24 Febbraio 2019 - VII Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO






LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  1 Sam 26,2.7-9.12-13.22-23

Il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano.
Dal primo libro di Samuele

In quei giorni, Saul si mosse e scese al deserto di Zif conducendo con sé tremila uomini scelti di Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif.
Davide e Abisai scesero tra quella gente di notte ed ecco Saul giaceva nel sonno tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra a capo del suo giaciglio mentre Abner con la truppa dormiva all'intorno. Abisai disse a Davide:
«Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l'inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo». Ma Davide disse ad Abisai: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?».
Davide portò via la lancia e la brocca dell'acqua che era dalla parte del capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore. Davide passò dall'altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era grande spazio tra di loro. 
E Davide gridò:
«Ecco la lancia del re, passi qui uno degli uomini e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore».


Salmo Responsoriale 
Dal Salmo 102

Il Signore è buono e grande nell'amore.


Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia.

Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
e non conserva per sempre il suo sdegno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.


Come dista l'oriente dall'occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.

   

Seconda Lettura
  1 Cor 15,45-49

Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, 
così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.
Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.
Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.
E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.
 

  

Vangelo 
Lc 6,27-38

Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi.  Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio
».  



COMMENTO


    Si può immaginare l’espressione attonita apparsa sui volti dei discepoli nel sentire il loro Maestro fare affermazioni “impossibili”: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”. Come è possibile dire a un uomo, il quale ha ricevuto del male da un altro uomo, che deve perdonare, anzi, che deve amare il suo nemico, che deve fargli del bene, che deve benedirlo, che deve pregare per chi, magari, gli ha distrutto la vita? Un’assurdità! “Impossibile!” sarebbe il primo pensiero di qualsiasi uomo.
    La sofferenza provocata dalla cattiveria umana è tremenda; prende il cuore fin nelle profondità e lo stringe in una morsa gelida; piano piano da quel gelo di dolore si generano e si sviluppano i velenosi “tentacoli” dell’amarezza, della rabbia, del desiderio di vendetta. E violenza spesso si aggiunge a violenza, in un’infernale spirale, in cui l’ essere umano rischia di perdere, insieme alla pace del cuore, anche la sua umanità. Quanti uomini, vittime di violenza, sono diventati, a loro volta, più violenti degli uomini che avevano fatto loro del male!
    Eppure Gesù “osa” affermare che i nemici devono essere perdonati, addirittura amati e benedetti! Sembrerebbe pura follia; ma Gesù non ha mai detto parole vuote; Egli, per primo, ha sempre vissuto tutto ciò che predicava. E dalla croce, su cui stava morendo, perché l’uomo potesse ritrovare la sua identità e la sua dignità, perse dopo avere “abbandonato” Dio, Egli, con le ultime forze rimastegli, mormora: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Gesù sta invocando il perdono del Padre per coloro che l’hanno messo in croce, che lo scherniscono e lo deridono, mentre il suo corpo, ridotto a brandelli, viene sempre di più ghermito dal gelo della morte!
