28 Luglio 2019 - XVII Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gn 18, 20-21. 23-32

Non si adiri il Signore, se parlo.


Dal libro della Gènesi

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 137

Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.


Seconda Lettura Col 2, 12-14

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, perdonando tutte le colpe.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi.

Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.


+ Vangelo Lc 11, 1-13

Chiedete e vi sarà dato.

Dal vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


COMMENTO

    “Signore, insegnaci a pregare...”.
    Gesù ha appena terminato il suo colloquio con il Padre. Quanto intensa, quanto permeata di luce deve essere l'espressione del suo volto, se nei suoi discepoli suscita il bisogno di una preghiera diversa da quella a cui essi sono abituati! Sono Ebrei osservanti; la preghiera è, quindi, un elemento importante della loro giornata. Eppure... “Signore, insegnaci a pregare”. E' chiaro, allora, che nella preghiera di Gesù essi scorgono qualcosa di particolare, che rivela un rapporto speciale fra Lui e Dio, un qualcosa che fa nascere in loro un vivo desiderio di entrare anch'essi nel mistero di questo rapporto. E Gesù ben volentieri accondiscende alla loro richiesta. “Quando pregate, dite: Padre,... ”.   Immediatamente l'attenzione ha un'impennata. A degli Ebrei, ai quali fin dalla nascita è stata inculcata l'idea di un Dio certamente vicino al suo popolo, ma, nello stesso tempo, inaccessibile nella sua onnipotenza, un Dio, di cui il nome stesso non deve mai essere pronunziato, quel “Padre” con cui rivolgersi a Lui deve sembrare addirittura “scandaloso”. Chi mai ha osato rivolgersi a Dio con quel nome? E' una vera e propria rivoluzione nel modo di pregare, che significa, molto più profondamente, una vera e propria rivoluzione nella concezione di Dio, nel modo di “vedere” Dio e di rapportarsi con Lui. Gesù sta mostrando ai suoi discepoli un Dio dal volto teneramente paterno, un Dio a cui rivolgersi chiamandolo “Abbà”, “Papà” in aramaico, vocabolo usato da un bambino per chiamare affettuosamente il proprio padre.
    Allora, se noi, nel rivolgerci a Dio, possiamo chiamarlo “Abbà”, significa che non siamo, ai suoi occhi, nel suo cuore, delle semplici creature, ma figli! E' questo lo splendido mistero che Gesù svela ai suoi apostoli, rivelando loro molto, molto di più di quanto essi pensavano di ricevere. Quegli uomini chiedevano un modo nuovo di pregare; scoprono, invece, un modo nuovo di essere credenti, un senso nuovo da dare al loro rapporto con Dio e, quindi, alla loro esistenza. Figli di Dio!
    E la creatura scopre di poter avere una natura anche divina, di avere, quindi, una dignità inimmaginabile, infinitamente grande. E' l'incredibile dono che Dio ha fatto all'essere umano attraverso l'incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione di suo Figlio. Dio, in Gesù, ha voluto “adottare” come figli ogni uomo e ogni donna che Egli chiama all'esistenza. E' questo il desiderio, il progetto del Padre, di cui l'apostolo Paolo parla nella seconda lettura. “Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti” egli scrive.  “Battesimo” vuol dire, nell'originale greco, “immersione”; per questo Paolo parla di “sepoltura nel battesimo”. In tale sacramento, infatti, noi veniamo “immersi” nel sacrificio salvifico di Gesù, il quale, sulla croce, ha attirato su di sé, come una calamita, tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Sulla croce, in Gesù, è morto l'uomo “vecchio”, l'uomo segnato dal peccato; nella resurrezione di Gesù vi è stata anche la resurrezione dell'umanità; in Gesù risorto l'umanità è diventata “nuova”. E io, “inserito”, con il battesimo, in Gesù, Figlio di Dio, ricevo, per mezzo dello Spirito Santo, la vita stessa di Dio e ne divento figlio. Da quel momento “Abbà” è il nome con cui io posso chiamare il mio Dio, guardandolo confidenzialmente e affettuosamente negli occhi.
