29 Settembre 2019 - XXVI Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Am 6, 1.4-7

Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.


Dal libro del profeta Amos

Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 145

Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.


Seconda Lettura 1 Tm 6, 11-16

Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.


+ Vangelo Lc 16, 19-31

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».


COMMENTO

    “Tu, uomo di Dio, evita queste cose...”. Così scrive l'apostolo Paolo a Timoteo (seconda lettura). Ma quali cose Timoteo deve evitare? Paolo le elenca poco prima nella stessa lettera: “Non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. Quando, dunque, abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli, invece, che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell'inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L'avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti. Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi, invece, alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza” (1Tm 6,6-11).
    Il senso profondo dell'odierna liturgia della Parola è racchiuso in queste poche righe. Non è la ricchezza in sé che costituisce motivo di condanna da parte di Dio (i ricchi possono stare tranquilli su questo punto!), ma “l'avidità del denaro”, perché l'essere umano, quando è attaccato al denaro e lo desidera in maniera spasmodica, fa della ricchezza il senso della sua vita e dimentica Dio, relegandolo tra le “cose” di minore importanza.
    “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Con tali parole di Gesù si chiudeva il Vangelo della settimana scorsa. In questa domenica Gesù continua il discorso sul denaro e rincara la dose, narrando una parabola, che, se non compresa nel suo effettivo, profondo significato, rischia veramente di far “tremare i polsi” di coloro che, per eredità o per abilità personale, possiedono ricchezze.
    Allora, è proprio vero che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno i Dio”? Se si legge interamente l'episodio narrato da Marco in cui Gesù pronuncia tale frase (Mc 10,17-27), si può facilmente comprendere che i discepoli avevano capito molto bene che Egli non si riferiva tanto al possesso delle ricchezze quanto all'attaccamento ad esse. Il giovane ricco, che si era avvicinato al Signore per chiedergli che cosa dovesse fare per ottenere la vita eterna, alla proposta di Gesù di vendere tutto e darlo ai poveri per poi seguirlo, se ne era andato triste, poiché “possedeva molti beni”. E <<Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”. I discepoli erano sconcertati dalle sue parole>>. Ci si può chiedere il perché dello sconcerto dei discepoli. In fondo, essi non erano certamente ricchi e, quindi, l’affermazione di Gesù non avrebbe dovuto colpirli più di tanto; nessun timore, per loro, di rischiare la vita eterna. Ma Gesù continua a parlare e pronuncia la famosa frase (“E’ più facile che un cammello…”), la quale farebbe pensare a un inferno pieno di persone, che, nella loro vita terrena, hanno avuto la “sfortuna” di essere ricche. A tale frase di Gesù, i discepoli reagiscono in maniera strana, addirittura incomprensibile, manifestando una preoccupazione che sembrerebbe “esagerata” e immotivata. <<Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: “E chi può essere salvato?”>>. Quegli uomini, pur non essendo ricchi, tuttavia erano rimasti scossi dalle parole di Gesù, come se avessero sentite rivolte anche a loro quelle parole; e grande, nel loro animo, doveva essere stata la preoccupazione, se con sbigottimento si erano chiesti: “E chi può essere salvato?”. Stavano avendo seri dubbi circa la loro salvezza eterna e quella di tutti gli uomini. Sembrava proprio che, secondo loro, nessun uomo potesse salvarsi!
    E' chiaro, allora, che, nella mente e nella coscienza di quei discepoli, le parole di Gesù sulla difficoltà, per un ricco, di entrare nel regno dei cieli non si riferivano alla ricchezza in sé, ma a qualcosa di ben diverso, qualcosa che ogni essere umano si porta dentro e che gli può far rischiare la stessa vita eterna. Questo qualcosa non è la ricchezza materiale, ma il rapporto che ogni persona, nel profondo del suo cuore, ha con essa.
