31 Marzo 2019 - IV Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO





LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gs 5,9-12

Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua.


Dal libro di Giosuè

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno.
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.


Seconda Lettura 2 Cor 5,17-21

Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.


+ Vangelo Lc 15,1-3.11-32

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


COMMENTO


    “Domenica della gioia” può essere definita la quarta domenica di Quaresima, una gioia a cui il popolo di Dio viene invitato fin dall’antifona d’ingresso, identica in tutti e tre gli anni liturgici: “Rallegrati, Gerusalemme, e, voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza; saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.
     L’esultanza e la gioia sono ormai vicine, si profilano già all’orizzonte, perché vicina è la Pasqua, l’evento che ha cambiato la storia dell’umanità, l’evento centrale nella vita della Chiesa, di ogni cristiano.
     Il cammino quaresimale è stato quasi interamente percorso. Rimane ancora un’ultima tappa, la quinta domenica di Quaresima, e, quindi, ecco la settimana santa, il cui culmine è la Pasqua del Signore.
     “Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza; saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”. Sì, l’essere umano può finalmente esultare e gioire, perché, nella resurrezione di Gesù, anche lui ha trovato la sua resurrezione.
    Questo essere, che, non accettando la propria realtà di creatura, aveva rifiutato il proprio Creatore e si era allontanato dalla casa di Dio, ritenendo di aver trovato, così, la sua libertà, non appena chiusa la porta alle sue spalle, si era ritrovato “nudo”, con la consapevolezza, cioè, della tremenda verità: senza Dio egli non era nulla, non aveva più né identità né dignità. Povero essere umano, il quale, pur formato dalla polvere, aveva tuttavia ricevuto in sé il soffio di Dio, che lo aveva voluto creare a sua immagine e somiglianza, e ora non sapeva più chi fosse e quale fosse il suo volto, la sua essenza! Lontano da Dio, egli aveva perso il suo punto di riferimento; la sua vita era diventata un vagare desolatamente in un interminabile esilio.
    Tutto questo è contenuto nella prima parte della parabola del “figliol prodigo” o, come meglio si potrebbe dire, del “padre misericordioso”. Gesù racconta tale parabola per giustificare, agli occhi degli scribi e dei farisei scandalizzati, la sua vicinanza ai peccatori. “Misericordia, misericordia, Dio è misericordia!“ sembra urlare Gesù a quegli uomini, che, sentendosi giusti davanti a Dio, perché in regola con la Legge, giudicavano e condannavano inesorabilmente coloro che non agivano secondo la Legge.                                                               “Cuore”, in latino “cor, cordis”. “Misericordia” significa, quindi, “cuore (di Dio) che si china sulla miseria (dell'essere umano)”. E Gesù, mentre parla di quel padre che, con infinito amore e ostinata speranza, attende che il figlio scapestrato ritorni a casa, cerca di far capire a quegli uomini induriti dalla presunzione di essere giusti (rappresentati, nella parabola, dal fratello maggiore) che Dio è un Padre che ama e che non si arrende di fronte al peccato in cui l’essere umano può cadere per la sua arroganza. L’essere umano, infatti, invece di essere grato a Dio per avere ricevuto in dono la vita, tende ad appropriarsene, come se la vita gli appartenesse di diritto, e la usa a suo piacimento, non riconoscendo che la vita gli è stata, sì, donata, ma anche affidata, per costruire, in essa e attraverso essa, il regno di Dio. Per mezzo della vita di ogni uomo e di ogni donna, infatti, Dio vuole far fare all’umanità esperienza del suo stesso amore.
     “Tutto ciò che è mio è tuo” dice il padre al figlio maggiore, che si era adirato di fronte a quella che egli riteneva un’ingiustizia nei suoi confronti, non comprendendo che l’unica molla che faceva agire il padre in quel modo, apparentemente ingiusto, nei confronti del figlio minore, era un infinito, incrollabile e incredibile amore.
    E’ per tale amore che Dio, nel creare l’essere umano, gli aveva voluto offrire la sua amicizia, la comunione con Lui. “Tutto ciò che è mio è tuo” aveva detto Dio all’essere umano. Ma questi riteneva di avere già in sé tutto ciò che gli occorreva per essere felice.