    Evidente, allora, risulta il legame fra la prima e la seconda lettura. Nel brano della Genesi Dio assicura ad Abramo che, in nome di dieci giusti presenti a Sodoma e Gomorra, risparmierà la vita a tutti gli altri abitanti peccatori. Nel brano di Paolo è in nome di un solo Giusto, Gesù Cristo, che Dio non soltanto perdona agli uomini i loro peccati, ma addirittura li rende suoi figli, donando loro la sua stessa vita.
    E, di generazione in generazione, il progetto di salvezza di Dio continua a realizzarsi attraverso l'azione potente dello Spirito Santo. E' Lui che incessantemente lavora i cuori degli uomini, perché diventino sempre di più somiglianti al cuore di Dio. Per questo Gesù afferma che la richiesta dello Spirito Santo rivolta al Padre sarà senz'altro ascoltata. E' una preghiera sicuramente esaudita quella elevata a Dio per ottenere lo Spirito Santo, poiché il Padre non attende altro per donarcelo. E' il suo desiderio più grande, in quanto è il dono che suo Figlio Gesù ha conquistato per l'umanità con il suo sacrificio. Il Padre è lì, pronto a farci questo regalo. Aspetta soltanto che noi glielo chiediamo. Ma... quanto raramente noi facciamo al Padre la richiesta di questo dono! Purtroppo, lo Spirito Santo è, soprattutto tra i cattolici, il “grande dimenticato”. Invece dovremmo chiederlo continuamente, poiché è Lui che ci illumina sul mistero di Dio (“Egli vi guiderà a tutta la verità” dice Gesù al v. 13 del cap.16 del Vangelo di Giovanni), è Lui “che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo 'Abbà! Padre!' ” (Rom 8,15).
    Allora noi, riempiti e permeati di Spirito Santo, possiamo ben comprendere il significato di ogni frase del “Padre nostro”.
   E', questa, la preghiera dei figli, i quali, amando il Padre, desiderano che “sia santificato il suo nome”, che, cioè, si riconosca che Egli è Dio; che “venga il suo regno” d'amore nel cuore di tutti gli uomini; che qui sulla terra “ sia fatta la sua volontà” d'amore, di pace, di concordia, realizzando gli uomini lo stesso amore, la stessa pace, la stessa unità di cuori che vi è in cielo, alla presenza di Dio.
    E' la preghiera dei figli che chiedono al Padre non un conto in banca sostanzioso per avere sicurezza, ma “ogni giorno il pane quotidiano”, poiché è Lui la loro sicurezza, la ricchezza più importante, nella certezza che Egli, Padre buono, non farà mancare mai ai suoi figli il necessario per una vita dignitosa.
    E' la preghiera dei figli che chiedono al Padre il perdono per le loro mancanze, assicurandogli, come figli somiglianti al Padre, di perdonare anch'essi ogni persona che faccia loro del male.
    E' la preghiera dei figli che desiderano far contento il Padre con ogni loro respiro, con ogni loro fibra e che, consapevoli di non potervi riuscire con le loro deboli forze, cercano il suo aiuto, chiedendogli di non permettere che vengano tentati (questo è il significato dell'espressione “non abbandonarci alla tentazione”) e di liberarli da ogni male, per potere, così, vivere la loro esistenza secondo il suo cuore.
    Probabilmente le parole del “Padre nostro” sono quelle che più frequentemente Gesù diceva al Padre nei suoi momenti di “cuore a cuore” con Lui. Egli, insegnandomele, mi ha fatto entrare nelle profondità del suo animo e nell'intimità del suo rapporto con il Padre.
    E io so che, ogniqualvolta, con tutto il mio amore, mi rivolgo al Padre con questa preghiera, Egli, nella mia voce, “sente” la voce del suo Figlio prediletto e mi sorride con lo stesso amore, con la stessa tenerezza con cui sorrideva a Lui. E, in Lui, mi ascolta.