    Come nella settimana scorsa, anche oggi la Parola di Dio mette il nostro cuore di fronte al denaro, perché noi possiamo verificare quale importanza e quale valore esso ha per noi. Non è così scontato che il nostro cuore, anche il nostro cuore di credenti, sia libero di fronte al denaro. Non è così scontato che Dio, e solo Lui, costituisca il senso profondo della nostra esistenza. Forse, se ci esaminiamo a fondo, con il coraggio della verità, potremmo scoprire, magari con sgomento, come è accaduto a quei discepoli di Gesù, che il denaro è molto, molto importante per noi e che, per avere un sostanzioso conto in banca, in cui riporre la nostra sicurezza e la nostra tranquillità, siamo capaci di fare “salti mortali”, spendendo tempo ed energie, che togliamo ai nostri cari, ai parenti, agli amici, ai conoscenti, a chiunque incontriamo sul nostro cammino. Poi, soprattutto per quanto riguarda i familiari, li copriamo magari di regali per farci, in qualche modo, perdonare la nostra “assenza” nella vita di famiglia, ma, intanto, per accumulare denaro il più possibile, abbiamo tolto alle persone care le attenzioni, il dialogo, il calore umano, la presenza, silenziosa magari, ma pur sempre presenza, che rende palpitante di vita le relazioni familiari; e non solo quelle. Quanto tempo, quante energie per “fare soldi”, quando intorno a noi, cominciando dalla nostra famiglia, ci sono tanti “Lazzari” che attendono di “nutrirsi” della nostra presenza, delle nostre attenzioni, del nostro amore!
    Gesù, nell'annunciare le beatitudini, inizia il suo discorso con “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).
    Noi, quando parliamo di ricchezza e povertà, ci riferiamo sempre a una realtà economico-sociale. Per Gesù non è così. Nella Bibbia i “poveri in spirito” sono i cosiddetti “anawim”, coloro, cioè, che, con umiltà, riconoscono la loro piccolezza, la loro fragilità, la loro non-autosufficienza e che, quindi, tengono continuamente il loro sguardo rivolto verso Dio e le loro mani tese verso di Lui, dal quale attendono ogni cosa, sia spirituale sia materiale. Gli “anawim” possono magari avere molte ricchezze, ma non pongono in esse la loro sicurezza e il senso della vita; per loro le ricchezze costituiscono solo un mezzo, un talento dato loro da Dio, perché essi se ne servano per il loro e l'altrui bene. Un ricco, quindi, può essere “anawim”, un “umile”, un “povero in spirito”, a cui Dio assicura il regno dei cieli. Al contrario, un uomo, che, potendo condurre, grazie a normali introiti, una vita dignitosa e tranquilla, desidera essere ricco per sentirsi realizzato, vivendo ogni suo istante con il cuore tutto teso alle ricchezze, e che, non riuscendo ad averle, invidia i ricchi e vive nella rabbia e nella tristezza, non può essere considerato un “povero in spirito”, ma  un “ricco in spirito”, il cui cuore è schiavo di quelle ricchezze che non ha; per quest'uomo Dio non conta nulla, Dio non è il suo Dio, perché il suo dio è il denaro, nel quale egli ha posto ogni sua sicurezza e ogni sua gioia; per lui il regno dei cieli rischia di rimanere chiuso.
    “E chi può essere salvato?”. Quei discepoli di Gesù, senza cultura e senza ricchezze, avevano colto il senso profondo del problema costituito dal denaro, non tanto posseduto quanto ardentemente e smodatamente desiderato. Sono stupiti, sbigottiti quegli uomini, perché si conoscono, perché sanno qual è la verità del loro cuore, perché hanno la profonda coscienza che il cuore umano, se non è attaccato a Dio, si attacca alle cose e ne diventa schiavo. Quegli uomini avevano paura della loro debolezza umana. L'essere umano, da solo, non ce la fa a vincere quell'inclinazione al potere, al denaro, al piacere smodato, che egli sente profonda e radicata dentro di sé. 
    “E chi può essere salvato?”. Sembra un grido. E lo è. E' lo sbigottimento dell'essere umano posto di fronte alla sua debolezza. E' un grido d'aiuto. E Gesù interviene, come sempre, e rassicura i cuori. Egli, <<fissando su di loro lo sguardo (quanto amore, quanta tenerezza ci doveva essere in quello sguardo!), disse: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” >> (Mc 10,27).
    Allora, io non ho più paura della mia debolezza, della mia fragilità. Affido il mio cuore a Dio. Sarà Lui a rendere il mio cuore un cuore “anawim”, gioiosamente “povero” e libero.