    Il figlio minore della parabola richiede al padre la parte del patrimonio, che, secondo lui, gli spettava. Il padre avrebbe potuto diseredarlo; il patrimonio, infatti, non era un diritto acquisito, come il giovane, nella sua arroganza, riteneva. Ma il padre non glielo rifiuta. Egli ama quel figlio e desidera che il figlio ricambi il suo amore, ma sa bene che l’amore vero è frutto solo di una libera scelta. Chi ama deve accettare che la persona amata decida liberamente di riamare a sua volta. Il vero amore si dona, non si impone. E’ questo il modo di amare di Dio. Ed è questo l’amore del padre della parabola, il quale, pur con la morte nel cuore, lascia partire quel suo giovane figlio desideroso di vivere pienamente la sua vita facendo le esperienze più diverse.
    Quel “giovane figlio” è l’essere umano di ieri, di oggi, di sempre.
    Ma, fatte tutte le esperienze possibili, quel figlio si ritrova, alla fine, con il cuore vuoto e con l’amara consapevolezza che tutte quelle esperienze, in cui egli ha “sperperato” la sua vita, non solo non gli hanno dato nulla, ma addirittura lo hanno impoverito, facendogli perdere la sua identità e la sua dignità, al punto che, nella sua fame, si accontenterebbe di nutrirsi anche del cibo di cui si nutrono i porci. E’ il degrado più tragico e umiliante, il gradino più basso a cui una persona può giungere, laddove non si riconosce più nemmeno come essere umano. Ma in questo abisso di disperazione la persona può decidere di risorgere, di ritrovare la propria identità e la propria dignità. Ed ecco quel levarsi, quello staccarsi dal fango, quell’alzare finalmente il capo, nella vera libertà decisionale, che spinge quel figlio a tornare alla casa paterna, a riacquistare un posto in quella casa, un posto magari di servo, ma sempre di uomo in mezzo ad altri uomini.
    “Si alzò e tornò da suo padre”.
    Ed eccolo questo padre. Sembra essere rimasto lì, sulla soglia di casa, immobile, in attesa del ritorno di quel figlio. “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Ecco Dio! E’ così che agisce Dio Padre con l’essere umano, con ogni uomo, con ogni donna. Egli non se ne sta seduto in attesa che il peccatore pentito si getti ai suoi piedi, chiedendogli perdono miliardi di volte. Dio è misericordia. Egli si china con premura e tenerezza sull’essere umano misero, cioè debole, fragile e peccatore, ma, appunto per questo, anche infelice. Dio è quel Padre che non aspetta che il figlio pentito arrivi fino a Lui, ma è Lui stesso che corre incontro a quel figlio, è Lui stesso che gli getta le braccia al collo e lo bacia, facendogli sentire tutto il suo amore e tutta la sua gioia per aver ritrovato un figlio. E quale gioiosa commozione in quel figlio, che si sente accolto e abbracciato da tanto amore!
    Non è questo, forse, il miracolo stupendo che avviene nel segreto del confessionale? Gioia immensa e profonda gratitudine dovrebbero esplodere nel cuore di un figlio di Dio ogniqualvolta il Padre, attraverso un suo ministro sacerdote, lo accoglie con infinita misericordia. E questo figlio, “ritornato a casa”, può sentire risuonare, nell’intimo del suo essere, le parole del Padre, che, scendendo come balsamo sulle ferite dell’anima causate dal peccato, le guariscono e squarciano con il loro calore le gelide tenebre che attanagliavano il cuore: “Figlio mio, le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tu sei nuovo, il tuo cuore è nuovo, perché Io l’ho rinnovato con il mio amore, l’ho riempito di Me. Ti ho fatto indossare l’abito più bello, i calzari nuovi, ti ho messo l’anello al dito, segno della tua appartenenza alla mia famiglia. Sei mio figlio. Non ha importanza ciò che hai fatto sino a ora, i tuoi sbagli, i tuoi peccati. Tutto il tuo passato è dimenticato; Io, tuo Padre, me lo sono gettato alle spalle, non lo ricordo più. Il tuo esilio è finito. Sei a casa, ormai, sei con Me e tutto ciò che è mio è tuo. La tua vita ricomincia in questo istante”.
    E, ancora una volta, questo essere così debole, fragile, peccatore, ma infinitamente prezioso agli occhi di Dio, potrà, nella resurrezione di Gesù, vivere la propria resurrezione di essere umano, che Dio, nel suo infinito amore, ha voluto permeare di divinità.