21 Luglio 2019 - XVI Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gn 18, 1-10

Signore, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo.


Dal libro della Gènesi.

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 14

Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.


Seconda Lettura Col 1, 24-28

Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi.

Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.


+ Vangelo Lc 10, 38-42

Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».


COMMENTO


    L’ospitalità sembrerebbe l’argomento di questa domenica; di ospitalità, infatti, si parla sia nella prima lettura sia nel Vangelo. Ma questi due brani hanno un significato molto più profondo e conducono a una seria riflessione sul nostro rapporto con Dio, sul nostro modo di accoglierlo e di ascoltarlo. 
    Abramo è seduto all’ingresso della sua tenda. E’ l’ora più calda del giorno. Improvvisamente, alzando gli occhi, egli scorge tre uomini “in piedi presso di lui”. Molti esegeti vedono raffigurata, in questi tre personaggi, la Trinità; infatti, l’autore del brano a volte li presenta al plurale a volte al singolare. Anche Abramo, nel rivolgersi a loro, dice: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi,…”, per continuare con “…lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero”. Inizialmente questi uomini non dicono nulla, non fanno alcun gesto particolare; eppure Abramo ha, nei loro confronti, lo stesso atteggiamento che avrebbe alla presenza di Dio; “...si prostrò fino a terra”.  Addirittura “Vostro servo” si dichiara davanti a loro. E la premura che egli mostra è quella tipica del servo di fronte al suo padrone. Un comportamento molto strano, quello di Abramo, logicamente inspiegabile. Ma, probabilmente, egli ha intuito che quei tre uomini non sono semplicemente uomini, ma esseri divini, che richiedono, quindi, un’accoglienza particolare. C’è in lui una sorta di timore reverenziale; lo dimostra anche il fatto che egli non pranza con loro. “Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono” scrive l'autore del racconto.
    L’episodio, intriso di mistero fin dall’inizio, ha una conclusione ancora più misteriosa. Quegli uomini fanno una promessa riguardante Sara, la moglie di Abramo, la quale era sterile e, per di più, avanti negli anni; come, del resto, lo stesso Abramo. All’anno ella avrà un figlio, dicono. E questo figlio, di fatto, all'anno arriverà. Sarà Isacco. L’accoglienza che Abramo ha riservato ai suoi ospiti viene da loro ricambiata con un dono centuplicato: quel figlio che i due coniugi avevano desiderato ardentemente e che, quando la natura l’avrebbe normalmente permesso, non avevano potuto avere.
     Nel brano del Vangelo troviamo un altro episodio di ospitalità. Stavolta l’ospite è Gesù. Presumibilmente è il primo incontro che Egli ha con questa famiglia, costituita da due sorelle, Marta e Maria, e un fratello, Lazzaro. Con loro Gesù instaurerà un profondo rapporto d’amicizia. Il villaggio è Betania. Certamente anche qui è giunta la fama di Gesù, delle sue parole, dei suoi miracoli. Appena Egli entra nel villaggio, Marta immediatamente lo accoglie nella sua casa, con gioia indubbiamente, ma, forse, anche con la preoccupazione di fare bella figura con questo “Rabbi” così famoso in tutta la Palestina. Si mette subito in agitazione, vuole rendere più accogliente la casa, vuole preparare un pranzo speciale con cibi particolarmente elaborati. Insomma, dopo avere accolto Gesù, lo trascura, “distolta per i molti servizi”. Gesù probabilmente rimarrebbe solo, se in casa non ci fosse Maria, che lo accoglie in maniera diversa.
    Questo Gesù di Nazareth non è, forse, conosciuto per le sue parole che rivelano il cielo, che fanno intravvedere il mistero di Dio, parole che giungono al cuore, soprattutto al cuore confuso, dolorante, appesantito dai rimorsi degli sbagli commessi, e vi immettono un fiume benefico di acqua limpida e fresca, che fa rinascere speranza e vita?
    Ed ecco, Maria, “seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola”. Ella è letteralmente accoccolata ai piedi di Gesù, come fa un bambino con un adulto, che sta captando tutta la sua attenzione con qualche racconto interessante. Ma qui vi è ben più di un racconto interessante, qui vi sono parole che danno respiro all’anima, che danno un senso completamente nuovo all’esistenza. Maria “beve” avidamente ogni parola di Gesù, il quale certamente prova una grande gioia di fronte a tale ascolto profondo. E la povera Marta, che pensava di trovare in Lui un valido aiuto, per esortare la sorella Maria a collaborare più attivamente nelle faccende di casa, si sente fatta oggetto di un rimprovero, delicato, certo, ma sempre un rimprovero. “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”.
   Di fronte a queste parole di Gesù il pensiero va, quasi spontaneamente, agli “affanni” della vita, all’agitarsi quotidiano per tante cose, anche buone, come la famiglia, il lavoro, l’impegno nel sociale, l’impegno nella Chiesa. In fondo, Marta non voleva, forse, rendere onore all’ospite? Ma le modalità non erano quelle giuste. Ella voleva onorare l’ospite impiegando tempo ed energie per preparare “cose” per Lui; ma, assorbita dalle cose da fare, non era più “presente” all’ospite. Per onorare la persona attraverso le cose, Marta stava trascurando la persona stessa e ciò che quella persona, entrando nella sua casa, desiderava donare a lei e ai suoi familiari.
