24 Novembre 2019 - Solennità di Gesù Cristo Re dell'universo


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura 2 Sam 5, 1-3

Unsero Davide re d’Israele.



Dal secondo libro di Samuele

In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha det­to: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele“».
Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 121

Andremo con gioia alla casa del Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.


Seconda Lettura Col 1, 12-20

Ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési

Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vi­sta di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.


+ Vangelo Lc 23, 35-43

Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio. tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».


COMMENTO


    “Oggi sarai con me in paradiso”. E il primo santo della Chiesa di Cristo si vede spalancare le porte dell'eternità. E' un malfattore, un ladrone, crocifisso, con un altro condannato, insieme a Gesù. Tutti sembrano accanirsi contro il Figlio di Dio; Lo scherniscono i capi di Israele, Lo scherniscono i soldati, Lo insulta con arroganza perfino l'altro malfattore. Tutti, in un modo o nell'altro, Lo stanno sfidando a dimostrare la sua divinità, la sua potenza. “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto” dicono i capi. “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” gli dicono i soldati. “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!” gli dice il ladrone.
    Quali sentimenti, in quel momento, nel cuore di Gesù! Essendo Figlio di Dio, Egli avrebbe potuto benissimo rispondere a quegli uomini con un gesto miracoloso, eclatante, che li avrebbe immediatamente fatti ammutolire; ma, per dare una risposta a quei pochi, Gesù avrebbe dovuto far fallire, proprio all'ultimo istante, la sua missione di salvezza per tutti, missione per la quale aveva lasciato la gloria del cielo e aveva assunto, con infinita umiltà, la natura dell'essere umano. Egli non accetta la sfida di quegli uomini arroganti e meschini (non ci vuole molto coraggio a massacrare con le parole chi è già stato ridotto a brandelli dal flagello, dalle spine, dai chiodi, chi, ormai dissanguato e già ghermito dagli artigli della morte, non ha più neanche la forza di respirare); non scende platealmente dalla croce; rimane quasi “incollato” a quel legno, perché sa che solo rimanendo lì fino in fondo, fino a quel “Tutto è compiuto”, la sua missione sarà pienamente realizzata e, finalmente, la vittoria sul peccato sarà definitivamente conquistata. Tante volte, nelle meditazioni riguardanti il mistero della croce, si legge che quel legno è diventato il trono di Gesù. Al di là dell'espressione molto poetica, di fatto questa è la verità; infatti, attraverso la morte in croce, una morte tremenda e umiliante, una morte riservata ai malfattori e agli schiavi, il Figlio di Dio è diventato il Vincitore, Colui che ha sconfitto Satana, sottraendo al potere del male ogni persona che si apre a Lui e Lo accoglie come suo Salvatore.
    Il nostro Re non è un re che domina sui suoi sudditi, non è un re che richiede schiavi ai suoi piedi, ma è un Dio che si è fatto Servo. “Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” dice Gesù ai suoi apostoli (Mc 10,45). Egli è un Re d'amore, un Re che mette tutta la sua potenza di Dio al servizio del suo amore per l'umanità.
    “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno”. Un povero, piccolo uomo, un malfattore sconosciuto, fa il più grande atto di fede: riesce incredibilmente a vedere un re in quell'uomo accanto a lui ridotto a una maschera di sangue e gli chiede ciò per cui quel “re” ha accettato di giungere fino all'annientamento totale: la salvezza. E la salvezza gli viene data. “Oggi sarai con me in paradiso”. Un peccatore, un malfattore disprezzato da tutti e condannato a una morte infamante, si sente rispondere da Colui che ha riconosciuto come suo Re: “Oggi tu siederai a mensa con me; oggi condividerai con me questa mia vittoria; oggi tu diventi il primo premio, per me, della dura battaglia che ho dovuto affrontare per salvare ogni uomo e ogni donna di questa povera, fragile, e tanto amata, umanità; oggi tu diventi il primo mio fratello, il primo figlio che Io ho conquistato al Padre”. 
    “Oggi sarai con me in paradiso”. Da allora, quella porta del cielo non si è più chiusa. E il paradiso, in ogni istante, si popola sempre più di coloro che, accogliendo Gesù come il Salvatore e il Signore della loro vita, condividono con Lui la gloria del suo Regno.
    “Io vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” aveva detto Gesù ai suoi apostoli durante l'ultima cena (Gv 14,2-3). Ma è un povero ladrone, destinato, per uno strano caso, a morire insieme al Figlio di Dio, che per primo ha occupato uno di quei posti. Un attimo di fede, solo un attimo di fede, e... “Oggi sarai con me in paradiso”. E un anonimo ladrone pentito siede, per primo, accanto al Re.