24 Marzo 2019 - III Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Es 3,1-8a.13-15

Io-Sono mi ha mandato a voi.


Dal libro dell‘Èsodo

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 102

Il Signore ha pietà del suo popolo.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.


Seconda Lettura 1 Cor 10,1-6.10-12

La vita del popolo con Mosè nel deserto è stata scritta per nostro ammonimento.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.


+ Vangelo Lc 13,1-9

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».


COMMENTO


    “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Gesù ha appena iniziato il suo ministero per le strade della Palestina e queste sono le prime parole che Egli rivolge ai suoi connazionali, parole alle quali noi siamo abituati, ma che alle orecchie degli Ebrei contemporanei di Gesù dovevano risuonare alquanto strane, se non addirittura scandalose. Egli non stava parlando di conversione a dei pagani, che adoravano falsi dei, ma a persone che credevano nell'unico, vero Dio, quel Dio che, da Abramo in poi, era percepito sempre presente in mezzo al suo popolo, quel Dio che si era rivelato a Mosè come il Liberatore del suo popolo schiavo in Egitto e che per esso aveva continuato a compiere prodigi. Ebbene, a tale popolo, che aveva una forte coscienza del suo essere “popolo di Dio”, Gesù rivolge l'esortazione a convertirsi. Coloro che lo ascoltavano probabilmente si saranno detti: “Che cosa sta dicendo costui? Ci parla di conversione. Ma noi crediamo già nell'unico, vero Dio! Abbiamo già la nostra fede! Costui dice che il regno di Dio è vicino. Ma noi stiamo già costruendo tale regno nella nostra storia di 'popolo di Dio'!”. E, di fronte all'invito a credere nel Vangelo, ad accogliere, cioè, la “buona novella”, il “buon annuncio”, la “felice notizia” (questo è il significato della parola latina “evangelium”), saranno rimasti piuttosto perplessi. “Quale 'buona notizia' a livello religioso, spirituale, vi può essere per noi, che abbiamo già un Dio continuamente presente in mezzo a noi e che opera sempre meraviglie a nostro favore?” avranno pensato. La sicurezza, negli Israeliti, di essere il “popolo di Dio” certamente non li rendeva aperti a un messaggio religioso nuovo. Questo, in effetti, sarà il motivo fondamentale delle resistenze che Gesù incontrerà durante il suo ministero e di quell'opposizione crescente tra gli Ebrei, che sfocerà nella condanna finale. Come si può parlare di conversione a chi pensa di essere già nel giusto?
    “Conversione”, parola di derivazione latina che vuol dire “cambiamento”, “rivolgimento”, “rovesciamento”. Non si tratta, quindi, di un lieve mutamento, ma di uno sconvolgimento profondo, un cambiamento radicale nel proprio modo di pensare e di essere, una vera e propria “rivoluzione” esistenziale.
    Accogliere l'esortazione di Gesù a convertirsi significava, quindi, per gli Ebrei, abbandonare il tranquillo tran–tran della loro religiosità, le radicate e “pacifiche” convinzioni, che “scorrevano”, come un fiume pigro e lento, dentro la loro vita quotidiana.
    Anche nell'episodio evangelico narrato in questa terza domenica di Quaresima Gesù parla di conversione.
    Nella mentalità ebraica le malattie e le disgrazie venivano considerate una punizione divina. Si riteneva che, se una persona veniva colpita da una malattia o rimaneva vittima di un incidente, ciò fosse un chiaro segno che essa aveva peccato e che, quindi, stava ricevendo il meritato castigo. Per cui, in tale persona, al dolore per la malattia o il tragico evento si aggiungevano la sofferenza e l'umiliazione per il giudizio negativo e il disprezzo di coloro che la consideravano colpevole agli occhi di Dio e che orgogliosamente ritenevano giusti se stessi solo perché, magari, non avevano ancora vissuto un'esperienza di vero dolore.
    Gesù deve lottare anche contro questo tipo di mentalità presente dentro la cultura del popolo ebraico. Deve faticare molto per far comprendere ai suoi interlocutori che Dio, nei confronti dell'essere umano, non è né un giudice né un boia, ma un Padre che ama tutti gli uomini, che li vuole nella gioia, quella vera, profonda, che scaturisce dalla consapevolezza di essere amati da Dio sempre, anche con i propri limiti e i propri errori.
    “Non pensate a giudicare e a condannare gli altri - dice Gesù -; preoccupatevi soltanto di cambiare il vostro cuore, per farlo diventare capace di amare come ama Dio, perché è questo, e soltanto questo, ciò che Dio desidera da ogni persona”. Un messaggio quasi impossibile per coloro che l'ascoltavano, i quali ritenevano di essere giusti davanti a Dio e, quindi, quasi già “creditori” della sua salvezza.
    No, non è stato facile, per Gesù, l'annuncio del Vangelo, della “buona notizia”, che immetteva nel fiume esistenziale del popolo ebraico, e dell'intera umanità, un'acqua viva, portatrice di una nuova forza rigenerante, vitale, l'acqua della vita stessa di Dio, che, immessa nell'essere umano con il battesimo, lo divinizza e lo rende figlio di Dio. Ecco “il regno di Dio vicino”, talmente vicino che invade l'essere umano e ne permea di divinità ogni fibra.
    Allora, convertirsi oggi, come ieri e sino alla fine dei tempi, significa accogliere questo Dio che vuole entrare in me, nella mia esistenza, con tutto il suo amore di Padre e vuole farmi assaporare già in questa vita la bellezza della divinità.