    No, Gesù non ha mai chiesto ai suoi discepoli nulla che Egli stesso, per primo, non abbia attuato. Ha potuto chiedere un amore “impossibile”, perché Egli, per primo, l’ha vissuto. “Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34). E in quel “come”ci sono la qualità e la misura dell’amore del cristiano, il quale è “immagine dell’uomo celeste”, cioè di Cristo, l’ ”ultimo Adamo”, come dice Paolo nella seconda lettura. Il primo uomo, Adamo, si era messo contro Dio, poiché voleva essere come Dio, non riconoscendo la propria condizione di creatura. Gesù è il Figlio di Dio, che, con un’umiltà infinita e sconcertante, si è fatto uomo, per essere l’uomo voluto da Dio, in perfetta comunione con Lui, l’uomo che desidera ciò che desidera Dio, che vuole solo ciò che vuole Dio, che agisce come agisce Dio. Ecco l’uomo nuovo, “l’uomo spirituale”. “E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” scrive ancora Paolo. “Abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra”, perché tutti siamo peccatori; ma “porteremo l’immagine dell’uomo celeste”, perché, con il battesimo, noi siamo stati “inseriti” in Gesù, come tralci uniti alla vite, e, quindi, abbiamo ricevuto, dentro il nostro essere, la sua vita. Dal momento del battesimo è la vita stessa di Cristo che “scorre” in noi e ci permette di avere gli stessi suoi pensieri e gli stessi suoi sentimenti. E quali sono i pensieri e i sentimenti di Gesù, se non i pensieri e i sentimenti del Padre? Quali sono i suoi desideri, se non i desideri del Padre?
    Ed è proprio il desiderio più profondo del Padre ciò che rende comprensibile quell’invito, altrimenti addirittura “disumano”, fatto da Gesù, di amare i nemici e di desiderare per loro solo il bene. “Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono” troviamo nel salmo responsoriale. Ecco lo splendido mistero svelatoci pienamente da Gesù: Dio è Padre! Questo Dio-Padre crea ogni uomo per amore, lo “chiama” a diventare suo figlio adottivo, per mezzo di suo Figlio Gesù, gli prepara un posto con Lui in Paradiso e desidera che ogni essere umano creato possa eternamente occupare quel suo posto ed essere pienamente felice con Lui.
    Quale gioia provano un padre e una madre, quando, in occasione di qualche festa, vedono riuniti tutti i figli che, per un motivo o per un altro, avevano lasciato da tempo la casa paterna!
    Se immensa è la gioia di due genitori umani, quale deve essere la gioia di un Dio-Padre, che vede realizzarsi il suo sogno sull’uomo! Per tale sogno il Padre ha permesso addirittura il sacrificio del Figlio innocente, per salvare figli che innocenti non erano, ma da Lui pur sempre infinitamente, appassionatamente e teneramente amati.
    Ciò che ha dato a Gesù la forza di arrivare fin sulla croce e di restarci sino alla morte è stato il suo infinito amore per il Padre e, conseguentemente, per l’uomo. Tra Lui e il Padre l’unità era totale, perfetta, al punto che Gesù poteva dire: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45) e ancora: “Se conoscete me, conoscerete anche il Padre. Le parole che io vi dico, non le dico da me, ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,7.10-11).  