17 Novembre 2019 - XXXIII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Ml 3, 19-20

Sorgerà per voi il sole di giustizia.



Dal libro del profeta Malachìa

Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno.
Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio.
Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 97

Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.


Seconda Lettura 2 Ts 3, 7-12

Chi non vuole lavorare, neppure mangi.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.


+ Vangelo Lc 21, 5-19

Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».


COMMENTO


    Anche quest'anno liturgico si avvia alla fine. I credenti sono stati, dalla parola di Dio, guidati passo passo sempre più dentro la vita e la missione di Gesù. Un altro tratto di strada nel cammino spirituale è stato percorso. Un'ulteriore tappa è stata raggiunta.
    Per la Chiesa tale momento diventa l'occasione per riflettere con particolare attenzione sulla fine della vita dell'essere umano. Il mese di novembre si apre con la celebrazione della festa di tutti i santi (di coloro, cioè, che sono già nella gloria del Paradiso, alla presenza di Dio) e con la commemorazione dei defunti; la resurrezione dei morti ha costituito l'argomento della parola di Dio della scorsa domenica; la fine del mondo è il contenuto della parola di Dio di questa domenica, soprattutto della prima lettura e del Vangelo. La fine dell'anno liturgico diventa, così, per la Chiesa, metafora della fine della vita di ogni uomo, di ogni donna e dello stesso universo.
    Nella Chiesa primitiva vi era la convinzione che la fine del mondo, con la seconda venuta di Cristo, fosse imminente. Per alcuni ciò diventava motivo di inerzia, di disimpegno e di conseguente parassitismo ai danni degli altri cristiani, che li mantenevano in nome dalla carità. Il fenomeno doveva essere abbastanza diffuso, se S. Paolo ne parla in una sua lettera ai Tessalonicesi (seconda lettura), esortando queste persone a lavorare, a impegnarsi in qualche attività.
    Anche Gesù invita i credenti a una costante, attiva vigilanza: “Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24,42). Il cristiano, quindi, dovrebbe vivere in pienezza ogni giorno della sua esistenza, come se ogni giorno fosse il primo e l'ultimo, come se fosse l'unico; e, quando si sa di avere poco tempo a disposizione, si cerca di vivere intensamente ogni istante, dicendo e facendo le cose che noi riteniamo più importanti, quelle che, secondo noi, possono dire e dare il meglio di noi. Per un cristiano, che cosa è il “meglio da dire” se non la parola di Gesù e il “meglio da dare” se non il suo amore? Allora, ogni mio istante diventa impregnato di Dio e il momento in cui Egli mi chiamerà a Sé non sarà segnato da timore, da paura, ma solo dalla gioia di poter finalmente trovarmi faccia a faccia con Lui, di poter vedere il suo volto e inabissare il mio sguardo dentro il suo sguardo, di poter udire la sua voce che mi dice: “Vieni, figlio mio,  appoggiati a questo mio cuore, che tu hai cercato di fare contento con ogni tuo respiro, con ogni fibra del tuo essere in ogni attimo della tua vita terrena”. E quell'abbraccio del mio Dio sarà la più bella ricompensa a ogni fatica, a ogni difficoltà, a ogni “lotta” che io avrò dovuto affrontare per essergli fedele, per costruire, con la mia vita, il suo Regno, per annunciare al mondo il suo amore e testimoniare la bellezza dell'appartenenza a Lui, che non è né sottomissione né servile obbedienza, ma l'adesione gioiosa del mio essere a questo Dio, da cui mi sento teneramente e appassionatamente amato. E a un amore così grande come non rispondere con gratitudine e amore? All' “Eccomi” di questo stupendo, incredibile Dio, che si vuole donare a me, per riempirmi della sua vita, come non rispondere con un altrettanto “Eccomi” di gioiosa accoglienza e docile disponibilità?