    L'essere umano aveva voluto, presuntuosamente e orgogliosamente, “rubare” tale divinità, con le tragiche conseguenze di peccato, di sofferenza e di morte che l'umanità sperimenta ogni giorno. Dio, ora, in Gesù, mi “regala” la sua divinità, manifestando, così, la grandezza e la profondità del suo amore per me, un amore fedele, tenero e appassionato, senza limiti e senza schemi, un amore che desidera per me soltanto la felicità e la piena realizzazione. La mia umanità, per mezzo dello Spirito Santo ricevuto nel battesimo, viene divinizzata e io non solo ricevo in me il regno di Dio, ma, da figlio che ha in sé la stessa vita del Padre, divento anche canale attraverso il quale l'acqua fresca di Dio può passare e giungere  a tutti gli uomini, i quali sono, tutti, degli “assetati”, che forse, però, non hanno nemmeno chiara la consapevolezza che la loro “sete”, la loro insoddisfazione esistenziale, è una profonda, infinita “sete” di Dio.
    Anche oggi, anche a noi cristiani Gesù continua a ripetere: “Convertitevi”. E forse, di fronte a questo invito, anche noi siamo tentati di avere la stessa reazione degli Ebrei contemporanei di Gesù. Anche noi, forse, come loro, ci “sentiamo a posto”. Infatti, da buoni credenti, noi cristiani ogni domenica, durante la messa, nella preghiera del “Credo” proclamiamo la nostra fede in Dio Uno e Trino, in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; nella nostra vita di ogni giorno cerchiamo di vivere senza fare male a nessuno, anzi, facendo magari un po' di bene, se possiamo. E ci sembra che la nostra vita di credenti vada bene così.
    E, allora, perché Gesù invita anche me, oggi, alla conversione? Questo suo invito, per quanto mi riguarda, sembrerebbe assurdo, privo di senso.
    Ma forse, esaminando un po' più approfonditamente il mio rapporto con questo Dio, in cui dico di credere, scoprirò, magari con doloroso stupore, che la mia fede è alquanto superficiale, ridotta alla messa festiva, vissuta spesso distrattamente, e a qualche preghiera detta più con le labbra che con il cuore; forse comprenderò che la mia mentalità rispecchia più quella del mondo che quella di Dio e mi accorgerò che insufficiente, o addirittura nulla, è la mia conoscenza di Gesù, delle sue parole, dei suoi sentimenti, del suo modo di pensare e di agire. E, guardando più attentamente in qualche scaffale della mia libreria, scoprirò, fra tanti altri libri impolverati, anche la Bibbia, che sapevo di avere in casa, ma che non ho mai preso tra le mani; su di essa, forse, di tanto in tanto uno sguardo fugace, nulla di più.
    Ora Gesù mi sta dicendo: “Convertiti e credi nel Vangelo”. E io comincio a capire che, se veramente voglio vivere il mio battesimo, se veramente voglio vivere da figlio di Dio, devo assolutamente assomigliare a Gesù, il Figlio prediletto dal Padre, “prediletto”, perché totalmente unito al Padre nella mente e nel cuore.
    Prendo in mano la Bibbia impolverata, la apro al Nuovo Testamento. Comincio a leggere i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Che meraviglia! Questo Gesù, fino a oggi, per me, un personaggio conosciuto “per sentito dire”, ma, di fatto, sconosciuto e alquanto lontano dalla mia vita, ora comincia ad acquistare “consistenza” ai miei occhi, comincia a essere una persona “viva”, la Persona per me esistenzialmente più importante, con la quale rapportarmi in maniera profonda.
    “Convertiti, credi in Me, credi alla gioiosa notizia che Io sono venuto a portare all'umanità, a ogni uomo, a ogni donna, a te” mi dice Gesù. E io capisco che, sì, è vero, ho bisogno di convertirmi, ho bisogno, per sentirmi realizzato come figlio di Dio, di acquistare il suo pensiero, i suoi sentimenti. La conversione, allora, diventa, per me, un'esigenza vitale, poiché “convertirmi” è cercare di formare in me, ogni istante di più, il “volto” stesso del mio Signore. Se Gesù ha detto: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, il cristiano è colui che dovrebbe poter dire, con profonda umiltà, ma anche con immensa gioia: “Chi vede me deve intravvedere Gesù”. La mia conversione è, quindi, un continuo, quotidiano, splendido cammino, per assomigliare sempre di più a Gesù. Egli è il mio unico punto di riferimento nella mia formazione di essere umano; è a Lui che io devo continuamente guardare, perché il mio “volto” rispecchi sempre di più il suo.
    Se il Vangelo sarà la mia lettura preferita, anche solo per pochi minuti al giorno, la mia conoscenza di Gesù si approfondirà progressivamente e la sua Persona diventerà sempre più concreta e incisiva nella mia vita. E allora, quando, di fronte a un mio pensiero, a un mio sentimento, a una scelta da fare, io gli chiederò: “Se Tu, Gesù, fossi al mio posto, che cosa penseresti, quale sentimento proveresti, che cosa diresti, quale scelta faresti?”, sicuramente le sue parole, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue scelte risuoneranno dentro di me con tutta la loro forza e la loro luminosità e io potrò, così, essere quell'albero che, curato da Dio con infinito amore, saprà dare i frutti che Dio si attende da esso, frutti che renderanno felice il Padre e faranno brillare di gioia i suoi occhi ogniqualvolta Egli li poserà su di me.