22 Settembre 2019 - XXV Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Am 8, 4-7

Contro coloro che comprano con denaro gli indigenti.



Dal libro del profeta Amos.

Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 112

Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.
Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?
Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.


Seconda Lettura 1 Tm 2, 1-8

Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.


+ Vangelo Lc 16, 1-13 Forma breve: Lc 16, 10-13

Non potete servire Dio e la ricchezza.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
[ Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». ]


COMMENTO


    Il denaro: senso e scopo della mia vita, padrone potente e dispotico, per il quale io spendo ogni mia energia, oppure semplice mezzo che mi permette di vivere la mia esistenza con dignità e decoro, nella serenità e nella gioia, “talento” che, utilizzato con saggezza e amore, mi fa realizzare il Regno di Dio? E' in tale domanda il significato del brano evangelico di questa domenica.
    Un amministratore aveva sperperato le ricchezze del suo padrone. Questi, saputo di quanto accaduto ai suoi beni, in un primo momento decide di licenziare l'uomo; poi, vedendo come l'amministratore si sia dato da fare per non rimanere in mezzo a una strada, non solo non lo licenzia, ma addirittura ne loda la scaltrezza. Di fatto, l'amministratore, facendosi amici i debitori del suo padrone col diminuire l'entità del debito, non aveva tolto nulla al suo padrone. In quel tempo, infatti, era una pratica abituale che un amministratore aumentasse la misura del debito, in maniera tale che, al momento della riscossione, il di più pagato dal debitore rimanesse a lui. Era un vero e proprio strozzinaggio perpetrato ai danni di coloro che, trovandosi in difficoltà economiche, si trovavano costretti a contrarre dei debiti.
    Gesù non intende assolutamente lodare l'amministratore della parabola; semplicemente osserva che “i figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”, osserva, cioè, che, mentre gli uomini “del mondo”, per salvaguardare il loro futuro, si danno molto da fare, mettendo in atto ogni possibile strategia, i credenti non si danno altrettanto da fare per vivere pienamente la loro fede, per costruire, nella loro vita e per mezzo di essa, il Regno di Dio, accontentandosi spesso di una fede superficiale, di una vita molto più vicina a quella dei non credenti che a quella dei figli di Dio.
    Se un cristiano non è “fedele nella ricchezza disonesta”, se, cioè, non sa usare bene, secondo l'ottica di Dio, il denaro, le ricchezze che si trova ad avere tra le mani, ma se ne lascia dominare, diventandone succube e schiavo, come può Dio affidargli, come credente, il compito di annunciare il suo Vangelo, di manifestare al mondo il suo amore, vera e unica ricchezza dell'essere umano? Ecco il perché della frase con la quale Gesù conclude la parabola: “Nessun servitore può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”.
    Il cristiano non deve mai abbassare la guardia di fronte al denaro, perché questo, insieme al potere, costituisce la tentazione più forte contro la quale il cuore umano deve lottare (non furono forse queste le tentazioni a cui Satana sottopose Gesù nel deserto?). E' molto subdola la forza del denaro, che, quasi impercettibilmente, “scava” dentro il cuore dell'uomo e piano piano se ne impossessa, diventando lo scopo della vita, ciò in cui si pone la propria sicurezza. Il denaro, così, diventa un idolo, che fa “concorrenza” a Dio.
    A che cosa non spinge la sete di ricchezze?! Nella prima lettura si arriva a desiderare che il sabato (il giorno dedicato al Signore e in cui, quindi, non si poteva svolgere nessuna attività) passi al più presto, per poter riprendere in maniera disonesta (“diminuendo le misure...e usando bilance false”) la vendita dei prodotti, anche i più scadenti (“Venderemo anche lo scarto del grano”), attuando persino azioni di strozzinaggio (“comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali”). Il sabato, giorno sacro, dà fastidio, poiché fa fermare il commercio. Dio stesso viene considerato un intralcio per gli affari!
    Ma “uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” scrive l'apostolo Paolo a Timoteo (seconda lettura). E' Dio, solo Lui, il senso della vita di ogni persona. E questo Dio non ha voluto rimanere un mistero per l'essere umano, manifestandogli il desiderio profondo del suo cuore: “...che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”.
    Un giorno Gesù ha definito se stesso “Via, Verità e Vita”. E' Lui la Verità; è Lui che ha rivelato all'uomo che cosa è veramente importante per lui, perché possa essere felice. In Dio, non nelle ricchezze, si trovano la salvezza e la sicurezza dell'essere umano.      
    Dio desidera il vero bene per tutti gli uomini e vuole che essi vivano in pace tra di loro, senza prepotenze e prevaricazioni, senza ingiustizie e soprusi dei più forti nei confronti dei più deboli. Egli desidera che gli uomini trascorrano “una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” scrive S. Paolo. Occorre, allora, pregare molto e incessantemente per i governanti della Terra, perché non si lascino vincere dalla tentazione di usare il loro ruolo come una possibilità di dominio sulle persone da loro governate, ma mettano le loro capacità, i loro “talenti” politici al servizio del bene comune.
    Denaro, potere: mezzi che io voglio usare per costruire un mondo migliore, di pace, di giustizia e di sereno benessere per tutti, secondo il desiderio di Dio, oppure strumenti egoistici per un mio piccolo, miope “regno” di prestigio, di dominio e di fragile, inconsistente “sicurezza” umana? Unicamente a me, essere libero e responsabile, spetta la scelta, sulla quale costruire, giorno dopo giorno, tutta la mia esistenza.

