27 Ottobre 2019 - XXX Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Sir 35, 15-17.20-22

La preghiera del povero attraversa le nubi.



Dal libro del Siràcide

Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.


Seconda Lettura 2 Tm 4,6-8.16-18

Mi resta solo la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.


+ Vangelo Lc 18, 9-14

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


COMMENTO


    Due uomini nel tempio. Due cuori si pongono davanti a Dio. Un pubblicano e un fariseo: sembrerebbero lì con lo stesso scopo: stare con il Signore, parlare con Lui. Ma Gesù immediatamente fa comprendere che in quei due uomini vi è un diverso atteggiamento interiore di fronte a Dio. Il loro atteggiamento esteriore ne è un segno inequivocabile. Il fariseo “sta in piedi”, ritto, a testa alta davanti al Signore, dal quale sembra non dover temere nulla; infatti, egli “digiuna due volte alla settimana e paga le decime di  tutto quello che possiede”; egli “non è come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano”, che è entrato insieme a lui nel tempio. Insomma, un uomo perfetto, questo fariseo, che non solo non ha nessun “debito” con Dio, ma addirittura ritiene di essere, di fronte al Signore, un creditore. Dio non può negare la salvezza a un uomo così giusto, così “perfetto”!
    Invece... quel povero pubblicano! Quello sì che è un peccatore! Appartiene addirittura a una categoria che, insieme a quella delle prostitute, è considerata categoria di peccatori pubblici e additata al disprezzo di tutti. I pubblicani, incaricati di riscuotere le tasse per conto di Roma, non aumentano forse la cifra da riscuotere, in modo che il di più entri nelle loro tasche? Veri e propri ladri, dunque, meritevoli della più tremenda condanna da parte degli uomini e, soprattutto, da parte di Dio.
    Ma, ecco, quel pubblicano si presenta davanti al Signore con un cuore contrito; è addolorato e pentito per i suoi peccati. Non si ritiene degno nemmeno di stare alla presenza di Dio; “fermatosi a distanza, non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo” (e sembra di vederlo quel suo capo chino di fronte a Dio), “si batte il petto” e invoca il perdono divino. E' veramente un “povero” in senso biblico, un “anawim”, un umile, che, di fronte a Dio, riconosce la propria piccolezza e la propria miseria ed è consapevole che da questo Dio può solo invocare e accogliere con gratitudine l'amorevole e misericordioso perdono.
    E Dio risponde a entrambi secondo l'atteggiamento del loro cuore. Dice “No” a quel fariseo così pieno di sé, così gonfio di orgoglio, così sicuro della sua perfezione di fronte a Dio. Quel fariseo tornerà a casa non giustificato.  “Sì”, invece, è la risposta a quell'umile pubblicano; è il “Sì” del perdono di un Dio che da un cuore contrito si sente “spinto” alla misericordia che vuole salvare chi è perduto, che vuole “guarire” il cuore dalla “malattia” del peccato, che vuole dare all'uomo pentito la gioia di una fresca novità di vita.
    Quel fariseo, così stimato da se stesso e dagli uomini per la sua perfetta osservanza della legge, non trova stima agli occhi del Signore. Non è, infatti, il formale e freddo rispetto dei riti che fa gioire il cuore di Dio, ma il calore di un cuore che ama. E quel pubblicano ha un cuore che batte per Dio, un cuore che prova dispiacere per aver dato dispiacere al suo Signore. E da un cuore così si leva quella preghiera che “attraversa le nubi”, che giunge al cuore di Dio e ne attira tutta la potenza di misericordia e di perdono.
    Dà forza e sicurezza sapere che Dio è un giudice giusto, che non fa preferenza di persone. Di fronte a tanta stima umana per le apparenze di perfezione è consolante sapere che le apparenze non valgono nulla di fronte a Dio, perché Egli guarda il cuore e vede là dove l'uomo non riesce a giungere con il suo sguardo superficiale. L'essere umano guarda e stima l'apparenza; Dio guarda e stima la verità profonda del cuore.
    Aiutami, Signore, ad avere un cuore umile e sincero di fronte a Te, un cuore su cui Tu possa teneramente posare lo sguardo, ricolmandolo, con gioia, della tua infinita misericordia.


20 Ottobre 2019 - XXIX Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Es 17, 8-13

Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva.


Dal libro dell‘Èsodo

In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle.
Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.
Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 120

Il mio aiuto viene dal Signore.

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.


Seconda Lettura 2 Tm 3, 14-4, 2

L’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.


+ Vangelo Lc 18, 1-8

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».