    I tre personaggi, che “visitano” Abramo, gli portano un annuncio di gioia, l’annuncio di una nascita, dell’arrivo di una nuova vita.
    Gesù, che” visita” Marta, Maria e Lazzaro, vuole portare loro la Buona Novella, il suo annuncio di gioia, l’annuncio di una novità di vita. Maria l’ha compreso molto bene. Ella non vuole evitare la fatica dei servizi di casa, della preparazione di un buon pranzetto, ma nel suo cuore sente che ciò che è veramente importante, ciò che viene prima di ogni attività è il senso da dare alla vita. E quel “Rabbi” di Nazareth, con le sue parole, con il suo modo di essere, offre un senso pieno all’esistenza delle persone.
    Nell’atteggiamento diverso delle due sorelle si è soliti vedere la distinzione fra la vita contemplativa (Maria) e la vita attiva (Marta). Di fatto, nella vita di un cristiano tale distinzione non esiste, non deve esistere. E’ Gesù il modello a cui tenere sempre fisso lo sguardo. Le sue giornate erano piene; Egli non aveva, a volte, nemmeno il tempo di riposare un po’. Ma, ecco, la notte costituiva, in buona parte, il tempo da trascorrere con il Padre. E questa comunione profonda con il Padre diventava forza d’amore da “spendere” durante il giorno per tutti coloro che da Lui si attendevano luce con le sue parole e guarigione con i suoi poteri.
    “Maria” e “Marta” non sono in antitesi; non sono nemmeno complementari. Sono le due facce di una stessa medaglia. “Maria” (la vita contemplativa, la relazione profonda con Dio) è l’ “anima” di “Marta”  (l’espressione, la concretizzazione, nella quotidianità, di questo rapporto profondo, intimo con il Signore). La mia concretezza è, deve essere, permeata di spiritualità. “Maria” compenetra di sé “Marta” e “Marta” diventa visibilità di “Maria”. Il mio essere, così, trova la sua unità.
    Noi cristiani tendiamo a comportarci soprattutto come Marta. Siamo cristiani, perché abbiamo accolto Cristo nella nostra vita. Ma questa scorre freneticamente e spesso, alla fine di una giornata, noi ci rendiamo conto, quasi con meraviglia, che con Lui, durante il giorno, abbiamo “parlato” poco o non abbiamo “parlato” affatto. Capita ai laici, ma può capitare anche agli stessi ministri del Signore, che, presi nel turbine di una frenetica attività pastorale, a volte non hanno nemmeno il tempo per stare con Gesù; eppure, Egli li ha scelti, prima di tutto, “perché stessero con Lui” (Mc 3,14).
    “Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta, la sola cosa di cui c’è bisogno” dice Gesù a Marta. Di una sola cosa, in effetti, io ho bisogno: di Dio e della sua parola. Ho bisogno di questo Dio d’amore, che riempie la mia vita e le dà senso; ho bisogno della sua parola, che illumina la mia esistenza, che mi fa camminare in piena luce sul sentiero del cuore di Dio e mi dà gioia.
    La parola di Dio, in Gesù, si è fatta udire fisicamente, si è resa visibile. “E il Verbo (cioè, la Parola) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). E io l’ho accolto come il mio Salvatore, come Colui che dà pieno significato alla mia vita, che permea e riempie di Sé ogni mio pensiero, ogni mio sentimento, ogni mio progetto, ogni mia decisione, ogni mia scelta. Lui, la sua Persona nella mia vita. Non è una semplice ospitalità; è accoglienza esistenziale; è far entrare Gesù, il Figlio di Dio, con tutto il suo amore, dentro di me, è lasciare che Egli mi parli nel profondo e, con la sua parola e il suo Spirito, renda nuova in ogni  istante la mia vita.
    E allora anch’io potrò diventare “parola di Dio” che “cammina” nel mondo, perché chiunque mi incontri possa, attraverso me, conoscere Gesù, Parola visibile del Padre, e, accogliendo Lui nella sua vita, possa diventare anch’egli, progressivamente, “perfetto in Cristo”, come scrive l’apostolo Paolo nella seconda lettura.
    Cristo è l’uomo perfetto. E in Lui io posso “vedere” la perfezione del Padre. “Chi ha visto me ha visto il Padre” dice Gesù (Gv 14,9). Per questo Egli può richiedere ai suoi apostoli e a tutti i credenti in Lui di percorrere un cammino che sembra impossibile: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). E che cos’è questa “perfezione”, se non la stessa santità di Dio, a cui Egli, già nell’Antico Testamento, invita il suo popolo? “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,1).
    Ogni uomo è chiamato alla santità. Solitamente si ritiene che essa sia una conquista, il risultato di un duro, costante lavoro su se stessi. Santità è anche questo, ma è, prima di tutto e soprattutto, lo splendido dono gratuito dell’infinito amore di Dio per me, un dono che, in me, diventa sempre più grande nella misura in cui io mi apro a Lui, accogliendolo con disponibilità e docilità. “Le nazioni sapranno che io sono il Signore, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi” dice Dio al suo popolo (Ez 36,23b). Egli è il Santo e, con la sua santità, rende santo anche me. La perfezione-santità non è, allora, un’utopia o una folle, impossibile richiesta da parte di Dio, ma una mia possibile realtà esistenziale. La condizione richiesta, l’unica, è l’accoglienza di Dio nella mia vita. “Accoglimi con tutto il tuo cuore – mi dice Dio – e Io ti farò dono di Me stesso”.