15 Settembre 2019 - XXIV Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Es 32, 7-11. 13-14

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.



Dal libro dell’Esodo

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».
Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».
Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 50

Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.


Seconda Lettura 1 Tm 1, 12-17

Cristo è venuto per salvare i peccatori.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.


+ Vangelo Lc 15, 1-32

Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


COMMENTO


    “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” scrive S. Paolo a Timoteo (seconda lettura). In tale frase sono contenuti lo stupore e la gratitudine di un uomo che, considerandosi “un bestemmiatore, un persecutore e un violento”, aveva sperimentato con potenza l'amore infinitamente misericordioso di Dio, che non solo l'aveva perdonato e salvato, ma addirittura lo aveva “giudicato degno di fiducia”, chiamandolo ad annunciare il Vangelo ai pagani.
     Questo è il nostro Dio, un Dio stupendamente generoso, che non solo perdona e salva, ma è anche capace di una stima incredibile nei confronti di questa difficile sua creatura che è l'essere umano, il quale spesso Lo rinnega come suo Creatore e Salvatore, gli sbatte la porta in faccia e agisce di testa propria, come se Egli non esistesse. Ma Dio continua ad amarlo, senza stancarsi, senza tirarsi mai indietro nella sua opera di “recupero” misericordioso di questa sua creatura così ribelle.
    “Dio è amore”. E' questa la definizione che l'apostolo Giovanni dà di Dio (1Gv 4,8). E, se Dio è Amore, se la sua essenza, la sua natura è “Amore”, come può Egli non amare?
    Il Sole non può fare a meno di emanare luce e calore; nel momento in cui non lo facesse più, significherebbe che esso sta per scomparire dall'universo; non dare più luce e calore significherebbe, per il Sole, la morte.
    Anche l'essere umano, creato a immagine di Dio, “muore”, di fatto, nella sua essenza, nella sua realtà di uomo, se si stacca dalla sua “Sorgente”, che è Dio, e, a causa del peccato, perde la sua somiglianza con Dio. Ma Questi continua a dirgli: “Io ti ho creato per amore e non mi arrendo di fronte alla tua ribellione, al tuo orgoglio presuntuoso, al tuo tradimento, a quella porta che tu mi sbatti in faccia, chiudendola alle tue spalle, mentre lasci questa casa, che è anche tua”.
    E' l'amore infinito, gratuito, fedele e tenace di Dio Padre che Gesù desidera far conoscere ai suoi ascoltatori narrando la parabola del “figliol prodigo”, che, con titolo più appropriato, si potrebbe definire la parabola del “padre misericordioso”.
    Quale gioia c'è nel cuore di quel padre, quando, da lontano, vede ritornare quel figlio che si era allontanato da Lui pensando di gustare la totale libertà e che, invece, si era ritrovato in una spaventosa indigenza, privo di ogni dignità, talmente disperato da desiderare di nutrirsi del cibo che veniva dato ai porci!
    E quale gioia c'è nel cuore di quel figlio che, quando ancora è lontano, vede suo padre corrergli incontro, abbracciarlo e stringerlo al suo petto! Quale gioia nell'avvertire i battiti gioiosamente impazziti di quel cuore paterno, che mai si era arreso alla sua dolorosa lontananza!
    “Padre,... non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” dice quel figlio al padre. Ma il padre non lo ascolta nemmeno. C'è in lui soltanto la gioia di quel figlio ritrovato; e l'unico desiderio è fare festa, una festa grande, perché quel suo figlio “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Ci può essere gioia più grande per un genitore?
    Quel figlio aveva riconosciuto il suo errore, ma si era anche giudicato, emettendo nei propri confronti una sentenza di condanna. “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Una sentenza terribile, che poteva annientarlo. Ma “... davanti a lui (Dio) rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” afferma l'apostolo Giovanni (1Gv 3,19-20). Sì, il nostro Dio, il cui volto Gesù ci ha mostrato attraverso il suo volto, “conosce ogni cosa”, conosce le nostre debolezze, le nostre fragilità e anche le situazioni di disperazione e di dolore, che a volte ci conducono a una ribellione rabbiosa contro di Lui, e, conoscendo il nostro cuore infinitamente di più di quanto lo possiamo conoscere noi, ha, nei confronti dei nostri errori, uno sguardo molto più comprensivo e misericordioso del nostro, perché Egli, che è Amore, ci ama molto, molto di più di quanto noi possiamo amare noi stessi. E questo ci fa essere in una botte di ferro. Può un figlio sentirsi al sicuro più di così?
   

