una condivisione umile e gioiosa, che costituisce l’unico clima nel quale possono maturare, nella famiglia umana, abbondanti e duraturi frutti di pace. 
    E chi, più di Dio, può essere definito “Spirito libero”? Gesù, il Figlio di Dio, ci ha mostrato di Dio un volto nuovo, sconosciuto non solo alle religioni pagane politeistiche del tempo, ma anche allo stesso popolo d’Israele, che, per tale motivo, rimaneva sconcertato di fronte al suo parlare e al suo agire. “Chi ha visto me ha visto il Padre” aveva risposto Gesù all’apostolo Filippo, che gli aveva chiesto: “Mostraci il Padre” (Gv 14, 8 – 9). Egli faceva impazzire i suoi avversari, poiché essi, nell’attaccarlo, utilizzavano schemi mentali rigidi, ripetitivi, che funzionavano con coloro che usavano i loro stessi schemi, ma che fallivano miseramente di fronte a quel “Rabbì” di Nazareth, che pure non aveva fatto i loro stessi studi e che, quindi, a loro parere, non poteva avere una preparazione culturale, religiosa e dialettica adeguata alla loro. Gesù aveva una forza dirompente sulla loro rigidità intellettuale e religiosa, faceva “saltare” ogni loro logica e metteva profondamente in crisi le loro orgogliose sicurezze. E questo, perché Egli era uno spirito libero, come il Padre e lo Spirito Santo.“Libertà”, infatti, potrebbe essere uno dei nomi di Dio, poiché tale nome è insito nel nome fondamentale di Dio, quel nome che ne indica l’essenza stessa: “Amore”. “Dio è amore”; ecco la definizione che l’apostolo Giovanni dà di Dio (1 Gv 4, 8). Un Dio-Amore è guidato e mosso, nel suo progettare e nel suo agire, solo dall’amore. E l’amore non ha schemi rigidi, non segue una logica strettamente rigorosa, che spesso rischia di cadere in una presuntuosa miopia. Chi ama profondamente desidera solo il vero bene della persona amata e mette tutte le sue energie (fantasia, intelligenza, cuore) al servizio della realizzazione di questo bene. Chi ama profondamente non si lascia vincere da nessuna difficoltà, non si lascia abbattere nemmeno dall’eventuale ingratitudine della persona amata. Continuerà ad amare, perché il vero amore è fedele prima di tutto a se stesso. Per questo chi ama veramente rimane fedele alla persona amata.
    Dio è amore. Ha creato l’essere umano per amore e ha continuato ad amarlo anche dopo essere stato abbandonato da questa sua creatura, che non l’aveva voluto riconoscere come suo Creatore e Signore. Egli, nel suo amore infinito, gratuito e fedele, ha voluto salvare l’essere umano a ogni costo, anche a costo del sacrificio di suo Figlio innocente, affinché ogni uomo e ogni donna, nati con dentro di sé il germe del peccato, potessero diventare, per mezzo del battesimo, suoi figli, ritrovando, così, la loro splendida dignità e il senso vero della loro esistenza. Un progetto di salvezza che solo un amore incredibile avrebbe potuto ideare, un amore non legato a schemi, non limitato e non condizionato da sentimenti d’ira, di vendetta, anche di “giustizia” secondo i criteri umani. In fondo, Dio non avrebbe avuto tutto il diritto di essere adirato con l’essere umano che, invece di essere pieno di gratitudine, gli aveva sbattuto la porta in faccia? Non avrebbe avuto tutto il diritto di “farsi giustizia”? Questo sarebbe stato il criterio umano. Ma, fortunatamente per l’umanità, Dio non è “umano”. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” dice Dio attraverso il profeta Isaia (Is 55, 8 – 9). Dio è “Amore” e, per questo, è “Libertà”, quella vera, quella che è solo desiderio profondo e ricerca costante del bene e della felicità della persona amata.
    Signore, anche chi crede in Te diventa “amore” e diventa “libertà”, perché, come Te, anche lui si lascerà guidare soltanto dall’amore, in un dinamismo sempre nuovo e originale, per costruire il tuo regno d’amore, la cui pienezza è quella eternità con Te che Tu vuoi donare a ogni persona che chiami all’esistenza. E lo sguardo rivolto a Te e al tuo dono di eternità renderà veramente libera la vita dei tuoi figli, libera dalle sbarre del peccato, libera dalle sbarre di ogni prigione della mente e del cuore.
    Sei Tu, Gesù, che hai dato la più splendida definizione di “libertà”; l’hai data a Nicodemo, questo fariseo, “capo dei Giudei”, che, pur con tutta la sua preparazione religiosa, era ancora alla ricerca della verità. “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” gli hai detto (Gv 3, 8). Solo Tu, Signore, potevi dare una definizione così bella della libertà dei figli di Dio! Nicodemo era venuto da Te di notte per timore del giudizio degli altri farisei. Egli cercava la verità, ma era ancora prigioniero di sé, delle sue paure, del suo amor proprio. Tu hai reso i suoi occhi capaci di guardare lontano e al suo sguardo si sono improvvisamente spalancati orizzonti per lui fino a quel momento inimmaginabili, gli orizzonti infiniti e liberi dello Spirito di Dio. 