COMMENTO

    Signore, sono qui, davanti a Te, con tutta la fede e con tutto l'amore di cui sono capace. So che Tu mi stai guardando con infinito amore, mi “abbracci” con questo tuo amore e io, in questo momento, voglio lasciare “fuori” ogni fretta, ogni interesse, ogni pensiero che mi possano distrarre da Te; desidero soltanto starmene qui, cuore a cuore con Te, e abbandonarmi alla tenerezza e alla forza del tuo abbraccio, come un bimbo nelle braccia della sua mamma e del suo papà.
    Signore, Tu sei il mio Signore, il senso unico della mia esistenza; nessun altro e niente altro possono dare un significato stupendo, profondo alla mia vita come quello che le dai Tu. Per questo ho bisogno di stare con Te. Tu sei l'ossigeno della mia esistenza, Tu sei la Sorgente che alimenta continuamente e abbondantemente questo ruscello che sono io e che da Te riceve l'acqua che lo costituisce e gli dà vita. Tu, Signore, sei l'aria che respiro e la bellezza che fa vibrare di gioia il mio cuore.
    E sei mio Padre. E io, con il cuore pieno di gratitudine, sono felice di poterti chiamare “Abbà”, “Papà”, sapendo che questo nome pronunciato da me nei tuoi confronti sarebbe un osare quasi blasfemo e farebbe tremare ogni mia fibra, se io non avessi la certezza che Tu hai voluto rendermi tuo figlio per un puro atto del tuo amore infinito per me, sapendo che Tu gioisci ogniqualvolta senti il mio cuore, prima che le mie labbra, chiamarti “Abbà”.
    Signore, non sono io che Ti amo per primo, non sono io che per primo vengo verso di Te. Sei Tu che ti chini su di me dall'alto della tua onnipotenza, che mi prendi fra le tue braccia e mi porti fino alla tua guancia (cfr. Os 11,4) e lì io posso guardarti negli occhi e posso darti del “Tu” con la confidenza che solo un figlio che si sente amato può avere.
    Ecco, Signore, anch'io, come Mosè, levo le mie mani verso di Te e Ti presento con fiducia tutte le persone, tutte le situazioni che ho nel cuore. Lo so, prima Ti ho detto che volevo lasciare “fuori” tutti e tutto, che volevo chiudere la porta della stanza del mio cuore e starmene solo con Te. Ma, Signore, non riesco a tenere fuori da questo nostro incontro gli altri tuoi figli, miei fratelli in Te, sia coloro che si sono affidati o sono stati affidati alle mie preghiere sia i miliardi di sconosciuti che costituiscono l’intera l’umanità. Li ho tutti nel cuore e da questo mio cuore io desidero “lanciarli” tutti in Te. E Tu, attraverso il mio amore, li accogli e li abbracci tutti. Ma questo mio amore non è forse quell'amore che Tu stesso hai riversato dentro di me, quando, con il battesimo, lo Spirito Santo mi ha reso tuo figlio e, da quel momento, mi ha “lavorato” e mi “lavora” in ogni istante, perché io, nella docilità alla sua azione, possa diventare sempre di più somigliante a Te?