Ma Egli ha anche detto: “Io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (Gv 14,20). Allora anche il cristiano è profondamente unito a Gesù e al Padre e, quindi, può avere in sé i loro stessi pensieri, i loro stessi sentimenti e può desiderare ciò che essi desiderano. E, come Gesù ha avuto come unico desiderio quello di far contento Dio, “aiutandolo” a realizzare il suo progetto di salvezza per l’essere umano, così anche il credente deve avere come desiderio fondamentale, in cui tutti gli altri desideri e tutti i progetti trovano il loro senso e il loro scopo, quello di far contento il Padre, di far gioire il suo cuore paterno come l’ha fatto gioire Gesù.
    Dio Padre desidera che ogni uomo e ogni donna abbiano nel cuore soltanto amore, che vivano soltanto per amare e che un giorno possano vivere in pienezza eternamente con Lui. Tale desiderio del Padre, però, deve sempre “fare i conti” con la libertà dell’essere umano. Questi, quando vive egoisticamente, pensando solo ai propri interessi e, per tale motivo, in qualche modo “usa” gli altri uomini, per soddisfare i suoi desideri, oppure nel suo cuore nutre progetti di male contro un suo simile o addirittura fa della violenza e della sopraffazione il senso della sua vita, mette a repentaglio la sua salvezza eterna, rischia di non occupare, per l’eternità, quel posto che il Padre gli ha preparato. Alla tavola imbandita dell’eternità con Dio quel posto rischia di rimanere vuoto.
    Un padre e una madre, se, dopo avere atteso per anni il ritorno di tutti i loro figli, vedono vuoto il posto a tavola che un figlio doveva occupare, non hanno forse un grande dolore dentro il loro cuore? E la presenza degli altri figli non compenserà certamente l’assenza dolorosa di quell’unico figlio non tornato a casa.
    Infinitamente più grande è il dolore di Dio Padre nel vedere un posto vuoto alla tavola imbandita dell’eternità.
    Allora io, se amo il Padre e desidero ciò che Egli desidera, quando, eventualmente, qualcuno mi farà del male, potrò certo provare dentro di me, come primo impulso, un senso di rabbia e magari pensieri di violenza potranno sfiorare la mia mente; ma, se, nella mia esistenza quotidiana, sono abituato a “dialogare” con Dio, ad ascoltare e a mettere in pratica la sua parola, cercando di dargli gioia con la mia vita, allora, dopo il primo momento di naturale “sbandamento”, io saprò immediatamente mettermi davanti a Lui e gli chiederò: “Signore, che cosa  faresti tu, se fossi al mio posto?”. “Guardando” Dio, conoscendo il suo modo di pensare e di agire, la risposta arriverà chiara e forte dentro di me: “Ama come Io amo te; perdona come Io perdono te; dimentica le offese ricevute come Io dimentico i tuoi peccati, gettandomeli alle spalle; fai solo del bene come Io faccio, a te e a ogni uomo, solo del bene. E prega per la conversione di chi ti ha fatto del male, perché il mio cuore di Padre trepida per questo mio figlio, che, facendo del male, rischia di stare eternamente lontano da Me e di essere, quindi, eternamente infelice”.
     Anch’io, allora, come Gesù sulla croce, troverò la forza per dire: “Padre, perdona questo tuo figlio, mio fratello in Te, perché non sa quello che fa”. Sì, perché l’essere umano, se sapesse quale immenso, straordinario tesoro rischia di perdere, non sciuperebbe neanche un attimo della sua vita, neanche una briciola delle sue energie, per progettare e attuare il male, ma, con gli occhi continuamente rivolti a Dio e il cuore sempre immerso nel suo cuore, cercherebbe di vivere in ogni istante con lo stesso amore di Dio e comincerebbe, così, a sperimentare già nel tempo la bellezza dell’eternità.