23 Settembre 2018 - XXV Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Sap 2, 12.17-20

Condanniamo il giusto a una morte infamante.
Dal libro della Sapienza

[Dissero gli empi:]
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 53
Il Signore sostiene la mia vita.
Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.
Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.


Seconda Lettura Gc 3,16-4,3

Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei, dove c‘è gelosia e spirito di contesa, c‘è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.
Canto al Vangelo Cfr 2Ts 2,14
Alleluia, alleluia.
Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo,
per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
Alleluia.


+ Vangelo Mc 9, 30-37

Il Figlio dell’uomo viene consegnato… Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». 


COMMENTO


    “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Questa domanda di Gesù deve essere arrivata come una sferzata nell’animo dei Dodici. Come rispondergli, sapendo bene che la discussione tra di loro era stata una banalissima contesa su un argomento che di alto aveva ben poco, su chi fra di loro fosse il più grande? Come poter giustificare una discussione simile agli occhi di quel loro Maestro che da anni, ormai, cercava, con una pazienza infinita, di far loro capire in che cosa consistesse la vera grandezza e la piena realizzazione dell’essere umano? Gesù, infatti, li esortava continuamente a distogliere lo sguardo dal miope cammino nell’angusta e opprimente pianura dei desideri umani di potere, di ricchezza, di dominio, per innalzarlo alle più alte vette dello spirito, dove il respiro è ampio e profondo, dove l’essere umano può trovare il senso pieno della sua esistenza nell’incontro esperienziale con Dio, l’Unico che “dice” a ogni persona la verità sul suo essere e le fa percorrere, con Lui accanto, quel cammino che può dare la vera, più profonda felicità. 
    I discepoli si davano da fare per individuare, tra loro, chi fosse il più importante. Gesù si dava da fare per salvare l’umanità, per realizzare il vero bene di ogni uomo e di ogni donna che Dio chiama all’esistenza. “Primeggiare” era il verbo che più fortemente faceva sentire la sua voce nel cuore dei discepoli. “Servire” era il verbo unico dentro il cuore di Gesù, servire l’essere umano, con tutto quello che ciò poteva comportare. 
    Quanto sono diversi i pensieri e i desideri di Dio dai pensieri e dai desideri degli uomini! Ecco perché un credente, quando fa vivere Dio dentro di sé e nella sua vita, diventa scomodo per coloro che sono lontani da Dio, perché a loro, mossi, nel profondo del loro cuore, dal desiderio di potere, di possesso, di dominio, egli mostra una verità esistenziale completamente diversa, che può dare molto fastidio, perché, in qualche maniera, provoca un confronto, che può condurre anche a una seria riflessione e, magari, a una profonda crisi esistenziale. E ciò non molti sono disposti ad accettare che avvenga, chiusi come sono nella grettezza della loro egoistica visione della vita. E allora vivere come figli di Dio somiglianti a questo Padre-Amore e a suo Figlio Gesù, che, nel suo amore per noi, ha voluto farci condividere il suo rapporto filiale con il Padre, può diventare motivo di incomprensioni con il mondo e, a volte, anche all’interno di una stessa famiglia, in cui vi possono essere persone che credono in Cristo e persone che Lo rifiutano, con una conseguente visione esistenziale molto diversa o addirittura opposta. E’ questa la croce da portare di cui parla Gesù, riferendosi al credere in Lui e al diventare suoi discepoli; è la croce della testimonianza e della fedeltà a Lui e al suo vangelo (cfr. vangelo e commento di domenica scorsa).
    Signore, Tu non hai promesso ai credenti in Te una vita facile. Tu, Verità, non ci hai ingannati, “indorando la pillola” per attirarci più facilmente a Te. Sei stato vero fino in fondo, mettendoci davanti tutte le difficoltà che avremmo potuto incontrare nel vivere secondo la tua parola, che è la parola del Padre, nel vivere secondo il tuo cuore, che è lo stesso cuore del Padre. Ci hai trattati da adulti, hai avuto fiducia in noi.
    E’ vero, Signore, non è facile seguirti, non è assolutamente “comodo”. Ma per nulla al mondo io rinuncerei a Te, poiché Tu solo mi offri una vita splendidamente piena di significato, perché sei Tu, Dio, il senso della mia vita. Tu, che sei Dio, nel tuo infinito, incredibile amore, umilmente Ti doni a me, mi riempi di Te, divinizzando la mia umanità e permeando di eterno ogni istante della mia quotidianità. E’ questa la gioia a cui l’essere umano anela nel profondo. E Tu, Dio, Ti sei messo al servizio di me, come di ogni persona, perché io potessi avere la pienezza di questa felicità esistenziale. 
    Con ogni mia fibra, con ogni mio respiro voglio ringraziarti, Signore. E l’unico modo per dirti il mio “Grazie” – e che costituisce anche l’unico modo per realizzare la mia vocazione di essere umano – è farti vivere dentro di me senza porti resistenze e ostacoli. Chi mi incontra potrà, così, intravvedere il tuo splendido volto d’amore e, magari, scoprire che niente al mondo dà più gioia del seguire Te. 