14 Luglio 2019 - XV Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Dt 30, 10-14

Questa parola è molto vicina a te, perché tu la metta in pratica.


Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 18

I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.


Seconda Lettura Col 1, 15-20

Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.


+ Vangelo Lc 10, 25-37

Chi è il mio prossimo?

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».


COMMENTO


    “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Una domanda che farebbe intravvedere, in chi l’ha posta, un vivo desiderio di avere luce su una questione così importante quale è la salvezza eterna. Ma l’evangelista Luca fuga immediatamente ogni possibilità di equivoco. “Un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù” scrive. Non vi è nessun desiderio di cercare la verità. La domanda ha il solo scopo di porre in difficoltà Gesù, che, ancora una volta, deve difendersi dagli attacchi di chi vede in Lui un pericoloso rivale, un uomo che la gente ormai considera un “Rabbi”, un “Maestro”, e al quale viene riconosciuta un’autorità che gli stessi dottori della legge non hanno. Ma Gesù, pur avendo compreso la vera ragione della domanda, non si sottrae al rischio, non evita di entrare in una disputa che può risultare estremamente insidiosa. Egli, come sempre, coglie ogni occasione per arrivare al cuore degli uomini, per “costringerli” a guardarsi dentro, a cercare la verità su se stessi. E dà vita, con questo dottore della legge, a un dialogo molto serrato, sino alla conclusione, a cui fa giungere lo stesso suo interlocutore, provocandogli, molto probabilmente, una profonda revisione esistenziale.                                                                                                        
    “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso” è la risposta di quell’uomo alla domanda di Gesù: “Che cosa sta scritto nella Legge?”. Gesù approva e “Fa’ questo e vivrai” gli dice. Il dialogo, a questo punto, sembra concluso. Ma quel dottore della Legge, avendo forse compreso l’assurdità della sua domanda, essendo egli stesso un “esperto” della Legge, fa a Gesù un’ulteriore domanda, “volendo giustificarsi” puntualizza Luca. “E chi è mio prossimo?”, chiede, screditandosi, in tal modo, ancor di più. Ma probabilmente il desiderio di mettere in difficoltà Gesù è, in lui, più forte dello stesso timore del ridicolo. In tale sua domanda, infatti, c’è una malizia ancora più sottile che in quella iniziale.
    Per un Ebreo osservante della Legge il “prossimo” era costituito dagli altri Ebrei osservanti della Legge e dai forestieri che si trovavano in Palestina (“Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” è scritto nel libro del Levitico, al v. 34 del cap.19). Non potevano, quindi, rientrare nel concetto di “prossimo” né i peccatori né i nemici né quegli Ebrei considerati “eretici”, essendosi discostati, in qualche punto, dalla Legge. Tra questi ultimi erano annoverati gli abitanti della Samaria. Non è un caso, perciò, che Gesù, per rispondere alla domanda su “chi è il prossimo”, narri una parabola, il cui protagonista positivo è un Samaritano.
    Se Gesù avesse risposto in maniera diretta alla domanda “Chi è mio prossimo?”, le risposte potevano essere soltanto due; ed entrambe insidiose. Se Egli, nel dare la definizione di “prossimo”, si fosse attenuto rigorosamente alla Legge, gli si sarebbe potuto obiettare che non era coerente con il suo proclamare la misericordia verso tutti. Se, invece, nel concetto di “prossimo” avesse fatto rientrare tutti, compresi i peccatori, i nemici, gli “eretici”, lo si sarebbe potuto accusare di non rispettare la Legge. Qualunque fosse stata la sua risposta, Egli poteva essere fatto oggetto di critiche e di condanna. Non era questo, forse, l’obiettivo di quel dottore della Legge nell’avvicinarsi a Gesù? Tutto, quindi, sembrava procedere secondo i suoi piani. Ma improvvisamente la conversazione prende una piega per lui inaspettata. Gesù non risponde direttamente alla domanda; comincia, invece, a narrare una parabola, il cui inizio probabilmente non colpisce quell’uomo in maniera particolare. Verso la metà del racconto, però, tutto cambia e diventa, per quel dottore della Legge, scandaloso e, allo stesso tempo, problematico. “... Un sacerdote, ... quando lo vide, passò oltre. Anche un levita ... vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione” dice Gesù. E, alla fine della narrazione, pone al suo interlocutore una domanda molto semplice: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Quell’uomo così sicuro di sé, della sua conoscenza della Legge, si trova “costretto” a dare l'unica risposta possibile: “Chi ha avuto compassione di lui”. E deve, per di più, ammettere che colui che aveva avuto compassione del povero malcapitato è un Samaritano, un uomo, quindi, considerato dai Giudei un “eretico”, un uomo da guardare con sospetto e con disprezzo. Gesù lo porta a esempio, mentre biasima il comportamento del sacerdote e del levita (uomini, dunque, al servizio di Dio!), che erano passati oltre.