    Ecco la vigilanza che Dio desidera da me; non un “vegliare” per la paura di essere sorpresi nel sonno, ma un “vegliare” gioioso, che riempie di senso divino la mia vita e dà un'impronta di serenità anche alla mia morte. Nel Vangelo di Luca, al cap. 21, v. 28 (da cui è tratto il canto al Vangelo odierno), non dice forse Gesù, parlando della fine del mondo: “(Quando cominceranno ad accadere queste cose) risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”? Egli si riferisce alla definitiva liberazione dal male, con il quale l'essere umano, nella sua vita terrena, deve continuamente fare i conti dentro di sé; ma, nella mia vita di individuo, questa “liberazione” avviene nel momento in cui il mio Dio mi chiama a stare eternamente con Lui.
    Se soltanto riuscissimo a guardare la morte come un ritorno a casa, come incontro e abbraccio definitivo col nostro Dio! Quante paure svanirebbero! Quanta serenità potremmo avere di fronte a questa esperienza, che ognuno di noi deve, prima o dopo, affrontare!
    Certo, c'è la nostra umanità, che urla le sue ragioni di vita (l'essere umano è stato creato da Dio per la vita, non per la morte; questa, infatti, “ è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo” troviamo scritto nel libro della Sapienza, al cap. 2, v. 24a ) e rifiuta la morte come una realtà estranea alla sua costituzione originaria (Gesù stesso, nell'orto del Getsemani, mentre l'angoscia lo schiacciava, ha chiesto al Padre di poter non bere quel calice di sofferenza e di morte che gli era posto dinanzi); c'è l'amore dei nostri cari verso di noi e il nostro amore verso di loro che ci fa desiderare di rimanere sempre insieme e ci trattiene attaccati a questa vita di affetti. Ma, forse, tutto ciò acquista una forza ancora maggiore di legame a questa vita, poiché non guardiamo abbastanza negli occhi il nostro Dio, non eleviamo abbastanza il nostro sguardo verso di Lui e, spesso, Egli è, di fatto, un estraneo per noi. E come si può pensare di provare gioia nell'incontrare un perfetto sconosciuto, se, per di più, questo incontro deve avere come costo il doloroso distacco da tutto ciò che ci è caro? Solo un amore più grande può dare consolazione di fronte al distacco da coloro che amiamo. Solo se io avrò fatto, nella mia vita di ogni giorno, l'esperienza dell'amore infinito di Dio, riuscirò a pensare all'incontro con Lui con serenità e, magari, anche con la gioia profonda di un figlio che, dopo tanto tempo, riabbraccia suo Padre.
    Nel salmo responsoriale è manifestata la gioia della natura stessa, che, personificata, batte le mani, esultando per la venuta del suo Creatore; ma “freme il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti” troviamo in un’altra traduzione del v.7 del salmo 97; “fremono” di gioia, quindi, anche gli “abitanti del mondo”, cioè gli esseri umani. Tutto e tutti sono, dal salmista, accomunati in questa esultanza per la venuta di Dio.
    Questo Dio d'amore, che in ogni istante della mia vita terrena ha bussato alla mia porta per darmi la gioia della sua presenza, busserà, un giorno, per l'ultima volta, alla mia umanità; io gli aprirò e, questa volta, sarà Lui che, prendendomi per mano, mi condurrà alla sua casa e, spalancandomi la porta, mi dirà: “Vieni, figlio mio, a occupare quel posto che Io, dall'eternità, ho preparato per te”.