17 Marzo 2019 - II Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO





LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gn 15,5-12.17-18

Dio stipula l’alleanza con Abramo fedele.


Dal libro del Gènesi

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono.
Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 26

Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.


Seconda Lettura Fil 3,17-4,1

Cristo ci trasfigurerà nel suo corpo glorioso.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.
La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!


+ Vangelo Lc 9,28b-36

Mentre Gesù pregava, il suo volto cambio d’aspetto.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.


COMMENTO


      “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”. In queste parole del salmo responsoriale non troviamo, forse, espresso quel profondo bisogno di verità che ogni uomo e ogni donna si portano dentro, anche quando non ne sono consapevoli, quel bisogno di verità su se stessi, sul significato della propria esistenza e su ciò che, dopo la morte, li attende? Sono, queste, le cosiddette “domande fondamentali, esistenziali”, le più importanti a cui l’essere umano deve rispondere. Le risposte a tali domande, infatti, costituiscono le fondamenta su cui ogni persona costruisce tutta la sua vita. Non è forse l’esigenza profonda di trovare tali risposte quel desiderio insopprimibile di felicità, che gli uomini ricercano spesso in tante cose, che, una volta ottenute, lasciano ugualmente e desolatamente il cuore vuoto?
    L’essere umano, che percepisce la sua vita come un qualcosa di fragile e di caduco, sente un profondo bisogno di stabilità per vivere, una stabilità che egli trova solo se ha un punto di riferimento fermo, solido, che gli dà sicurezza. L’uomo in ogni tempo ha cercato tale punto di riferimento e spesso ha creduto di averlo trovato in “prodotti” della sua intelligenza (ideologie, progresso scientifico e tecnologico, …), ma sempre ne è rimasto deluso, ponendosi, quindi, nuovamente alla ricerca di altri punti di riferimento.
     “Il tuo volto, Signore, io cerco”. E’ questo, di fatto, il desiderio più vero e più intimo dell’essere umano. Egli, creato a immagine e somiglianza di Dio, ricerca il “volto” di Dio per conoscere il proprio “volto”. E tante inquietudini, che l’essere umano sente nel profondo più profondo del suo cuore e di cui spesso non riesce a comprendere le cause, sono originate proprio da questo bisogno di conoscere Dio, le sue caratteristiche, il suo “volto”, perché il concetto che io, uomo, avrò di me stesso, il “volto” del mio essere, è determinato dall’idea che io ho del Dio in cui credo, un Dio a cui sento di legare profondamente il mio essere, la mia vita, in una intima, vitale relazione, che qualifica la mia esistenza e le dà un preciso significato.
    Dio, creando l’essere umano, gli ha messo dentro una profonda “nostalgia” di Lui. Anche l’uomo più primitivo percepisce, pur se in maniera vaga e confusa, tale esigenza. Da qui l’esistenza delle varie religioni, dalle più semplici alle più complesse, poiché l’uomo è l’essere religioso per eccellenza, l’essere, cioè, che, per vivere, deve dare un senso pieno alla sua esistenza attraverso la fede, anche se, a volte, questa è costituita da una semplice ideologia costruita dall’uomo stesso, per dare uno scopo ai suoi giorni.
    “Il tuo volto Signore io cerco. Non nascondermi il tuo volto”.  Ed ecco, verso il 1850 a.C., Dio comincia a svelare direttamente il suo volto all’umanità attraverso l’alleanza che Egli, con una incredibile iniziativa d’amore, realizza con Abramo, un uomo pagano, ma capace di una fede straordinaria. A quest’uomo Dio promette una discendenza immensa, innumerevole come le stelle del cielo. E al popolo d’Israele, discendenza di Abramo, Dio si svela progressivamente fino a giungere alla rivelazione completa di Sé attraverso suo Figlio Gesù. In Lui Dio ha mostrato pienamente il suo volto. “Chi ha visto me ha visto il Padre” risponde Gesù all’apostolo Filippo, che, durante l’ultima cena, gli aveva detto: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14, 8-9).  “Basto io – sembra dire Gesù –, perché io rispecchio e manifesto in maniera totale il volto di Dio”. Allora, niente più c’è da cercare. Dio, nel suo Figlio, si è pienamente svelato all’essere umano.
    La trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor costituisce uno dei momenti più belli della manifestazione che Dio fa di Se stesso all’umanità. Tale rivelazione avviene in un momento particolarmente drammatico per i   discepoli. Gesù ha da poco annunciato loro la sua passione e la sua morte. Il terrore ha invaso i cuori di quei poveri, deboli uomini. E l’annuncio, fatto da Gesù, della resurrezione che seguirà alla sua morte non ha tolto dal cuore degli apostoli il macigno d’angoscia che l’opprime. Gesù, che ben comprende lo stato d’animo dei suoi, vuole confortarli, vuole dare loro coraggio. Prende con Sé tre dei suoi discepoli e li conduce sul monte Tabor, dove essi assistono a qualcosa d’incredibile. Gesù si trasfigura davanti a loro, mostrando la gloria e lo splendore della sua divinità. E’ un dire ai suoi apostoli: “Non temete. Guardate chi io sono. Quando sarà il momento, non fermatevi a questo mio corpo, che vedrete, a brandelli, appeso a una croce e poi, privo di vita, messo in un sepolcro. Guardate oltre, guardate a ciò che io sono e sarò per l’eternità”.
    “Guarda oltre - dice Gesù a ogni uomo e a ogni donna che, spesso con angoscia, affrontano le difficoltà della vita e pensano alla fine della loro esistenza -, guarda con gli occhi della fede e vedrai, nella tua vita, una verità, una realtà profonda, che con la tua mente non riusciresti nemmeno lontanamente a immaginare”.                                      
    “Guardate a Lui (Dio) e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti” (salmo 34,6). Questa non è   una semplice esortazione che Dio, attraverso l’autore del salmo, fa all’essere umano; è un’affermazione categorica, è un’assicurazione. Dio mi sta dicendo che io, in Lui, avrò sempre luce sul mio cammino e sicurezza nel mio agire, che la mia vita avrà sempre un punto di riferimento ben preciso, stabile, una solida roccia su cui poter costruire la “casa” della mia vita con l’assoluta certezza che le tempeste esistenziali più violente non potranno mai abbatterla, mai farla crollare.
    Né questa mia vita è destinata a svanire nel nulla dopo la morte. Nella trasfigurazione di Gesù vi è anche la mia trasfigurazione (seconda lettura). Anche il mio corpo, ridotto dal tempo in polvere dopo la morte fisica, sarà da Dio “ricostruito”; verrà, così, ricostituita l’unità del mio essere e tutto di me, alla fine dei tempi, sarà pienamente salvato. Il mio destino finale è un’eternità di pienezza di vita e di gioia con il mio Dio.
    “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”. 
    In Gesù Dio mi ha mostrato il suo volto meraviglioso, un volto di misericordia, di tenerezza, di benevolenza, un volto di Padre, con il quale io mi posso rapportare come figlio, in una relazione di comunione, che è un dono suo e che io accolgo con gioiosa gratitudine, una relazione profonda d’amore, che dà un respiro infinito ed eterno alla mia esistenza. E so che, ogniqualvolta dal mio intimo salirà al Padre la preghiera: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Mostrami il tuo volto”, Egli, indicandomi suo Figlio Gesù, mi risponderà: “Eccomi, sono qui”.