    E quel dottore della Legge, che si era avvicinato a Gesù per metterlo in difficoltà, alla fine del colloquio è lui in difficoltà, perché si sente interpellato nel profondo, “costretto” ad ammettere una verità, alla quale, all’inizio dell’incontro, mai avrebbe pensato di poter giungere.
    Gesù è Verità che illumina il cuore umano anche negli angoli più reconditi, più bui, dove una persona difficilmente accetta di entrare, per non vedere la verità su se stessa, una verità spesso scomoda, che non le fa onore, perché è la verità della propria miseria, della propria piccineria, del proprio egoismo più meschino e più vile. E quell’uomo, che riteneva di conoscere molto bene la Legge e di non avere, quindi, nulla da imparare da quel “Rabbi” di Nazareth, comprende che può esserci una prospettiva diversa nell’interpretare la Legge. “Chi … ti sembra sia stato prossimo di colui …?”. Ed egli, conoscitore della Legge, che aveva chiesto maliziosamente a Gesù: “Chi è mio prossimo?”, cioè “Chi devo amare?”, non può fare a meno di rispondere che il “prossimo” di quel poveretto è stato “chi ha avuto compassione di lui”, cioè, “chi ha avuto il cuore pieno di amore”. Gesù ha completamente capovolto i termini del problema. Non “Chi è colui che io devo amare?”, ma “Io sono una persona capace di amare?”. A questo punto non ci sono più alibi, non ci sono più possibilità di interpretazioni ambigue.
    “Va’ e anche tu fa’ così” dice Gesù. E quel dottore della Legge non può fare altro che andare. Da questo momento egli sa che l’importante non è “sapere” chi è il prossimo, ma “essere prossimo”. Egli ha ormai la consapevolezza che, se vuole essere vero con se stesso, se vuole vivere nella verità, dovrà assomigliare a quell’ “eretico” Samaritano, dovrà prendere esempio da chi egli, Ebreo pio e praticante, ha sempre guardato con disprezzo. E probabilmente cambierà il suo modo di giudicare e di agire, essendosi reso conto, attraverso lo splendido, pedagogico percorso che Gesù gli ha fatto fare, che il cuore di Dio è infinitamente più grande della miope, rigida, fredda osservanza di una norma, e che questo Dio, che ama l’essere umano, vuole parlare al suo cuore, per farlo diventare, piano piano, simile al suo. Questo è il significato dell’espressione “…E ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima” contenuta nel brano del Deuteronomio (prima lettura). Dio non comunica la sua volontà al suo popolo, all’essere umano, per averne una formale osservanza. Egli non vuole l’esteriorità, l’apparenza, la fredda celebrazione di riti; Egli vuole l’adesione del cuore, vuole l’amore, vuole essere l’unico significato della vita del suo popolo, della vita di ogni uomo, di ogni donna.
    “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente”. Dio vuole essere amato con ogni mio respiro, con ogni fibra del mio essere!
   La sua legge, allora, non è qualcosa di esterno a me, che dall’alto cala su di me come un’imposizione, un peso che mi schiaccia, non è una fredda prigione che limita e “congela” la mia libertà, ma, come troviamo nel salmo responsoriale, “ la legge del Signore ... rinfranca l’anima, … rende saggio il semplice, … fa gioire il cuore, … illumina gli occhi, è … più preziosa dell’oro, è … più dolce del miele”, espressioni, queste, che dicono chiaramente che le indicazioni spirituali e morali che Dio mi dà sono per la mia gioia, perché io possa vivere con pienezza la mia esistenza.
    E mi diventa chiaro il significato più profondo e più vero della conversione che il Signore mi chiede. Egli vuole che io viva secondo il suo cuore, permettendogli di “lavorare” il mio cuore per renderlo simile al suo.
    Dio mi ama infinitamente. Anch’io, che mi sento così amato, voglio ricambiare il suo amore, desiderando ciò che Egli desidera per me. E il suo desiderio è trasformarmi sempre di più a sua immagine. Convertirmi, allora, è voler assomigliare sempre di più a Lui. E io so che questo è possibile.