8 Settembre 2019 - XXIII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Sap 9, 13-18

Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?



Dal libro della Sapienza.

Quale, uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 89

Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.
Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.


Seconda Lettura Fm 9b-10. 12-17

Accoglilo non più come schiavo, ma come un fratello carissimo.

Dalla lettera a Filèmone.

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.


+ Vangelo Lc 14, 25-33

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


COMMENTO


    “Una folla numerosa andava con Gesù”. Così inizia il brano di Vangelo di questa settimana. Miracoli, fama, fascino: tutto questo contribuiva certamente a far sì che la gente Lo seguisse. Ma Gesù aveva probabilmente capito che molti Lo seguivano non tanto per quello che Egli era realmente: il Figlio di Dio, il Salvatore, la Via, la Verità e la Vita, ma soprattutto per ricevere da Lui ciò che umanamente si attendevano: guarigioni, miracoli e, magari, anche quel “sentirsi importanti” per essere stati a stretto contatto con una persona autorevole, come certamente Gesù era considerato. Egli non vuole che la gente si illuda su di Lui, non vuole che la gente pensi che seguire Lui sia facile, che il cammino con Lui sia costellato soltanto di miracoli, prodigi, vittorie strepitose su Satana.
    Ed ecco questo discorso, che è solo apparentemente duro. Esso, infatti, per essere ben compreso, deve essere inserito in un discorso molto più ampio fatto da Gesù e che la Chiesa ci sta proponendo ormai da varie settimane. Dio deve essere l'unico senso della vita dell'essere umano, Lui il sale, la luce, il gusto dell'esistenza. Tutte le altre realtà (gli affetti più cari, il lavoro, i beni materiali) acquistano significato e giusto valore solo se “viste” in Lui, se “inserite” in Lui; altrimenti rischiano di diventare, per noi, la “realtà” più importante, rischiano, cioè, di diventare “idoli”, che mettiamo al primo posto nella nostra vita, prima ancora di Dio stesso.
    “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Ma che cosa vuole dire Gesù con una frase così dura? Forse che gli affetti più cari non devono essere importanti? Certamente non poteva essere questo il suo pensiero. Dio ha creato l'essere umano come coppia costituita da un elemento maschile e da un elemento femminile, che, nella loro unione totale (di mente, di cuore, di spirito e di corpo), dovevano “ricreare” l'immagine di Dio (“Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” leggiamo nel libro della Genesi, cap. 1, v. 27) e contribuire alla sua opera creatrice, dando vita ad altri esseri umani attraverso un atto d'amore. Come avrebbe potuto Dio smentire se stesso? Egli non tradisce mai i suoi progetti e il suo operato. E allora? “Non è né facile né comodo seguirmi” vuole dire Gesù. Accoglierlo nella propria vita come Salvatore e Signore comporta assomigliare a Lui anche nei minimi aspetti dell'esistenza, comporta, cioè, una testimonianza quotidiana cominciando proprio dalla famiglia. Tutto va bene, quando i vari componenti di una famiglia credono in Gesù; allora, l'unità è profonda, i criteri di giudizio e di scelta sono fondamentalmente gli stessi. Ma, quando in una famiglia qualcuno crede in Gesù e qualche altro non crede in Lui, allora... ecco la sofferenza, a volte anche atroce, determinata dalla lotta che si scatena nel cuore del credente, il quale, per essere fedele al suo Signore, entra in conflitto, quasi inevitabilmente, con le persone che ama. E' questo che Gesù intende dire, quando parla di “croce”.
     Noi cristiani, nel “presentare” Gesù a chi non Lo conosce o non crede in Lui, siamo soliti riferire la sua frase contenuta nel Vangelo di questa domenica: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” oppure la stessa frase riportata, in altra forma, dall'evangelista Matteo: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38), indicando, in tale affermazione di Gesù, la condizione indispensabile per essere suoi discepoli. Ed effettivamente questo è ciò che Gesù stesso voleva dire. Solo che, a volte, ci dimentichiamo di spiegare il vero significato di tale frase, determinando, in chi ci sta ascoltando, un senso di disagio riguardo a Gesù, che, così, può apparire come un Dio assetato di sofferenza, di dolore, un Dio assetato di “sangue”, come erano le antiche divinità pagane. Dare di Lui una tale immagine è un vero e proprio tradimento della verità, è un allontanare i cuori da Lui, che, invece, ha dato la sua vita per “dire”, per “gridare” a tutti l'amore infinito, tenero e appassionato che Dio ha per ogni uomo, per ogni donna. Forse noi non ci rendiamo conto di quanto male abbiamo fatto e continuiamo a fare alla causa di Dio e del suo Regno “predicando” una vita cristiana caratterizzata dal sacrificio e dalla sofferenza, mettendo in ombra (o, addirittura, annullando) il messaggio di gioia (la Buona Novella!) che Gesù è venuto a portare. Senza volerlo, in buona fede, noi credenti in Cristo spesso abbiamo fatto, e continuiamo a fare, una pessima “pubblicità” al nostro Dio, stravolgendo completamente il suo stupendo progetto di salvezza, di felicità, di realizzazione piena della vita dell'essere umano. Volendo sublimare l'umanità, facendola diventare il più possibile “spirituale”, di fatto l'abbiamo snaturata, facendola diventare disumana. Dio è Amore e ha creato l'essere umano per amore; Egli non vuole la sofferenza dei suoi figli, ma la loro gioia.