17 Febbraio 2019 - VI Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO





LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura  Ger 17,5-8
Maledetto chi confida nell'uomo; benedetto chi confida nel Signore.

Dal libro del profeta Geremia
Così dice il Signore:

«
Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,
che pone nella carne il suo sostegno
e dal Signore allontana il suo cuore.
 Egli sarà come un tamerisco nella steppa,
quando viene il bene non lo vede;
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l'uomo che confida nel Signore
e il Signore è sua fiducia.
Egli è come un albero piantato lungo l'acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell'anno della siccità non intristisce,
non smette di produrre i suoi frutti
».

   

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 1

Beato chi pone la speranza nel Signore.

Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.

Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.

Non così, non così gli empi:
ma come pula che il vento disperde;
Il Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via degli empi andrà in rovina.

   

Seconda Lettura
  1 Cor 15,12.16-20

Se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.
 

  
Vangelo   Lc 6,17.20-26

Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante.
C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. 

Ma guai a voi, ricchi, perché avete gia la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti
». 


COMMENTO


    Le beatitudini: un annuncio sconcertante, che sconvolge tutti gli schemi umani, un totale capovolgimento del modo di pensare dell’uomo. Ci vuole coraggio a proclamare “beati” i poveri, gli affamati, i perseguitati! Gesù ha avuto questo coraggio. Solo Lui poteva averlo, perché solo Lui poteva promettere e assicurare all’uomo una piena, eterna felicità dopo le tribolazioni, le fatiche e le sofferenze affrontate in questa vita.
    Le beatitudini, di fatto, non si possono comprendere profondamente se non in rapporto alla vita eterna, la cui “pienezza” è la resurrezione (seconda lettura), quel meraviglioso prodigio per cui, alla fine dei tempi, ogni corpo umano verrà da Dio “ricostruito” e riunito alla sua anima, dando luogo a una splendida, nuova realtà, il corpo spiritualizzato, in cui l’anima, totalmente “riempita” di Dio, sarà come un’energia potente, una luce, che, dall’interno, illuminerà, vivificandola, ogni fibra, ogni cellula del corpo. La gioia, data dalla presenza di Dio, sarà veramente “piena”, perché l’essere umano ne sarà “permeato” nella sua totalità di spirito e di corpo. E sarà gioia per l’eternità!
   Allora le beatitudini, così “lontane” dal “normale” modo di pensare e di vivere la vita, acquistano senso e diventano certezza, poiché le ha promesse il Figlio di Dio, quel Gesù di Nazareth che, con la sua resurrezione, ha dato la prova più importante della sua divinità. Solo Dio può vincere la morte. E Gesù l’ha fatto, spalancando, così, orizzonti infiniti alla vita dell’uomo. A questo uomo, vagante nel tunnel delle incertezze esistenziali e angosciato dal pensiero della morte come fine totale e definitiva del suo essere, Gesù, con la sua resurrezione, ha “detto” che la morte non è l’ultima parola della vita umana, ma solo la penultima; l’ultima parola dell’esistenza dell’uomo è l’eternità con Dio, è la pienezza della vita.
    Questo Dio, che vuole l’ uomo eternamente felice, non può, comunque, “costringerlo” alla felicità. Dio è amore, ha creato l’essere umano per amore e ha voluto che questa sua creatura potesse entrare in un rapporto profondo d’amore con Lui. Ma l’amore non si impone né può essere conquistato con la forza. L’amore presuppone una scelta e, quindi, una libertà. Ecco perché Dio, nel creare l’uomo, l’ha voluto libero. Solo nella libertà l’ essere umano avrebbe potuto decidere se accettare o no la proposta di Dio di un rapporto d’amore personale, unico, con Lui. E’ questo il contenuto della prima lettura. L’uomo può decidere di credere solamente in se stesso, di fidarsi soltanto delle proprie forze, di costruirsi la vita secondo i propri parametri, tenendo Dio lontano dalla propria esistenza. Dio, allora, non potrà benedire quest’uomo, non potrà, cioè, “dire bene” di quest’uomo che Lo ha rifiutato e che non ha prodotto, nella sua vita, i frutti buoni dell’amore divino, poiché Dio non avrà potuto abitare nel suo cuore. Oppure l’uomo accoglierà Dio dentro di sé, dentro la sua vita, instaurerà con Lui un rapporto d’amore, Gli permetterà di lavorare il suo cuore, in una profonda fiducia filiale. Quest’uomo sarà benedetto da Dio, perché produrrà “frutti duraturi”, come dice Gesù nel cap. 15 del Vangelo di Giovanni, i frutti dell’amore, che saranno graditi a Dio per l’eternità.