    Duemila anni fa Dio ha mandato sulla Terra suo Figlio, facendolo diventare un uomo come me, ma uomo perfetto, l’uomo in tutto secondo il cuore del Padre. “Dio nessuno l’ha mai visto; il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” scrive l’apostolo Giovanni nel suo Vangelo (Gv 1,18). E Gesù ha rivelato il Padre non solo annunciandone la parola, ma mostrandone il volto con la sua stessa vita. “Chi ha visto me ha visto il Padre” risponde Gesù all’apostolo Filippo, che gli ha appena detto: ”Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8-9).
    Gesù ha reso visibile il Dio invisibile” (seconda lettura). Egli mi ha fatto conoscere, attraverso il suo volto, il volto del Padre. E anch’io sono chiamato ad avere questo stesso volto. E’ proprio questo lo stupendo prodigio compiuto in me dallo Spirito Santo dal momento in cui, con il battesimo, sono diventato figlio di Dio. Egli plasma in me i lineamenti del Padre, tenendo davanti a Sé un modello d’eccezione: Gesù, “immagine del Dio invisibile”.
    I comandamenti di Dio costituiscono l’argomento di questa domenica. L’uomo che, nel brano del Vangelo, si avvicina a Gesù è un dottore della Legge mosaica, un rappresentante dell’Antico Testamento, dunque. Gesù lo conduce oltre. Durante l’ultima cena Egli parla ai suoi apostoli di un “comandamento nuovo”; è il comandamento dell’amore: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). E in quel “come” troviamo la misura e la qualità dell’amore che deve esserci nel cuore del cristiano; sono la misura e la qualità dell’amore stesso di Dio. E’ nuovo il comandamento dell’amore dato da Gesù, ma non è un annullare la Legge dell’Antico Testamento, ne è il pieno compimento, è la perfezione di essa. Solo Gesù, il Figlio di Dio, poteva conoscere ciò che c’è nel cuore del Padre, che cosa Questi desidera profondamente; e l’ha comunicato agli uomini. Per mezzo di Lui ogni uomo e ogni donna che vengono in questo mondo possono entrare nelle profondità del mistero di Dio. “Chi ha visto me ha visto il Padre”. E a quel dottore della legge, così rigidamente ligio alla norma, così legalmente e freddamente perfetto, Gesù indica una perfezione nuova, una perfezione che riscalda il cuore e dà gioia,
   Quell’uomo, nella risposta che dà a Gesù, usa una parola-chiave. Il “prossimo” dell'uomo incappato nei briganti è “chi ha avuto compassione di lui” egli dice. “Compassione” è la parola – chiave. E’ questo il sentimento, insieme alla misericordia, prevalente nel cuore di Dio nei confronti dell’essere umano. Questi due sentimenti sono inscindibili, legati profondamente l’uno all’altro. “Misericordia” è l’atteggiamento del cuore di Dio chinato sulla miseria e sull’infelicità dell’umanità. “Compassione” è  “patire, soffrire insieme”, è il condividere pienamente le sofferenze dell’essere umano e intervenire per alleviarle.
    Dio ha fatto proprio questo con la sua creatura più amata. Nella parabola del buon Samaritano non vi è, forse, descritta la storia del peccato dell’essere umano e dell’intervento salvifico di Dio? Questi, come il buon Samaritano, si è chinato sull’umanità, l’ha presa dalla situazione infelice, in cui si era trovata dopo aver rifiutato il suo Creatore. L’essere umano aveva perso ogni cosa; era stato, dal suo peccato, derubato della sua dignità, della sua identità di creatura fatta da Dio a sua immagine; era prostrato, ferito, ricoperto di piaghe provocate dai suoi errori. Da solo non sarebbe mai più riuscito a rialzarsi e a ritornare a Dio, non avrebbe mai più potuto ritrovare la sua identità. Allora Dio stesso è corso in suo aiuto. Il Figlio ha detto il suo “Sì”, sapendo bene quanto quel “Sì” gli sarebbe costato. Dio Padre ha sacrificato suo Figlio, l’Innocente, per salvare me, che innocente non ero. Il Padre ha dovuto vedere morire suo Figlio sulla croce, perché ogni essere umano potesse diventare suo figlio. Il cuore dovrebbe fermarsi nel pensare fino a che punto Dio ci ha amati.
    “Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati” ha detto un giorno Gesù (Mt 10,30). Questo può fare comprendere la misura dell’attenzione e della cura che Dio ha nei confronti di ogni uomo e di ogni donna in ogni istante della loro esistenza. Il Prossimo più prossimo per l’essere umano è proprio Dio! E questo Dio d’amore, questo Dio “Misericordia” e “Compassione”, che mi ama infinitamente e vuole per me il bene più grande, mi indica il cammino della vera gioia e della piena realizzazione: “Va’ e anche tu fa’ così”.