    Gesù non ha parlato di croce come sofferenza da desiderare e da cercare, ma ha parlato di croce come “normali”, quasi “costitutive”, difficoltà esistenziali incontrate dal credente nel vivere la sua fede in Lui. Ogni battezzato in età adulta e, quindi, pienamente responsabile delle sue decisioni, deve fare questa scelta radicale e totalizzante, che implica necessariamente, anche all'interno dei rapporti familiari, prese di posizione spesso in doloroso contrasto con quelle degli altri che non credono in Gesù e che, quindi, hanno una mentalità “soltanto” umana.
    Su tale punto risulta illuminante la prima lettura di questa domenica, che spiega stupendamente la natura e la funzione della sapienza del cuore, di quella luce, cioè, che lo Spirito Santo dà alla persona nel suo profondo, per aiutarla a comprendere il modo di pensare e di agire di Dio, che l'essere umano, con la sua sola intelligenza, non potrebbe mai comprendere. E' lo Spirito Santo che “ci istruisce in ciò che è gradito a Dio” e che, quindi, ci permette di essere salvati; è Lui che, come dice il v.12 del salmo responsoriale, “ci insegna a contare i nostri giorni”, facendoci, così, “acquistare un cuore saggio”, facendoci, cioè, comprendere che la nostra vita su questa Terra non è eterna, ma ha un limite, una fine, e che, prima o poi, dobbiamo ritornare a Dio. Tale consapevolezza comporta la presa di coscienza del valore di questa nostra vita, di questo tempo che ci è stato donato da Dio, per realizzare in noi e attraverso noi il suo progetto d'amore. Infatti, sempre grazie all'azione potente dello Spirito Santo, noi riusciamo a comprendere come “l'opera delle nostre mani” (cioè, le nostre attività, le nostre azioni) sia un'opera in collaborazione con Dio, “resa salda” da Lui, per costruire il nostro e l'altrui bene, che è ciò che Dio desidera.
    Ogni persona che viene in questo mondo vive inserita in una famiglia naturale; ma tale famiglia non è l'unica. Di un'altra “famiglia” ci parla la seconda lettura. L'apostolo Paolo, scrivendo all'amico Filemone riguardo a Onesimo, schiavo di Filemone fuggito dopo aver derubato il suo padrone e convertito a Cristo da Paolo, afferma che probabilmente la fuga di Onesimo è stata provvidenziale. Scrive Paolo: “Per questo forse (Onesimo) è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancor più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore”. E lo stesso Gesù aveva fatto riferimento ai rapporti familiari spirituali, quando, essendogli stato detto che sua madre e i suoi fratelli (cioè, i parenti stretti) volevano parlare con Lui, rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” e, stendendo la mano su coloro che stavano ascoltando la sua parola, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,46-50).
    Chissà quante volte avremo sentito qualcuno dire (e magari l'avremo detto anche noi): “Vado più d'accordo con gli estranei che con i miei stessi familiari”! Infatti, non necessariamente il legame di sangue crea unità di pensiero e di cuore. Papà, mamma, fratelli, sorelle: certamente li amo e per loro darei anche la vita, ma questo amore naturale non sempre, e non necessariamente, mi fa avere con loro una sintonia esistenziale profonda; a volte, o anche spesso, mi trovo in contrasto con loro sui valori in cui credo, sul modo di vedere la vita, sulle scelte da fare. E questo può determinare scontri e lacerazioni dolorose. Invece, posso sentirmi in profonda sintonia con degli estranei che, però, condividono i miei stessi valori, i miei stessi ideali, le mie stesse scelte. E, se l'Ideale, il Valore in cui si crede si chiama Gesù, ecco che, in forza del battesimo, l'unità di pensiero e di cuore diventa molto, molto di più, diventa unità di spirito, unità dell'essere. La vita stessa di Dio circola in ciascuno dei suoi figli e li fa diventare, in Lui, una sola cosa, un insieme di tralci innestati sullo stesso tronco di vite, che da questa vite ricevono la linfa che li fa fruttificare. “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto” dice Gesù (Gv 15,5). Sono gli stessi frutti di Dio, i frutti di una vita vissuta con amore, come Dio è Amore; sono i frutti dei componenti di una Famiglia immensa, il cui Capofamiglia è Dio stesso!
    Un atleta che vuole salire sul podio del vincitore sa che, per arrivare sul gradino più alto, dovrà allenarsi moltissimo e costantemente, dovrà evitare abusi nel mangiare, nel bere, nel divertirsi... Ma affronterà con gioia fatiche e rinunce, pur di raggiungere quel traguardo, che per lui è la cosa più importante. Il gradino più alto sul podio è, per un atleta, l'equivalente della perla di grande valore, per comprare la quale il mercante della parabola raccontata da Gesù (Mt 13,46) vende tutti i suoi averi; per quel mercante niente è più importante del poter godere della bellezza di quella perla.
    Per un cristiano vi è ben più di un podio, ben più di una perla di grande valore! E' Dio il mio “podio”, la mia “perla”, Dio con il suo Regno, che Egli ha preparato per me, ma che, nello stesso tempo, desidera che io costruisca insieme a Lui.
    Dio, però, non vuole scelte avventate, non vuole che io mi avventuri in un viaggio, di cui non conosca le fatiche e i rischi. Egli mi tratta da adulto, mi mette di fronte alle mie responsabilità di credente; mi dice: “Figlio mio, non è facile il cammino, ma guarda avanti, guarda sempre verso quell'orizzonte immenso e splendido dove Io ti voglio fare giungere”. Con gioia e con totale fiducia in Lui io accetto di intraprendere quel viaggio e, a ogni passo fatto, posso verificare che il cammino è faticoso, certo, ma anche, e soprattutto, ricco di vita e, tenendo fisso lo sguardo su quell'orizzonte, il mio cuore mormora lietamente: “Ne vale la pena!”.