10 Marzo 2019 - I Domenica di Quaresima


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Dt 26,4-10

Professione di fede del popolo eletto.


Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo e disse:
«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 90

Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».
Non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
Egli per te darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutte le tue vie.
Sulle mani essi ti porteranno,
perché il tuo piede non inciampi nella pietra.
Calpesterai leoni e vipere,
schiaccerai leoncelli e draghi.
«Lo libererò, perché a me si è legato,
lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e io gli darò risposta;
nell’angoscia io sarò con lui,
lo libererò e lo renderò glorioso».


Seconda Lettura Rm 10,8-13

Professione di fede di chi crede in Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».


+ Vangelo Lc 4,1-13

Gesù fu guidato dallo Spirito nel deserto e tentato dal diavolo.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.


COMMENTO


    Quaresima: quaranta giorni, in cui il cristiano è invitato a meditare più profondamente sulla propria realtà di uomo peccatore, bisognoso, quindi, di salvezza. Infatti, più un uomo acquista coscienza di tale suo bisogno più sente la necessità di chiedere aiuto, un aiuto che egli accoglie con gioia immensa, quando esso arriva. Ed è nella resurrezione del Signore che l’uomo trova e sperimenta la propria resurrezione. Per un credente la Quaresima è, dunque, l’occasione per riscoprire l’importanza e la bellezza del proprio battesimo e la gioia di essere figlio di Dio.
    Gesù, nel Vangelo di questa prima settimana di Quaresima, con il suo modo di affrontare Satana offre all’essere umano l’arma per lottare contro il male. Egli stesso, durante le tentazioni nel deserto, subito dopo il battesimo nel Giordano e poco prima di dare inizio alla sua vita pubblica, ha utilizzato quest’arma potente: la parola di Dio. Alle prime due proposte del diavolo Gesù risponde: “Sta scritto” e alla terza risponde: “E’ stato detto,” usando, in tutti e tre i casi, frasi della Sacra Scrittura.
    Certamente Gesù aveva fame dopo un digiuno di quaranta giorni; ma “Non di solo pane vivrà l’uomo” risponde alla tentazione di trasformare le pietre in pane per sfamarsi. Nel Vangelo di Matteo (cap. 4, v.4) la risposta di Gesù viene riportata con maggiore completezza: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Il “pane” non è soltanto il cibo che si mangia, ma quell’insieme di cose (gioielli, auto possibilmente costose e dotate di tutti i comfort, vestiti sempre alla moda e magari firmati, cellulari dell’ultima generazione, la bellezza fisica ricercata in maniera esasperata, quasi maniacale, divenuta, nella nostra società, un vero e proprio culto del proprio corpo, …) e, in primo luogo, il denaro, che permette l’acquisto di tali cose e in cui molto spesso l’uomo pone la propria sicurezza e la propria felicità, facendo diventare tale “pane” il senso unico della vita, lo scopo della sua esistenza. L’uomo dovrebbe “mangiare” per vivere; invece, spesso, troppo spesso, vive per “mangiare”. Egli dovrebbe usare le cose per un misurato, corretto benessere; invece, di tali cose egli tende a diventare schiavo, dando a esse un valore esistenziale. Ma le cose non possono costituire il senso della vita. Solo Dio dà significato all’esistenza umana e la sua Parola costituisce il nutrimento fondamentale, quello che alimenta lo spirito e dà la luce per camminare in quelle vie del bene, in cui l’uomo trova la piena realizzazione di sé.
    Il potere, il dominio è la seconda tentazione, una delle più forti che l’essere umano avverte dentro il suo cuore. Sentirsi importante, sentirsi il più forte, poter dominare sugli altri e poter decidere, in maniera più o meno pesante, della loro vita. Quale senso di onnipotenza dà tutto questo! Quanti crimini, dai più nascosti all’interno delle famiglie ai più eclatanti e manifesti nella società, vengono perpetrati ogni giorno nel mondo dai prepotenti a danno dei più deboli per l’orgoglioso desiderio di ergersi al di sopra degli altri, anche al di sopra delle leggi umane e divine! E non ci si rende conto che ci si sta inchinando di fronte al male e che, per il potere come dominio, ci si sta vendendo l’anima, rischiando di perderla per l’eternità. La potenza e la gloria hanno spesso un prezzo altissimo, tremendo; ma l’uomo, reso cieco dalla propria vanità, rincorre il successo e vuole conquistarlo ad ogni costo, non accorgendosi che rischia di perdere la propria dignità e la propria libertà.