07 Luglio 2019 - XIV Domenica del Tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO





LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Is 66, 10-14

Io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace.
Dal libro del profeta Isaìa

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi»


Salmo Responsoriale Dal Salmo 65

Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».
«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.


Seconda Lettura Gal 6, 14-18

Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.


+ Vangelo Lc 10, 1-12. 17-20. forma breve Lc 10,1-9

La vostra pace scenderà su di lui.

Dal vangelo secondo Luca

[In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.] Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».


COMMENTO


    Settantadue uomini vengono inviati da Gesù “a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” con il compito di preparargli la strada, di rendere i cuori pronti ad accoglierlo. Probabilmente la fiducia del Signore nei loro confronti li aveva già riempiti di un certo orgoglio; ma, quando ritornano da Lui, dopo avere svolto la missione loro assegnata, l’entusiasmo è incontenibile. “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” gli dicono, sovrapponendo probabilmente l'una all'altra, con gioiosa concitazione, le loro voci. Gesù avrà sorriso di tenerezza dentro di sé, mentre ascoltava quei suoi discepoli, che, pieni di entusiasmo, raccontavano i prodigi da loro compiuti: i malati guarivano, i demoni stessi obbedivano alla loro voce. Quale soddisfazione doveva trasparire dai loro volti! Ma Gesù, pur condividendo la loro gioia, in qualche modo la raffrena o, almeno, ne cambia la motivazione: “Non rallegratevi, però, perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Egli vuole che i suoi discepoli comprendano che cosa è veramente importante per l’essere umano. A quegli uomini, che avevano il morale alle stelle, perché si sentivano quasi onnipotenti, pieni della stessa potenza di Dio, Gesù indica una realtà che vale infinitamente di più dello stesso straordinario potere di scacciare i demoni.    “Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Ecco la vera, profonda gioia dell’essere umano, ecco ciò che dà senso e pienezza alla sua esistenza: è la salvezza, è, dopo il disastro del peccato originale, il ritrovato rapporto d’amore con Dio grazie al sacrificio di suo Figlio Gesù, è l’essere una creatura nuova, come , nella seconda lettura, afferma l’apostolo Paolo, il quale, pur con parole diverse da quelle usate da Gesù, espone lo stesso concetto: “Fratelli, quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo... Non è, infatti, la circoncisione che conta né la non circoncisione, ma l’essere nuova  creatura ”. L’unico “vanto”, per Paolo, è l’essere stato salvato dalla croce di Cristo. “Circoncisione” e “non circoncisione” indicano rispettivamente l’appartenenza e la non appartenenza al popolo ebraico; ma, dice Paolo, non è l’appartenenza a un determinato popolo (e, con tale termine, possiamo intendere anche il ceto sociale, la cultura, la ricchezza, le capacità, il ruolo all’interno della società) che rende “importante” una persona e che, quindi, la può fare sentire orgogliosa di un qualcosa di cui vantarsi. Ciò di cui mi vanto, afferma Paolo (e, con lui, lo posso affermare anch’io), non è qualcosa che viene da me, ma un dono che mi è stato fatto, un  regalo dell’amore gratuito e misericordioso di Dio, un dono di cui sono stupito e riconoscente.  Sì, il nostro Dio è un Dio che, innamorato infinitamente dell’essere umano, compie per questa sua creatura le meraviglie che solo un Dio può compiere.
   Al popolo d’Israele, appena ritornato dall’esilio babilonese, Dio, attraverso il profeta Isaia, promette un futuro radioso, di consolazione e di gioia. All’essere umano, il cui peccato originale e la cui lontananza da Dio sono simboleggiati dall’esilio del popolo d’Israele, Dio dona non solo il perdono, ma addirittura una dignità ancora più grande di quella originaria. Alla creazione, infatti, l’essere umano era una creatura chiamata a comunicare, in un rapporto di amicizia, con il suo Creatore; ma la sua natura era soltanto umana. Quando egli, nel suo orgoglioso desiderio di diventare come Dio, aveva interrotto tale rapporto di amicizia con il suo Creatore, sprofondando in un abisso di angoscia e di oscurità spirituale e morale, Dio non l’ha abbandonato in balia della sua miseria e delle sua disperazione esistenziale, ha voluto recuperarlo a Sé. Ciò è stato realizzato in un momento storico ben preciso, in un luogo ben preciso, per mezzo di una Persona ben precisa. Duemila anni fa, in Palestina, il Figlio di Dio, diventato anche Figlio dell’uomo, fa morire con Sé, sulla croce, l’uomo vecchio, l’uomo del peccato, attirando su di Sé, come una calamita, tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Risorge il terzo giorno e, risorgendo, dà a ogni persona la possibilità di trovare la propria “resurrezione”, di riannodare il rapporto con il suo Creatore. Ma tale rapporto risulta più profondo, più intimo di quello iniziale. L’essere umano non è più una semplice creatura di fronte al proprio Creatore, ma un figlio di fronte al proprio Padre. In Gesù, egli, come tralcio unito alla vite, riceve, nel battesimo, la vita stessa di Dio, che lo permea di divinità. E’ lo stupendo miracolo delle divinizzazione dell’essere umano! E una creatura, per di più ribelle, può chiamare il suo Creatore con il tenerissimo nome di “Abbà”, che in aramaico, la lingua parlata da Gesù, significa “Papà”, come affettuosamente e confidenzialmente un figlio chiama suo padre. Le meraviglie di Dio sorpassano anche l’immaginazione più ardita! Per questo io esulto di gioia, perché tutto, nella mia vita, è dono gratuito di questo Dio che “non mi ha negato la sua misericordia”. Per questo, allora, io sento, in ogni mia fibra, l’esigenza di “narrare quanto per me Egli ha fatto”.
    E, come me, ogni uomo e ogni donna dovrebbero poter narrare quanto Dio ha fatto per loro. Ogni uomo e ogni donna, quindi, hanno diritto a sperimentare la gioia della loro figliolanza divina. Per questo  Dio “manda” anche me, come quei settantadue discepoli di duemila anni fa. Dovunque io mi trovi a vivere, là io divento un “operaio” della “messe” del mio Dio. Ed essere “operaio”, strumento del Padre per il bene degli altri suoi figli, è , per me, la gioiosa espressione della mia gratitudine di figlio. E il mio vanto è solo questo Dio così incredibilmente innamorato di me e di ogni persona che Egli chiama all’esistenza.