1 Settembre 2019 - XXII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura 3,17-20.28-29, neo-volg. Sir 3, 19-21.30-31

Fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.


Dal libro del Siràcide

Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 67

Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.

I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.


Seconda Lettura Eb 12, 18-19.22-24

Vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente.

Dalla lettera agli Ebrei

Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.


+ Vangelo Lc 14, 1. 7-14

Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.


Dal vangelo secondo Luca

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».


COMMENTO

    Estate: tempo di ferie, tempo di vacanze, di svago, di riposo, ma anche, spesso, di superficialità. E, mentre siamo “impegnati” a rilassarci, a divertirci, a lasciarci alle spalle, almeno per un po', preoccupazioni e problemi, ecco la parola di Dio di questo periodo, parola che “turba” non poco il nostro relax, il nostro non voler pensare ad argomenti seri. Proprio nel bel mezzo di una vacanza la Chiesa mi mette davanti una parola di Dio particolarmente impegnativa. A me, tutto preso dal “godermi” la vita almeno per qualche giorno, Dio fa un discorso totalmente opposto. La sua parola mi parla della morte e, quindi, anche del significato profondo da dare alla mia esistenza (XIX  domenica), mi parla delle esigenze che comporta la mia vita di credente in Gesù di fronte a chi non crede in Lui (XX domenica), mi parla di una vita pienamente realizzata solo attraverso una “porta stretta” (XXI domenica).ne”, soprattutto da parte degli scribi e farisei, che cercano continuamente un pretesto (una sua parola, un suo gesto non rigorosamente secondo la Legge) per poterlo attaccare.
    “Notando come (gli invitati) sceglievano i primi posti,...”. Anche Gesù osserva e “nota”, ma per un motivo ben diverso. Egli vuole aiutare l'essere umano a liberarsi dalla prigione del proprio egoismo, del proprio orgoglio, del proprio tornaconto, della propria meschinità e fargli sperimentare e gustare la vera libertà esistenziale, in un'atmosfera dal respiro profondo, quale è quella dell'amore vero, gratuito, che dà sempre senza mai chiedere nulla in contraccambio se non la gioia di avere dato il meglio di sé per il bene dell'altro. Non è forse questo il modo di amare di Dio?
    “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore... Perché grande è la potenza del Signore e dagli umili egli è glorificato” troviamo nel brano del Siracide che costituisce la prima lettura.
    L'umiltà non è, come spesso si crede, il sentirsi “indegni” di fronte a Dio, perché peccatori; ma è, semplicemente, riconoscere che noi siamo creature e che Dio è il nostro Creatore; è riconoscere  che non siamo noi a sapere e, quindi, a decidere che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è giusto e che cosa non lo è, ma che solo Dio è Verità e che solo da Lui, quindi, vengono le indicazioni giuste per una vita veramente e pienamente umana.
    “Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio” leggiamo ancora nel brano del Siracide. L'uomo saggio, infatti, sa che è Dio il Saggio per eccellenza e che ascoltare Lui con “orecchio attento” significa camminare sicuri sulle strade della vita, significa realizzarsi pienamente, perché Dio-Amore, che mi ha creato a sua immagine e somiglianza, mi fa vivere, attraverso la sua parola, secondo il suo cuore, permettendomi, così, di realizzare la mia vocazione più profonda di uomo: essere amore. Per realizzare questa vocazione, Dio mi ha arricchito di doni. Spesso da persone “pie” si sente dire, parlando dei talenti che vengono loro riconosciuti: “Ma io non ho queste capacità, non ho queste abilità!”