   La prima lettura e il Vangelo sono profondamente legati, anche se le parti che costituiscono le due letture sono in posizione opposta: la prima parte del brano di Geremia è in relazione con la seconda parte del Vangelo (“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno…”. “Guai a voi, ricchi,… a voi che ora siete sazi…”); la seconda parte della prima lettura è in relazione con la prima parte del Vangelo (“Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”. “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio”).
   Da tali affermazioni si potrebbe dedurre che i poveri abbiano già il paradiso assicurato e che i ricchi si vedano già spalancate davanti a loro le porte dell’inferno. Certamente non è così. La parola di Dio vuole dire ben altro. Nella Bibbia, infatti, la povertà e la ricchezza, prima di essere condizioni socio-economiche, sono degli atteggiamenti interiori, spirituali. I “poveri” sono gli “anawim”, parola ebraica che indica gli “umili”, coloro, cioè, che ammettono di essere semplici creature, che non alzano orgogliosamente il loro capo davanti a Dio, ma Lo riconoscono come loro Creatore e Salvatore e confidano pienamente in Lui, profondamente consapevoli che la loro vita appartiene a Dio e che solo in Lui acquista pieno significato. I “poveri” sono, quindi, coloro che hanno accettato di vivere la loro vita in comunione con Dio, ponendo fiduciosamente tutto di sé nelle sue mani e rendendosi totalmente disponibili alla costruzione del suo regno d’amore. I “ricchi” sono coloro che hanno un atteggiamento totalmente opposto; sono “ricchi” di sé, pieni di orgoglio nella loro autosufficienza. Dio è, per loro, uno sconosciuto o, addirittura, un motivo di fastidio; di Lui essi fanno ben volentieri a meno. Le ricchezze, il potere, le soddisfazioni umane sono le loro uniche “sicurezze”, i “beni” più ricercati. Il proprio “io” costituisce, per loro, il centro dell’universo.                                                                                                                                                  In senso biblico, allora, può essere “povero” l’uomo più ricco della terra ed essere “ricco” l’uomo più povero della terra!
    Veramente il modo di pensare e di agire di Dio è completamente diverso dal modo di pensare e di agire dell’uomo! Dio stesso lo dice esplicitamente attraverso il profeta Isaia: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).
   E il cristiano, diventato, per mezzo del battesimo, figlio di Dio, sa che, nel suo modo di pensare e di operare, deve somigliare a Dio e che, quindi, non può avere gli stessi criteri che ha il mondo. Gesù, nell’ultima cena, “parlando” al Padre dei suoi discepoli, ha detto: “Essi sono nel mondo”, ma “non sono del mondo” (Gv 17,11.14). Il cristiano vive, sì, nel mondo, facendo ciò che tutti gli uomini fanno (lavora, si forma una famiglia, ha i suoi impegni nella società, ha i suoi interessi, fa progetti e cerca di realizzarli, sperimenta gioie e dolori, successi e sconfitte), ma il senso che egli dà a tutto questo e il modo in cui vive ogni sua esperienza, in ogni ambito, sono completamente diversi da quelli di chi non è cristiano. Il credente in Gesù vive la sua vita come la vivrebbe Cristo stesso. E ciò non è impossibile, poiché Gesù ha vissuto in mezzo agli uomini, in una società ben precisa, in un tempo ben preciso; la sua vita è stata splendidamente, e anche drammaticamente, “concreta”. Egli ha vissuto pienamente le beatitudini e, con la sua vita, “dice”, anche a noi, come ai suoi apostoli dopo la lavanda dei piedi nell’ultima cena: “Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi... Sapendo queste cose, siete beati, se le mettete in pratica” (Gv 13,15.17).