16 Settembre 2018 - XXIV Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 50, 5-9a

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori.
Dal libro del profeta Isaia

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?


Salmo Responsoriale Dal Salmo 114

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

Amo il Signore, perché ascolta
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l’orecchio
nel giorno in cui lo invocavo.
Mi stringevano funi di morte,
ero preso nei lacci degli inferi,
ero preso da tristezza e angoscia.
Allora ho invocato il nome del Signore:
«Ti prego, liberami, Signore».
Pietoso e giusto è il Signore,
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge i piccoli:
ero misero ed egli mi ha salvato.
Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei occhi dalle lacrime,
i miei piedi dalla caduta.
Io camminerò alla presenza del Signore
nella terra dei viventi.


Seconda Lettura Gc 2, 14-18

La fede se non è seguita dalle opere in se stessa è morta.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo

A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprov­visti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.
Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».


+ Vangelo Mc 8, 27-35

Tu sei il Cristo… Il Figlio dell’uomo dove molto soffrire.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». 


COMMENTO

   “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Di fronte a tali parole di Gesù chi sentirebbe immediatamente il proprio cuore scaldarsi per Lui? Chi, messo da Gesù davanti alla prospettiva di una sicura sofferenza per causa sua e del suo Vangelo, proverebbe grande entusiasmo e grande gioia al solo pensiero di seguirlo? Nessuno, che volesse attirare qualcuno dietro a sé e avesse anche solo un pizzico di buon senso, “offrirebbe” a quel qualcuno un futuro di dolore e di morte; certamente con proposte così “folli” creerebbe il vuoto attorno a sé.
    Gesù, però, non è né un folle né una persona priva di buon senso. Ma, riguardo a una qualsiasi frase, detta da Lui o da chiunque altro, occorre sempre situare tale frase dentro il discorso e dentro la situazione storica e sociale in cui essa è stata pronunciata. Estrapolare una frase dal discorso, di cui essa costituisce solo una parte, fa rischiare un fraintendimento, magari anche molto grave, di quanto l’autore di quel discorso voleva effettivamente dire. E, per quanto riguarda Gesù, questo rischio si è verificato spesso, nei duemila anni di storia del cristianesimo, e continua a verificarsi ancora oggi, o per una profonda ignoranza, presente anche in moltissimi cristiani, dei quattro vangeli, nei quali è narrata la sua vita, con i suoi gesti, le sue parole, le sue scelte e che costituiscono lo strumento privilegiato per conoscerlo profondamente, oppure per una strumentalizzazione delle sue parole in mala fede per interessi personali o di parte. Anche Gesù, durante la sua vita, ha dovuto combattere contro l’ignoranza e la mala fede, perché potesse far “passare” correttamente il suo messaggio. La sua frase sulla “croce da prendere” e sulla “vita da perdere”, per essere ben intesa, ha, quindi, bisogno di essere collocata dentro un discorso da Lui fatto e una situazione umana e sociale che l’evangelista Marco riporta in maniera molto sintetica e che vengono narrati molto più ampiamente e con maggiore completezza dall’evangelista Matteo. E’ proprio attraverso la narrazione di Matteo che si può comprendere appieno il significato di quella frase, che, fraintesa, ha tenuto, e tiene anche oggi, lontani molti da Gesù. 