. Tale affermazione è una vera e propria ingiustizia nei confronti di Dio; è come accusarlo di non averci dato quegli “strumenti” che ci permettono di amare, di fare del bene, di dare gioia con la nostra vita. Umiltà non è disconoscere le qualità, le capacità che si hanno, ma riconoscere che esse sono i “talenti” di cui parla Gesù, doni di Dio, “ricchezze” che Egli ci mette tra le mani, perché noi le possiamo far fruttificare per il bene degli altri.
    Umiltà è anche “abbassarsi” a un livello inferiore, per innalzare al proprio livello chi a quel livello inferiore si trova. Non è proprio questo ciò che ha fatto Dio nei confronti dell'essere umano?
    Tanto più alta è una vetta tanto più distante essa si trova dalla base della montagna. La vetta è Dio; la base della montagna è l'essere umano. Tra Dio-Vetta e l'essere umano-base la distanza è infinita. Solo l'incredibile amore di Dio per questa sua creatura poteva colmare tale distanza. Duemila anni fa il Figlio di Dio, fattosi uomo, si è posto a metà di quella montagna, stringendo con una mano la mano di Dio e con l'altra la mano dell'uomo; così, nella sua Persona, si è realizzata stupendamente l'unità fra Dio e l'uomo; e la distanza non c'è stata più.
    E' Dio l'Umile per eccellenza. Chi è più grande di Lui? Chi sta più in alto di Lui? Nessuno. L'agire di Dio in favore dell'essere umano è sempre stato un “chinarsi”, un “abbassarsi” verso di lui, per innalzarlo a Sé, fino a dargli la sua stessa vita e farlo diventare suo figlio. E tale miracolo Dio l'ha compiuto attraverso l' “abbassamento” del suo Figlio Gesù, un abbassamento tale da diventare annientamento fino alla morte di croce. Vi può essere umiltà più grande?
    In un passo del profeta Isaia il “Servo di Jahve” (il Messia atteso dal popolo d'Israele), riguardo alla sua missione, dice: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio” (Is 49,4). Una morte in croce non può forse sembrare un fallimento, un aver “faticato invano”? Ma Gesù sa che il suo sacrificio sarà ricompensato dal Padre.
    “La mia ricompensa è presso il mio Dio”: ecco la gratuità dell'amore. Ed è questo il concetto che Gesù vuole esprimere nell'ultima parte dell'odierno brano di Vangelo: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato, perché non hanno da ricambiarti. Riceverai, infatti, la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. E' la gratuità di una vita messa al servizio del bene degli altri.
    Io, diventato figlio di Dio con il battesimo, devo cercare di assomigliare il più possibile a Lui. “Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” ha detto Gesù (Mc 10,45). Io devo amare, quindi, con la sua stessa umiltà, non cercando i primi posti né volendo emergere e dominare sugli altri; devo servire con la sua stessa gratuità, amando per amare, poiché amare è la mia vocazione fondamentale, esistenziale, la condizione indispensabile perché la mia vita acquisti un senso pieno. E io dovrò continuare ad amare anche se non riceverò alcun “grazie” da chi ho beneficato, anche se vedessi ricambiato con il male il bene da me fatto. L'unica ricompensa importante per me è la gioia che io do al mio Dio, amando come Egli vuole che io ami, e l'abbraccio con cui Egli mi accoglierà, quando, alla fine della mia vita terrena, andrò alla sua presenza. Sarà stupendo sentirmi dire da Lui: “Figlio mio, ce l'hai messa tutta per farmi felice con la tua vita. Ora vieni, occupa con gioia, per l'eternità, il posto che qui in cielo Io ho preparato per te da sempre”