10 Febbraio 2019 - V Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO






LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 6,1-2.3-8 

Eccomi, manda me!

Dal libro del profeta Isaia

Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 137

Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.


Seconda Lettura 1 Cor 15,1-11 forma breve 15, 3-8.11

Così predichiamo e così avete creduto.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[ A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. ]
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.
[ Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. ]


+ Vangelo Lc 5,1-11 *_Lasciarono tutto e lo seguirono._

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.



COMMENTO


    Tre letture, un unico tema: il modo in cui Dio fa “incontrare” la sua infinita grandezza con l’infinita piccolezza dell’essere umano. Questi, nel suo rapporto con Dio, avendo consapevolezza della sua miseria di peccatore, tende a vedere se stesso come un essere indegno; i suoi occhi sono, a volte, eccessivamente chinati sulla sua “indegnità” e il rapporto con Dio rischia di diventare cupo, triste.
    Che bello, invece, sollevare gli occhi dalla propria piccolezza, volgerli verso lo sguardo di Dio e accorgersi che quello sguardo è pieno di amore e di tenerezza! Lo sguardo di Dio, infatti, è quello di un Padre, che certamente conosce difetti, limiti e debolezze dei suoi figli, ma che ugualmente, o forse proprio per questo, prova, nei confronti di questi figli, un’infinita misericordia e una profonda tenerezza, sentimenti che ogni mamma e ogni papà provano di fronte a un figlio che sta male; le cure, le attenzioni verso quel figlio vengono, allora, moltiplicate, perché egli si senta confortato nella debolezza della sua malattia.
    E quale “cura” più efficace, per un essere quasi “schiacciato” dalla consapevolezza della propria “indegnità” di fronte a Dio, il sentirsi dire da questo Dio: “Tu sei prezioso ai miei occhi e voglio aver bisogno di te, per farti comprendere quanto tu, piccolo, amato figlio mio, sei importante per Me”?!       Dio chiama l’essere umano, così debole, fragile e “indegno”, a collaborare al suo progetto di salvezza, gli assegna un compito impegnativo, si fida di lui! E allora, accanto alla profonda coscienza della propria piccolezza, della propria miseria, ecco sgorgare, nel cuore dell’uomo, lo stupore e la gratitudine per questo Dio, che, nel suo infinito amore per questa sua creatura, non ne guarda la fragilità, la debolezza, ma, riempiendola di Lui, dei suoi doni, la valorizza, la fa sentire “importante” ai suoi occhi, la chiama a “lavorare” per costruire il suo regno d’amore.
    Isaia (prima lettura) è profondamente consapevole della propria indegnità, ma, avendo avuto le labbra toccate e purificate da un serafino con un carbone ardente preso dall’altare, ora sente di poter offrire la propria disponibilità a Dio, che chiede “collaborazione”: “Chi manderò e chi andrà per noi?” L’ “Eccomi, manda me!” di Isaia sembra il gioioso grido di chi sa di aver ricevuto da Dio un dono immenso d’amore e di fiducia. E dentro il suo cuore, accanto alla disponibilità al servizio del Signore, c’è anche l’infinita gratitudine per una “indegnità” umana che Dio ha “cancellato” con il suo amore.
    Lo stesso sentimento di Isaia è in Paolo (seconda lettura), che si sente “il più piccolo tra gli apostoli e non degno di essere chiamato apostolo”. Stupore e gratitudine lo riempiono, perché profondamente consapevole che è per grazia di Dio, cioè per l’amore gratuito di Dio, che egli è quello che è, un grande, entusiasta annunciatore del Vangelo.
    Stupore e gratitudine prova anche Simon Pietro (Vangelo), quando Gesù chiama proprio lui a essere “pescatore di uomini”, lui, che un attimo prima, gettandosi alle sue ginocchia, gli aveva detto: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”.
    Una notte di lavoro senza alcun risultato. Simon Pietro e i suoi compagni di pesca sono delusi. Gesù, salito sulla barca per parlare alla folla, alla fine del suo insegnamento dice a Simone parole che a quest’uomo devono sembrare pura follia: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Un pescatore sa molto bene che è la notte, non il giorno, il tempo adatto per la pesca. E il sole è già alto. Ma Simon Pietro dà a Gesù una risposta altrettanto “folle”: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Una fiducia totale, che ha dell’incredibile, nei confronti di questo Gesù che egli conosce appena! E tale fiducia viene ricompensata con una pesca “impossibile”, eccezionale, al punto che le barche quasi affondano.
    Ecco, così è anche il nostro “lavorare” per Dio. Certo, siamo poveri, piccoli uomini, ma, se ci fidiamo di Dio, se permettiamo a Lui di agire con la sua potenza in noi e attraverso noi, se non puntiamo sulle nostre sole forze (pur cercando di dare sempre il meglio di noi), ma sulla forza di Dio, allora i frutti verranno e saranno tali che noi non potremo fare a meno di stupirci di fronte alla loro abbondanza e alla loro bellezza.

03 Febbraio 2019 - IV Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO






LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Ger 1,4-5.17-19

Ti ho stabilito profeta delle nazioni.


Dal libro del profeta Geremia

Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 70

La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza.

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.
Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.
Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno.
La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.


Seconda Lettura 1 Cor 12,31-13,13 forma breve 13, 4-13

Rimangono la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di tutte è la carità.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
[ La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! ]


+ Vangelo Lc 4,21-30

Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.