    Matteo, alla domanda fatta da Gesù ai suoi apostoli: “Ma voi, chi dite che io sia?” riporta la seguente risposta di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. A tale risposta, più completa che in Marco, Gesù assegna a Pietro la missione di essere la “pietra” sulla quale Egli edificherà la sua Chiesa con queste parole (non riportate da Marco): “Beato sei tu, Simone, Figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 15 – 19). Sono poteri che solo Dio poteva avere. E Simon Pietro si sente dire che a lui, proprio a lui, un povero pescatore, saranno dati tali poteri. Noi spesso leggiamo o ascoltiamo i vangeli come se essi raccontassero delle favole, i cui personaggi vivono sopra una specie di nuvola, al di fuori e al di sopra della concreta realtà umana. Gesù, Maria, Giuseppe, Pietro e gli altri apostoli: “personaggi” che noi spesso rischiamo di immaginarci senza umanità, senza una loro quotidianità, senza una loro vita vera, concreta, fatta di gioie e di dolori, di speranze e di delusioni, di vittorie e di sconfitte, di sorrisi e di lacrime. Che cosa avrà provato Pietro nel sentirsi dire che a lui sarebbero stati dati gli stessi poteri di Dio? Non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo che lo avrebbe trasformato in un autentico testimone di Cristo, con lo stesso cuore e la stessa mente di Gesù; era ancora un povero, piccolo uomo, con le sue fragilità, con le sue meschinità, pur mescolate a una grande generosità e a un immenso affetto nei confronti del suo Maestro. Era ancora come tutti gli altri apostoli, che per strada discutevano animatamente su chi di loro fosse il più grande. Il cuore di quegli uomini, che pure avevano deciso generosamente di seguire Gesù, era ancora pieno di orgoglio, di amor proprio, di desiderio di grandezza e di superiorità sugli altri. Ed ecco, a lui, proprio a lui, Gesù dice che egli sarà il capo della sua Chiesa. Pur con un senso di timore di fronte a tale responsabilità, Pietro avrà avuto molto probabilmente anche un pizzico di orgoglio, di superiorità rispetto agli altri apostoli. Quali onori lo attendevano! Ma Gesù, da quel giorno, comincia a fare discorsi “strani”. Parla di una tremenda sofferenza che Egli dovrà affrontare, parla addirittura di una sentenza di morte nei suoi confronti, per cui Egli verrà ucciso. Il cuore degli apostoli si fa piccolo piccolo, la paura li attanaglia ogni giorno di più e in Pietro, oltre alla paura, probabilmente cresce anche un senso di delusione. Egli, che fino a quel momento aveva seguito un Gesù autore di miracoli prodigiosi e uscito sempre vincitore nelle diatribe con scribi e farisei, ora si sentiva dire che quel suo Maestro e Signore, il “Figlio del Dio vivente”, come egli stesso aveva avvertito con certezza nel profondo del suo cuore, doveva affrontare sofferenza e morte; una sconfitta, quindi. E non serviva a molto che Gesù aggiungesse che, dopo tre giorni, sarebbe risorto. Sulla resurrezione dai morti vi erano concezioni discordanti nel mondo ebraico. I Farisei la affermavano, i Sadducei la negavano. E si può facilmente immaginare quale confusione su tale argomento vi potesse essere nel popolo; anche in Pietro e negli altri apostoli, culturalmente molto semplici. Infatti, quando, sei giorni dopo il discorso sulla “croce da prendere” e sulla “vita da perdere”, Gesù, dopo essersi trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, “ordinò loro di non raccontare ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti, essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti” (Mc 9, 9 -10). Per gli apostoli la resurrezione dai morti era, quindi, una realtà sconosciuta; mentre la morte era un’esperienza concreta, esistenziale. Ed è a questa soglia tremenda che essi si fermano. Pietro non può accettare l’umiliazione che Gesù dovrà sperimentare. L’umiliazione del suo Signore diventa, di fatto, anche la sua umiliazione. E la morte del suo Signore significa anche la mancata realizzazione di quella Chiesa, di cui egli doveva essere la pietra–fondamento. Inoltre, potrebbe accadere anche a lui ciò che Gesù predice di sé. Tutto sta crollando dentro il cuore di Pietro. La delusione e la paura diventano talmente forti in lui che egli acquista il coraggio di rimproverare il Figlio di Dio. 