    Non so se Tu mi accontenterai in tutte le mie richieste, ma so che non perderai nemmeno una virgola di quanto io Ti metto nel cuore. Certo, desidererei tanto che Tu intervenissi con tutta la tua potenza d'amore su tutte le persone e su tutte le situazioni che Ti sto presentando; vorrei che Tu guarissi i malati, che donassi serenità, pace e gioia a chi è nell'affanno e nell'angoscia, che dessi a ciascuno secondo le sue necessità, che risolvessi i problemi che assillano e tormentano i cuori, che appianassi i contrasti che distruggono le famiglie e dividono gli individui e i popoli; vorrei che... Quante cose Ti sto chiedendo, Signore! E so che Tu mi stai ascoltando con attenzione. Ma Tu, e solo Tu, sei Dio e conosci ogni cosa. Solo Tu sai ciò che è veramente bene per ciascuno dei tuoi figli; solo Tu sai se quello che il nostro cuore desidera profondamente ci può dare la vera gioia; solo Tu vedi lontano, infinitamente lontano, e puoi scorgere, più di noi e prima di noi, quell'orizzonte dove noi riteniamo che sia il nostro bene e che, invece, una volta raggiunto, può rivelarsi un danno per noi.
    Una mamma, un papà non concedono al loro bimbo tutto ciò che egli desidera e chiede; essi sanno che cosa è bene concedere e che cosa non lo è. E, magari con tanto dispiacere nel cuore, diranno “No” al loro bambino, ben sapendo che egli probabilmente non capirà la loro risposta negativa e si arrabbierà, pesterà i piedi, urlerà loro che non gli vogliono bene. Ma quei genitori non cederanno, perché il loro sguardo vede ben al di là dello sguardo del loro bimbo. Passerà del tempo, forse anni, prima che quel figlio comprenda quanto siano stati salutari per lui tutti i “No” della sua mamma e del suo papà.
    E noi, Signore, non siamo forse, davanti a Te, come dei bambini? Quanto poco riusciamo a capire del nostro vero bene! Anche noi, tante volte, di fronte ai tuoi “No” pestiamo i piedi e, con tutta la delusione e la rabbia che abbiamo dentro, Ti urliamo che non ci vuoi bene, che non ci ascolti, che ci vuoi infelici e nella sofferenza. E magari ci allontaniamo da Te sbattendo la porta. Ma Tu non torni indietro sulla tua decisione. Certamente soffri per il nostro dolore, per la nostra delusione, per la nostra rabbia, ma non torni indietro, poiché sai che quel tuo “No” è bene per noi. E vorresti che noi, tuoi figli, ci fidassimo un po' più di Te, ci fidassimo del tuo amore; vorresti che noi credessimo un po' di più in Te, nostro Dio e nostro Padre, e che, davanti a un tuo eventuale “No”, magari per noi incomprensibile, riuscissimo a dire: <<Padre, non capisco perché Tu mi lasci in questa situazione difficile, di dolore, di sofferenza, ma io so che Tu hai un motivo valido per non intervenire come io desidererei, poiché sono certo che Tu, anche con un tuo “No”, mi dimostri il tuo amore e la tua attenzione costante per me>>.
    Allora, Ti prego, Padre, aiutami a credere nel tuo amore sempre, anche quando mi sembra che Tu rimani in silenzio e mi lasci nel buio. Aiutami ad abbandonarmi fiduciosamente nelle tue braccia, con la certezza che Tu mi tieni sempre stretto a Te, al sicuro tra quelle tue forti braccia.
    Forse, Padre, non sempre esaudirai le mie richieste, ma una cosa è certa: Tu sei il mio custode, sei come ombra che mi copre e mi protegge; stai alla mia destra, accompagnandomi in ogni istante della mia vita; Tu non ti “addormenti” mai, vegli continuamente su di me, perché il mio piede non vacilli, neanche quando procedo nei cammini più impervi della vita. Tu sei con me sempre!
    Ti ringrazio, o Dio, perché esisti e perché sei così come sei.                