COMMENTO


    Nella liturgia della Parola della messa festiva la prima lettura è sempre legata intimamente al Vangelo. Tale collegamento risulta evidente anche nei brani odierni. Persecuzioni, lotte, pericoli, difficoltà e dolori vengono preannunciati al giovane Geremia, chiamato da Dio nel 626 a. C. a diventare profeta d’Israele (prima lettura). Persecuzioni, lotte, pericoli, difficoltà e dolori si presentano a Gesù fin dagli inizi della sua vita pubblica (Vangelo). 

    Il brano di Luca inizia con lo stesso versetto (il v. 21) con cui si concludeva il Vangelo della settimana scorsa e completa il racconto della visita di Gesù alla sinagoga di Nazareth.

    Gesù ha appena terminato di leggere il passo del profeta Isaia dove è scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore”. Gli occhi di tutti sono puntati su di Lui. Il brano letto si riferisce al Messia atteso da Israele. Il commento è importante, quindi. Gesù, nel silenzio che riempie la sinagoga, fa un’affermazione sconvolgente: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.

    Per i presenti il senso di tale affermazione è chiaro. Quel concittadino, cresciuto in mezzo a loro e, quindi, ben conosciuto da tutti, sta affermando che è Lui il Messia, che è Lui il Salvatore d’Israele atteso da secoli. “Non è costui il figlio di Giuseppe? ” dicono i nazaretani. “Come è possibile?- sembrano dire - Noi lo conosciamo bene, conosciamo i suoi genitori, i suoi parenti. Come è possibile che questo nostro concittadino sia il Messia che attendiamo?”. In un primo momento vi è, nei presenti, meraviglia mista ad ammirazione. Probabilmente in loro è scattato anche un certo orgoglio. In fondo, quel loro concittadino famoso sta dando fama anche alla città da dove proviene. E, se è veramente il Messia (e il suo potere di fare miracoli sembrerebbe confermarlo), perché non chiedergli di compiere anche a Nazareth i miracoli che, fino a quel momento, ha compiuto in altri luoghi della Palestina? Il proverbio citato da Gesù “Medico, cura te stesso” e le parole che Egli aggiunge immediatamente a tale proverbio fanno intuire che la richiesta di miracoli da parte dei suoi concittadini ci sia stata, forse anche insistentemente, quasi come pretesa, tanto da suscitare, in Gesù, una dura reazione. Probabilmente Egli è rimasto colpito negativamente dall’atteggiamento dei nazaretani, un atteggiamento che Gesù ha compreso essere orgoglioso, arrogante, come se essi volessero “accaparrarsi” i suoi poteri, accampando diritti su di Lui. Da quanto Gesù dice sembra si possa capire che essi pretendessero di “usare” Lui e i suoi poteri esclusivamente per loro, come se volessero “impadronirsi” di Lui e “utilizzarlo” solo per la loro città. Ma Gesù non può accettare tale egoistica chiusura dei suoi concittadini. Egli è venuto nel mondo per annunciare la buona novella a tutti gli uomini, per salvare ogni persona, a qualunque razza, nazione, cultura appartenga.

    Gesù cerca di aprire le menti e i cuori dei suoi concittadini alla verità della missione del Messia, che è diversa dall’idea che di tale missione essi hanno. Gli abitanti di Nazareth, infatti, ritenevano, come tutti gli Ebrei, che il Messia sarebbe venuto solo per il popolo d’Israele, per la sua salvezza e, anche, per la sua grandezza: un Messia potente, che avrebbe reso glorioso Israele.

    Gesù prova amarezza di fronte all’atteggiamento di chiusura e di grettezza dei suoi concittadini. L’amarezza emerge chiaramente dalle sue parole. E l’amarezza deve essere diventata dolore profondo nel vedere la reazione dei nazaretani. “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno”. Come osava quel loro concittadino rimproverarli così apertamente?!