    “Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo” dice Satana a Gesù. E Gesù gli risponde ancora una volta con la parola di Dio: “Il Signore, Dio tuo, adorerai; a lui solo renderai culto”. L’uomo, di fronte alla “proposta” di gloria e di potere, che spesso lo fa scendere a umilianti, tremendi compromessi con la propria coscienza, dovrebbe sempre rispondere come Gesù, riconoscendo in Dio il suo Creatore e accettando, con umiltà, la propria condizione di creatura debole e fragile, bisognosa di quel Dio che l’ha creato, nella consapevolezza che solo in un rapporto personale, profondo con il suo Creatore può trovare la propria vera dignità e la piena libertà.
    Nella terza tentazione Satana utilizza addirittura la parola di Dio, cercando di convincere Gesù con le parole del salmo 90, che nella liturgia di questa domenica costituisce il salmo responsoriale. E’ una tentazione sottile, subdola e, proprio per questo, estremamente pericolosa, perché, dietro un’apparente fede in Dio, vi è, di fatto, un tentativo di strumentalizzarlo. Dio mi ama; non potrà permettere, quindi, che io abbia qualche danno. Io posso, allora, mettermi dentro situazioni rischiose, anche, e soprattutto, morali e spirituali, presumendo che Egli, amandomi, mi salverà da ogni pericolo. E’ un voler “costringere” Dio a usare la sua potenza a mio favore, per manifestarmi il suo amore. In effetti, io sto sfidando Dio, gli sto dicendo: “Vediamo se mi ami veramente!”. Gesù comprende molto bene la sottigliezza di tale tentazione e la respinge servendosi ancora di una frase della Sacra Scrittura: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”.
    L’uomo ogni giorno deve affrontare mille tentazioni per rimanere fedele a Dio, ogni giorno deve affrontare l’attacco di Satana che, odiando Dio, odia tutto ciò che Dio ama e, quindi, anche, e particolarmente, l’essere umano, la creatura capolavoro di Dio. Questi, nel suo amore, vuole il bene dell’uomo e desidera la sua felicità. Satana, nel suo odio, vuole distruggere l’uomo, lo vuole strappare a Dio attraverso sottili tentazioni che “toccano” le corde più negative del cuore umano. L’uomo, da solo, nella sua debolezza sarebbe destinato a soccombere alle “lusinghe” di Satana, molto più forte di lui. Ma Dio è infinitamente più forte di Satana. Che cosa, allora, dovrò temere? Se io sono in una profonda comunione con il mio Dio, se in ogni istante io sono unito a Lui, se dentro di me faccio vivere Dio con la sua infinita forza d’amore, sarà Lui a combattere per me contro Satana e la vittoria sarà sicura.
    “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3, 17). Sì, Dio ha mandato in mezzo agli uomini un salvatore potente, suo Figlio Gesù. In Lui l’essere umano ha potuto “riabbracciare” quel Dio che, con il peccato originale, aveva rifiutato e dal quale si era allontanato, perdendosi in un interminabile, angosciante tunnel, di cui non riusciva a scorgere la luce dell’uscita. Ed ecco il Figlio di Dio venire nel mondo, per entrare in quel tunnel, per prendere per mano l'uomo e condurlo fuori e fargli rivedere la luce del sole. Ma Dio stima infinitamente l’uomo e lo tratta da adulto; non gli impone nulla; gli offre la salvezza,   non lo costringe ad accettarla; desidera che l’uomo, liberamente, la chieda. “Allora gridammo al Signore … e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione” (prima lettura). Il Signore ascolta sempre il grido dei suoi figli e interviene con tutta la sua potenza. E’ stupendo, è rassicurante sapere che “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (seconda lettura). Questa è l’incrollabile certezza del cristiano! Questa è la sua forza!