    Gesù avrà letto ciò che vi era il quel piccolo, debole, fragile cuore di uomo. Certamente ne avrà compreso le paure, le delusioni, le incertezze sul futuro. Ma non poteva permettere che fragilità e paure bloccassero la fede e la testimonianza dei credenti in Lui. E, “convocata la folla insieme ai suoi discepoli”, pone tutti di fronte a ciò che può comportare il seguirlo sul serio, fino in fondo.
    Noi viviamo in una società pluralista e tollerante. Ognuno si sente tranquillo nel professare la propria fede. Noi non proviamo la paura e l’angoscia di essere torturati e uccisi per la nostra fede. Ben altra, lo sappiamo, è la situazione dei cristiani in altre parti del mondo, in cui seguire Gesù comporta rischi gravissimi, fino alla perdita della stessa vita. Noi, però, qui viviamo serenamente la nostra fede; per questo ci riesce alquanto difficile capire il discorso di Gesù sulla “croce da prendere” e sulla “vita da perdere per causa sua e del Vangelo”. Egli, duemila anni fa, parlava a persone di religione ebraica, che, per seguire Lui, si sarebbero trovate magari nella drammatica necessità di scontrarsi con i propri cari per rimanere fedeli a Gesù, con una lacerazione affettiva che avrebbe spaccato il cuore. E poteva diventare addirittura tragica questa diversità di fede all’interno di una famiglia, poiché la diversità di fede diventava diversità di vedere e vivere la vita, diversità di valori, diversità di scelte fondamentali, esistenziali. Di tale “lotta” possibile all’interno di una famiglia parla lo stesso Gesù: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 51 – 53). In Matteo tale discorso viene riportato con un’aggiunta riguardante il “prendere la propria croce”, il “perdere la propria vita” e l’essere degno di Gesù: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 34 – 39). E, sempre nello stesso capitolo di Matteo, in alcuni versetti precedenti troviamo ancora parole di Gesù su quanto poteva, e può ancora oggi, costare il seguire Gesù, il fare di Lui il Signore della propria esistenza, il senso unico, assoluto della propria vita: “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (Mt 10, 17 – 18. 21 – 22). Parole, queste di Gesù, che valgono non solo per gli Ebrei e per i pagani del suo tempo convertitisi a Lui, ma anche per tutti coloro che nei secoli seguenti e fino alla fine dei tempi Lo hanno accolto e Lo accoglieranno come loro Salvatore e Signore.
    Gesù, noi, magari in buona fede, magari senza rendercene conto, abbiamo forse trasformato la fede in Te in una religione un po’stantia, fatta di riti, di formule recitate meccanicamente, una religione che non dice nulla al cuore degli uomini e non lo riscalda, una religione in cui manca la gioia e l’entusiasmo di sentirci veramente salvati da Te, amati profondamente dal Padre e vivificati dallo Spirito Santo, afferrati da Voi e immersi in Voi, pieni della vostra vita divina e canali della vostra acqua limpida e fresca, con la quale Voi desiderate irrorare la Terra. E fa’ che, se per essere veri testimoni di Te e del tuo Vangelo, dovremo affrontare difficoltà anche dolorose nella società e nelle nostre famiglie, possiamo avere, con coraggio e con amore, la perseveranza nella fedeltà a Te, perseveranza “sino alla fine”, che, secondo la tua promessa, ci spalanca le porte dell’eternità. 