    E ancora una volta la vita di Gesù è in pericolo. Erode, un giorno, aveva tentato di ucciderlo. Ora lo stesso tentativo viene fatto addirittura da parte di persone che dovrebbero credere in Lui, prestargli fiducia, dal momento che Lo conoscono fin da bambino. Ma l’orgoglio e la delusione annebbiano le loro menti e chiudono il loro cuore. Questo Messia non piace loro affatto, non è secondo le loro aspettative. E’ un Messia che si presenta immediatamente scomodo, che pretende un cambiamento di mentalità. Ed essi non sono disposti ad accettare un Messia così. “Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”.
    Quale tremenda delusione per Gesù! Il primo violento rifiuto, nella sua vita pubblica, veniva proprio da coloro che Lo conoscevano bene e a cui, magari, Egli era molto legato da amicizia, da affetto, da ricordi comuni. “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. E si può immaginare con quale cuore Gesù se ne andò da quella città, dalla quale si era aspettato l’accoglienza più entusiastica ed affettuosa!

    Forse l’accoglienza riservata a Gesù dai suoi concittadini ci può meravigliare o, addirittura, scandalizzare. Ma… non capita anche a noi cristiani di avere, a volte, nei confronti di Gesù, lo stesso atteggiamento dei nazaretani? Non cerchiamo, a volte, anche noi di “usare” Lui e i suoi poteri per ottenere miracoli e segni prodigiosi? E non assumiamo, a volte, un atteggiamento di stizza o, addirittura, di ripicca nei confronti di Gesù, se Egli “osa” non esaudire le nostre richieste, giungendo, talvolta, a dirgli: “Di te non ne voglio più sapere”?

    La fede è ben altro! E’ credere che Dio mi ama sempre, anche quando non esaudisce le mie richieste, è fidarmi di Lui anche quando non capisco come e dove Egli stia conducendo la mia vita. E’ fare di Dio Uno e Trino (Padre, Figlio e Spirito Santo) il senso unico della mia esistenza, l’unico punto di riferimento della mia vita, è permettere al Padre, a Gesù e allo Spirito Santo di vivere dentro di me e di “lavorarmi” per farmi assomigliare sempre di più a Loro. E, poiché “Dio è amore” (Gv 4,8), assomigliare a Lui significa fondamentalmente amare con il suo stesso amore.

    “Deus caritas est”. Il termine “caritas” indica un amore di donazione, un amore che desidera il bene dell’altro. Dio, quindi, ama così e mette tutta la sua onnipotenza al servizio di questo suo amore. Egli opera sempre ed esclusivamente per il bene dell’essere umano, per il bene di ogni uomo e di ogni donna che Egli chiama all’esistenza.

    Nella seconda lettura Paolo fa una bellissima descrizione della “caritas”, elencandone le caratteristiche. Da tale descrizione risulta chiaro che la carità è molto, molto di più di quanto comunemente si creda. Quando, infatti, si parla di carità, il pensiero corre solitamente a gesti di bontà verso i bisognosi. Carità è anche questo; ma un gesto d’amore è l’espressione, il risultato, non la motivazione. Questa va ricercata nelle profondità del cuore. E’ qui che troviamo la sorgente dei gesti d’amore.

    S. Paolo scrive: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,4). E tale amore, immesso dentro di noi al momento del battesimo, si alimenta e cresce attraverso una costante, profonda comunione con Dio, una comunione che Egli costruisce, insieme a me, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. 

     “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” ha detto Gesù ai suoi concittadini duemila anni fa. E “oggi ” si compie l’opera di salvezza che Dio vuole realizzare per me. A me Egli chiede soltanto di credere nel suo amore, di lasciarmi amare da Lui, permettendogli di compiere in me il miracolo più grande, quello di farmi assomigliare a Lui, rendendomi sempre più capace di amare come Lui. E tale stupendo lavoro di Dio dentro di me avviene sempre “oggi”, in ogni nuovo giorno che Egli mi dona da vivere, perché ogni giorno è l’ “oggi” di Dio nella mia vita.