13 Ottobre 2019 - XXVIII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura 2 Re 5, 14-17

Tornato Naamàn dall’uomo di Dio, confessò il Signore.


Dal secondo libro dei Re

In quei giorni, Naamàn [, il comandante dell’esercito del re di Aram,] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra].
Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.
Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 97

Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!


Seconda Lettura 2 Tm 2, 8-13

Se perseveriamo, con lui anche regneremo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.


+ Vangelo Lc 17, 11-19

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.


Dal vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


COMMENTO

    Naamàn, generale siriano, comandante dell'esercito del re di Aram - uno straniero, quindi -, colpito dalla lebbra, viene guarito da Dio lavandosi nel fiume Giordano per sette volte, secondo la parola del profeta Eliseo, al quale egli, con umiltà, si è rivolto dietro consiglio di una sua schiava, una giovane ebrea, rapita da bande aramee durante una razzia e finita al servizio di sua moglie.
    Con il cuore pieno di gratitudine Naamàn torna dal profeta Eliseo e fa un grande atto di fede nel Dio d'Israele: “Ecco, ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele” e, al rifiuto del profeta di accettare i suoi doni come ringraziamento, esprime l'intenzione di innalzare a Damasco un altare a Javhè con la terra presa in Palestina, una terra che egli considera particolarmente benedetta da Dio; chiede, infatti, di “caricare tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché... non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore”. La sua umiltà gli ha ottenuto la guarigione del corpo; il miracolo lo conduce alla fede, permeata di riconoscenza e gratitudine, nel Dio d'Israele.
    Un lebbroso samaritano, uno “straniero”, un “quasi nemico” per gli Ebrei, viene guarito da Gesù insieme ad altri nove lebbrosi. La guarigione avviene lungo la via, mentre, secondo la parola di Gesù, essi stanno andando dai sacerdoti per farsi riconoscere l'avvenuta guarigione. E, come Naamàn, anche questo “straniero” ritorna indietro “lodando Dio a gran voce” (sembra quasi di poter percepire la sua gioia incontenibile!) e “si prostra davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo”. Anche in lui avviene, con la guarigione fisica, una trasformazione interiore: “Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!”; così lo commiata Gesù, nel cui cuore, accanto alla gioia per la gratitudine e la fede di questo Samaritano, vi è anche una profonda tristezza per l'ingratitudine degli altri nove, che, troppo preoccupati di far verificare ai sacerdoti la loro guarigione, come prescrive la Legge, non sentono minimamente il bisogno di tornare a ringraziare Colui che li ha guariti.
    Un Siriano e un Samaritano. Due stranieri, quindi, sono i protagonisti rispettivamente della prima lettura e del brano di Vangelo. Quale messaggio d'amore ci manda Dio attraverso questi due episodi! Non ci sono “stranieri” per Lui. Ogni essere umano è “frutto” del suo amore creativo. Ogni persona viene in questo mondo, perché Egli l'ha voluta far esistere; l'amore divino la “circonda” e l'accompagna in ogni istante della sua vita e l'eternità con Dio è il suo splendido destino finale.
    “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d'Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti” (At 10,34-36). Sono affermazioni fatte da Pietro in casa del centurione romano Cornelio, dove Dio lo aveva miracolosamente condotto, perché i componenti di questa famiglia pagana, i cui cuori erano totalmente aperti all'azione potente dello Spirito Santo, potessero ricevere il battesimo e diventare, così, figli di Dio.
    Dalla prigione, nella quale si trova rinchiuso in catene a causa del Vangelo, l'apostolo Paolo scrive a Timoteo: “Ma la parola di Dio non è incatenata!”. E' la Buona Novella questa “parola di Dio”, è l'annuncio gioioso dell'amore infinito e fedele di questo Dio-Padre, il cui volto Gesù ci ha rivelato attraverso il suo volto d'amore; è l'annuncio sempre attuale e sempre nuovo, che, per mezzo dei credenti, deve diffondersi per le vie del mondo come un'infinita rete di ruscelli d'acqua limpida e fresca, che irrigano e fanno fiorire ogni deserto che esiste dentro l’umanità; è la parola tenera e appassionata di questo Dio che non si stanca mai di far sentire la sua voce a ogni essere umano, nel più profondo del suo cuore: “Io, il tuo Dio, ti amo. Tu sei mio figlio, infinitamente prezioso ai miei occhi!”.
   E io comprendo, allora, che, come per Dio, anche per me, suo figlio, non ci devono essere “stranieri”, ma solo “fratelli” da amare con lo stesso cuore con cui ci ama questo nostro meraviglioso Padre che è nei cieli.

06 Ottobre 2019 - XXVII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Ab 1,2-3; 2, 2-4

Il giusto vivrà per la sua fede.


Dal libro del profeta Abacuc

Fino a quando, Signore, implorerò aiuto
e non ascolti,
a te alzerò il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità
e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza
e ci sono liti e si muovono contese.
Il Signore rispose e mi disse:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 94

Ascoltate oggi la voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».


Seconda Lettura 2 Tm 1,6-8.13-14

Non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.


+ Vangelo Lc 17, 5-10

Se aveste fede!


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».