09 Settembre 2018 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 35, 4-7

Si schiuderanno gli orecchi dei sordi, griderà di gioia la lingua del muto.
Dal libro del profeta Isaia

Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta, la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 145

Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.


Seconda Lettura Gc 2, 1-5

Dio non ha forse scelto i poveri per farli eredi del Regno?
Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.
Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?


+ Vangelo Mc 7, 31-37

Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».


COMMENTO


   A volte è proprio strano Gesù. Ha appena compiuto un miracolo e pretende che i presenti non divulghino la notizia. “Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano”. Ed è logico che fosse così, poiché lo stupore aveva invaso il loro animo ed essi non potevano fare a meno di proclamare: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”. Noi non avremmo fatto lo stesso? In quelle persone, inoltre, c’era un’attesa che noi non abbiamo e che, forse, non riusciamo a capire profondamente: l’attesa del Messia. Gli Ebrei attendevano con ansia l’arrivo di questo personaggio che avrebbe liberato il popolo d’Israele. La liberazione avrebbe potuto riguardare l’ambito spirituale, secondo alcuni, oppure l’ambito politico (liberazione dal dominio romano), secondo altri. In ogni caso, comunque, tutti concordavano sulle caratteristiche di tale personaggio: sarebbe stato dotato di poteri eccezionali, che gli avrebbero permesso di compiere segni prodigiosi, come quelli descritti nella prima lettura dal profeta Isaia, il quale addirittura coinvolge, nel rinnovamento prodigioso apportato dal Messia, la natura stessa: “Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua”. “Una nuova creazione – sembra dire Isaia -, un’esplosione di vita dove ora c‘è la morte, un ritorno alla perfezione e alla completezza dove ora ci sono l’imperfezione e la mancanza”. 
    Anche Gesù, a Giovanni il Battista, che, dalla prigione in cui si trovava, gli aveva chiesto, attraverso i suoi discepoli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”, aveva risposto non con un “Sì, sono io”, ma elencando i miracoli, ai quali gli stessi discepoli di Giovanni avevano assistito: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri (agli umili) è annunciato il Vangelo” (Cfr. Mt 11, 1 – 5). Anche Gesù, quindi, sembra ribadire il concetto di Isaia: “Io, il Messia, sono venuto per una nuova creazione, per riportare la vita dove ora c‘è la morte, per riportare l’armonia e la perfezione dove ora ci sono il disordine e l’imperfezione”.
    “Dite agli smarriti di cuore”. Così inizia il brano di Isaia, che costituisce la prima lettura odierna.
“Smarriti di cuore” di ieri, di oggi, di sempre. Chi può dire di non avere mai avuto nella propria vita momenti di smarrimento esistenziale? Anche la persona che si sente più sicura di sé, pienamente realizzata nelle sue aspirazioni, se con coraggio e umiltà guarda nel profondo del proprio essere, deve ammettere di avere, qualche volta, sperimentato, in maniera più o meno profonda, lo smarrimento del cuore, quel sentirsi fragili e impotenti di fronte a qualche grave difficoltà, a qualche dolore che spacca il cuore e toglie il respiro, di fronte… alla vita che diventa, per qualche motivo, improvvisamente difficile da vivere. E lo smarrimento è tanto più profondo e angosciante quanto più labili e incerti sono i valori che costituiscono le fondamenta della propria vita. E, di fronte alla consapevolezza della propria debolezza, della propria impotenza emerge dal profondo il bisogno di un aiuto sicuro, di una mano forte che lanci una corda e faccia uscire dalle sabbie mobili, da cui ci si sente inghiottire. 
    “Coraggio, non temere. Ecco il tuo Dio… Egli viene a salvarti”. Chissà se il sordomuto ha “udito” dentro di sé tali parole, mentre Gesù gli poneva le dita negli orecchi e con la saliva gli toccava la lingua?!
    E noi? Noi sappiamo “udire” queste consolanti parole, quando ci sentiamo prigionieri dello smarrimento del cuore? Sappiamo fidarci di questo Dio che viene a salvarci? Sappiamo, con totale fiducia, affidarci alla potenza del suo amore, che vuole sempre correre in nostro aiuto e darci la gioia della salvezza? Se la risposta del nostro cuore è affermativa, allora anche noi non potremo fare a meno di esaltare Dio proclamando con gioiosa gratitudine: “Egli fa bene ogni cosa!”. 


02 Settembre 2018 - XXII Domenica del Tempo Ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Dt 4, 1-2. 6-8

Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando… osserverete i comandi del Signore.
Dal libro del Deuteronòmio

Mose parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 14

Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.


Seconda Lettura Gc 1, 17-18. 21b-22.27

Siate di quelli che mettono in pratica la Parola.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c‘è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.
Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.


+ Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c‘è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, in­ganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».