03 Marzo 2019 - VIII Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

I Lettura (Sir 27,5-8 NV gr 27,4-7)
Dal libro del Siracide


Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.
I vasi del ceramista li mette alla prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo.
Il frutto dimostra come è coltivato l'albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.
Salmo 91 

Rit. E' bello rendere grazie al Signore.

E' bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte. Rit.

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio. Rit.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c'è malvagità. Rit.
II Lettura (1Cor 15,54-58)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi


Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
"La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?"
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Rit. Alleluia, alleluia.
Risplendete come astri nel mondo,
tenendo salda la parola di vita.
Rit. Alleluia.
Vangelo (Lc 6,39-45)
Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‹Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio›, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda".


COMMENTO


   “Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore” leggiamo nella prima lettura.
   “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” sono le parole di Gesù nel brano di Vangelo.
   E noi… che alberi siamo? Se “la parola rivela i pensieri del cuore” e “la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”, di che cosa è pieno il nostro cuore? La risposta dovrebbe essere scontata. Se siamo figli di Dio, il nostro cuore dovrebbe essere pieno di Lui, del suo amore, della sua limpidezza, della sua luminosità e la nostra bocca dovrebbe pronunciare solo parole che rivelano questa sua presenza in noi. Ma è proprio così? Proviamo a osservarci durante la nostra giornata. Un figlio di Dio dovrebbe iniziarla con un’immensa gratitudine nei confronti del Padre celeste per un nuovo giorno che gli viene donato, cercando di vivere questo nuovo giorno secondo il cuore di Dio.  E questo non è impossibile, se conosciamo bene Gesù e cerchiamo di assomigliarli. Gesù ha detto: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Allora anch’io, figlio di Dio e fratello di Gesù, dovrei poter far vedere nella mia quotidianità il volto del Padre, dalla mia vita familiare alla mia attività lavorativa, dai miei momenti di svago ai miei momenti più impegnativi. Chi mi vede dovrebbe poter “vedere” Dio in me. Presunzione? No. Questo è solo ciò che dovrebbe essere un figlio di Dio ed è ciò che il mondo ha bisogno di vedere per conoscere Dio e il suo amore. Invece non sempre noi figli di Dio assomigliamo al nostro Padre. Può accadere che nella nostra vita seguiamo più i criteri e le modalità esistenziali del mondo che i criteri e le modalità esistenziali di Dio. Chi avvicina un figlio di Dio dovrebbe respirare un’aria limpida e fresca, come l’aria di montagna, che rinfranca e rigenera. Ma noi cristiani sappiamo diffondere intorno a noi la limpidezza e la freschezza che certamente emanava Gesù? Il nostro linguaggio, i nostri sguardi, i nostri gesti, le nostre scelte assomigliano al linguaggio, agli sguardi, ai gesti, alle scelte di Gesù? Oppure … linguaggio, sguardi, gesti, scelte sono più quelli della società in cui viviamo? Una società, la nostra, che, purtroppo, spesso emana, in tutti i sensi, un’aria faticosa da respirare.
   Un giorno Gesù, parlando alle folle che lo seguivano, disse: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Ogni figlio di Dio, che cammina in questo mondo, dovrebbe essere, nel suo piccolo, nella sua quotidianità, “una città sulla cima di un monte” e “una lampada sul candelabro”, per essere punto di riferimento per coloro che sono attorno a lui.
   “Una città sulla cima di un monte” e “una lampada sul candelabro” sarà “l’uomo buono che dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene”. E un figlio di Dio, se veramente sarà così, potrà essere un albero rigoglioso che inonderà di frutti buoni e duraturi (i frutti di Dio!) l’angolo di mondo in cui è piantato.