COMMENTO

    Violenza, iniquità, oppressione, rapine, liti, contese. Di questo si lamenta il profeta Abacuc con il Signore. “Dove sei Tu, o Dio, mentre accadono tutte queste cose?”. E' il grido di un uomo che si sente impotente di fronte a situazioni più grandi di lui, di fronte a un fiume in piena di male che dilaga ovunque e distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino.
    E' la situazione della fine del VII sec. e l'inizio del VI sec. a. C., il tempo in cui è vissuto il profeta Abacuc. Ma, se osserviamo bene la nostra società, il nostro tempo, non vediamo forse la stessa realtà? Violenza, iniquità, oppressione esercitata dai potenti sui più deboli, rapine, liti... E forse il cristiano, come Abacuc, rimane sgomento e si rivolge a Dio con lo stesso grido del profeta:<<Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido “Violenza!” e non salvi? Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione?>>. Ma Dio non se ne sta in silenzio. Risponde ad Abacuc, risponde al credente; e la sua risposta è data con pacatezza, ma, nello stesso tempo, con la forza e la sicurezza che solo Dio può avere: “Non temere, ci sarà un termine a tutto questo; verrà il giorno in cui il male sarà definitivamente sconfitto e il bene trionferà. Ma, fino a quel momento, tu, credente, hai un ruolo ben preciso in questa situazione di male, in cui ti trovi a vivere: devi passare in mezzo alle tenebre e al fango del male rimanendo limpido, pulito, forte di quella forza che ti è data dalla tua fede in Me, e dentro quel fango, dentro quel buio devi risplendere di quella luce che ti è data dalla mia presenza in te. Io, Dio, posso risplendere in mezzo alle tenebre del male grazie a te, figlio mio, grazie alla tua fede, che ti fa passare in mezzo al fango senza sporcarti, permettendoti, anzi, di eliminare il fango dovunque tu passi, facendo diventare pulita e luminosa la realtà che prima del tuo passaggio si trovava immersa in quel fango”.
    “La parola del Signore rimane in eterno: e questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato” si proclama nel canto al Vangelo, costituito da un passo della prima lettera di Pietro. E, come una conseguenza necessaria, ecco l'esortazione dell'apostolo Paolo, che, nella lettera ai Filippesi, scrive “Risplendete come astri nel mondo, tenendo alta (salda) la parola di vita” (Fil 2,15b-16a). Di fronte a tali parole, l'immagine che, quasi automaticamente, si forma dentro di noi è quella di un atleta olimpionico che corre per le strade del mondo stringendo saldamente in mano la fiaccola olimpica con il braccio teso al massimo verso l'alto, perché quella fiaccola splenda più in alto possibile e tutti possano vederla. Simbolo di pace e di unità fra i popoli in nome dello sport, quella fiaccola suscita emozione e lascia un segno dovunque passa.
    “Risplendete come astri nel mondo, tenendo alta (salda) la parola di vita”. E' di questa parola che il mondo ha bisogno; è questa parola che ha in sé la stessa potenza di Dio e che, giungendo ai cuori immersi nel fango e nelle tenebre del male, può renderli limpidi e splendenti della stessa limpidezza e dello stesso splendore che sono nel cuore di Dio.
    Umile e docile strumento di Dio in un mondo che vive come se Dio non ci fosse e che Egli, nel suo fedele, incrollabile e infinito amore, vuole a tutti i costi attirare a sé: ecco il cristiano, che, pieno della vita di Dio, deve essere un canale ampio e sgombro, attraverso il quale Dio può far giungere l'acqua rigeneratrice della sua vita a tutti gli uomini, che, anche se spesso inconsapevolmente, sono assetati di Lui.
    Ed essere strumento di salvezza non è un vanto, non è un merito che mi fa accampare “diritti” di fronte a Dio, ma una responsabilità, un dovere che mi deriva dall'essere figlio di Dio per un gratuito dono d'amore di Dio stesso, il quale, come unico “grazie”, mi chiede di collaborare con Lui, per permettergli di costruire un mondo migliore, illuminato e riscaldato dal suo amore. Questo è ciò che Gesù vuole dire con la frase conclusiva del Vangelo odierno: <<...Voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”>>. Sembrerebbe dura, severa questa espressione di Gesù nei confronti dei credenti in Lui. Ma, di fatto, non è lo è. Si tratta soltanto di una profonda verità. Dio è onnipotente. Egli può tutto; a Lui nulla è impossibile. Egli, con uno schiocco delle sue dita, potrebbe far scomparire in un istante l'universo e, con un altro schiocco di dita, potrebbe, in un istante, ricrearlo. Ma Dio ama infinitamente l'essere umano e vuole che questa sua creatura tanto amata possa sentirsi utile nella costruzione del suo Regno. Essere chiamati a collaborare con Dio è un dono che Egli ci fa, perché noi possiamo dare alla nostra vita uno scopo infinitamente grande, infinitamente importante. E che cosa ci può essere di più importante che essere chiamati da Dio stesso a essere suoi collaboratori nella costruzione del suo Regno? Ma la consapevolezza della grandezza del compito che Dio mi affida deve essere sempre accompagnata dalla consapevolezza che non sono io che posso arrivare ai cuori degli uomini e “lavorarli”, perché assomiglino sempre più al cuore di Dio, ma è Dio stesso, e solo Lui, che ha questo potere. A me Dio ha voluto dare l'immensa gioia di collaborare con Lui. Come, allora, non avere il cuore pieno di gratitudine nei confronti di questo Dio che, con un'umiltà incredibile, chiama me, così incapace e spesso “pasticcione”, ad “aiutarlo” nella realizzazione del suo progetto di salvezza?
    Io sono solo una piccola creatura, umanamente impotente di fronte al male; ma Dio è con me. Un granellino di senape di fede può far spostare le montagne, perché “fede” significa avere fiducia in questo Dio a cui nulla è impossibile. Di fronte alla fiducia dei suoi figli Egli si sente “spinto” a mettere in campo tutta la sua potenza. Ed è questa sua potenza in noi che ci permette di “risplendere come astri nel mondo, tenendo alta (salda) la parola di vita”.