COMMENTO


    Il cuore. Un semplice muscolo, fisicamente parlando; importantissimo, certo, anzi, il più importante, poiché dal suo perfetto funzionamento dipende la vita fisica di una persona; ma solo un muscolo, niente di più.
    Ma c‘è un altro cuore, esistenzialmente molto, molto più importante del muscolo cardiaco. E’ il cuore di cui parla Gesù nel brano di vangelo odierno. Nel linguaggio biblico il “cuore” è la sede delle decisioni fondamentali, è il “luogo” in cui si fanno le scelte esistenziali, quelle che costituiscono il senso profondo della vita e che determinano, giorno dopo giorno, passo dopo passo, la “qualità” dei pensieri, dei sentimenti, delle azioni. Il “cuore” esistenziale potremmo intenderlo come il “luogo” interiore, in cui la persona cerca e decide la verità del suo essere.
    “Ipocriti” Gesù chiama quegli scribi e quei farisei che si erano scandalizzati del fatto che i suoi discepoli avevano preso il cibo con mani non lavate, trasgredendo, così, la tradizione ebraica. “Ipocriti”, poiché essi badano all’esteriorità, preoccupandosi di salvaguardare l’apparenza. Il rispetto della Legge, quindi, è solo formale. Il loro “cuore”, cioè il loro essere, non viene assolutamente coinvolto, rimane distante dal cuore della Legge, che, invece, presuppone e richiede un rapporto profondo e vitale con Dio.
    La “verità” esistenziale viene affermata anche negli altri due brani dell’odierna liturgia della parola.
    “Osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo – dice Mosè al popolo d’Israele -. Li osserverete, dunque, e li metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli…”, una saggezza e un’intelligenza che non hanno una sorgente umana, ma divina. “Infatti – continua Mosè – quale grande nazione ha gli dei così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?”. Ecco il “segreto” della sapienza e dell’intelligenza del popolo d’Israele: la vicinanza di Dio, un Dio che con esso aveva voluto instaurare un rapporto addirittura esperienziale.
    “Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza – scrive l’apostolo Giacomo -. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi”. Un’affermazione molto forte, quest’ultima, che mette in guardia da una tentazione-illusione che, oggi come allora, il credente può avere, l’illusione, cioè, di essere a posto con Dio per il semplice fatto di conoscere la sua parola, di ascoltarla durante la messa domenicale o in qualche incontro di preghiera o in qualche momento di riflessione comunitaria. E magari c‘è anche dell’entusiasmo in tale ascolto. Ma… nella concretezza quotidiana quella parola ascoltata ha un’incidenza, è veramente luce per i nostri passi, determina la “qualità” dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni? Se così non è, anche noi potremmo sentirci dire da Gesù “ipocriti”, rimanendo, forse, meravigliati, perché ci sembrava che il semplice ascolto della parola di Dio e il “non fare male a nessuno”, come spesso diciamo, potesse bastare nel nostro rapporto con Lui. Ma Gesù, come sempre, vuole condurci ai livelli spirituali più alti, vuole spingerci a non accontentarci di camminare in pianura e di rimanere alle falde della montagna; vuole farci sollevare lo sguardo alle vette più elevate. Egli desidera introdurci nel cuore stesso del Padre, farci innamorare di questo cuore divino e far nascere in noi il desiderio di fondere con esso i nostri cuori. Perché questo è il progetto di Dio sull’essere umano; questa è la meraviglia che Egli vuole compiere nella vita di ogni persona che Egli chiama all’esistenza . 
    Dio, se nell’Antica Alleanza aveva voluto essere vicino in maniera speciale al popolo d’Israele, nella Nuova Alleanza, facendo assumere a suo Figlio la natura umana, ha instaurato con l’umanità un rapporto molto più profondo e coinvolgente. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché l’essere umano potesse diventare, con il battesimo, figlio di Dio. Ci può essere vicinanza più intima del Creatore con una sua creatura?
    Signore, il tuo desiderio più profondo, anzi l’unico, riguardante ogni persona che Tu chiami all’esistenza, è attirarla in Te, immergerla dentro il tuo cuore, fondere il suo cuore con il tuo e permeare del tuo amore tutta la sua vita.
    E io, Signore,voglio, con ogni mia fibra, con ogni mio respiro, lasciarti realizzare nella mia esistenza questo tuo splendido desiderio. Realizzalo, o Dio. E il mio cuore, allora, sarà, come il tuo, unicamente sorgente d’amore.