10 Novembre 2019 - XXXII Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura 2 Mac 7, 1-2. 9-14

Il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna.



Dal secondo libro dei Maccabèi

In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite.
Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 16

Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.

Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.


Seconda Lettura 2 Ts 2, 16 – 3, 5

Il Signore vi confermi in ogni opera e parola di bene.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.


+ Vangelo Lc 20, 27-38 Forma breve Lc 20, 27.34-38

Dio non è dei morti, ma dei viventi.


Dal vangelo secondo Luca

[ In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione ] – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: [ «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». ]


COMMENTO

    In una notte di duemila anni fa, in terra di Palestina, una luce sfolgorante illuminava le tenebre di un sepolcro. Un Uomo riemergeva dalle buie profondità in cui la morte Lo aveva inghiottito. E la vita ritornava in quel corpo martoriato, lacerato, ridotto a brandelli, totalmente distrutto, perché “calamita” di tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi. Con Lui, “calamita” per amore, l'essere umano “vecchio”, l'essere umano ribelle a Dio, trovava la possibilità di un ritorno all'amicizia con il suo Signore; anzi, di più, molto di più: acquistava la possibilità di ritornare a Dio non più soltanto come creatura, ma addirittura come figlio, un figlio teneramente e appassionatamente amato da questo Dio, che, attraverso suo Figlio Gesù, si era incredibilmente rivelato Padre e al quale ogni uomo e ogni donna da allora, se lo vogliono, diventati figli per mezzo del battesimo, possono rivolgersi con il dolcissimo, familiarmente confidenziale nome di “Abbà”, “Papà”.
    Questo splendido Dio è un Dio “amante della vita”, come viene definito nel brano del Libro della Sapienza che costituiva la prima lettura di domenica scorsa. Un Dio, quindi, che, creando l'essere umano, il suo capolavoro, l'ha voluto a sua immagine. “Dio ha creato l'uomo per l’incorruttibilità (l'immortalità); lo ha fatto immagine della propria natura” troviamo sempre nel Libro della Sapienza, al v. 23 del cap. 2. Egli, sorgente della vita, ha destinato questa sua creatura alla pienezza della vita.
    “Signore,... io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine” leggiamo nel salmo responsoriale. E' un'affermazione decisa, non solo una speranza; è la confortante, salda certezza del credente, il quale sa che la fedeltà al suo Signore (la “giustizia” di cui parla il salmo) avrà come premio, alla resurrezione (“al risveglio”) dei morti, il potersi “saziare” della presenza stessa di Dio. <<Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “ Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” >> risponde Gesù a quei Sadducei, che, non credendo nella resurrezione dei morti, pensavano di metterlo in difficoltà ponendo la questione della donna moglie successivamente di ben sette fratelli. Gesù vuole dire a quei Sadducei: “Ma credete veramente che Dio avrebbe instaurato un rapporto così profondo con questi uomini, se essi fossero stati destinati, dopo la loro morte, a scomparire nel nulla, a non esistere più?”. Gesù, infatti, continua:  “Dio non è dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui”, cioè “per mezzo di Lui”. Allora, se io vivo per mezzo di questo Dio che è l'origine, la fonte della vita, come può Egli permettere che io, dopo la mia morte, finisca completamente e definitivamente? Questo Dio d'amore mi ha creato per la vita e mi ha destinato alla vita eterna con Lui
    Gesù, Uomo-Dio, è lì, accanto al Padre, con il suo corpo glorificato ed è per me segno sicuro di ciò che anch'io sono destinato a essere per l'eternità. Questo mio corpo che, a causa del peccato, deve fare l'esperienza tragica della morte (“Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo” troviamo scritto ancora nel Libro della Sapienza, al v. 24 del cap. 2) e della riduzione a un pugno di polvere, non rimarrà nella polvere. Dio, per mezzo di suo Figlio Gesù, l'ha potuto “recuperare” dalla terra. Un giorno, l'ultimo giorno dell'esistenza dell'universo, quando il Signore Gesù ritornerà sulla Terra in tutta la sua gloria, io risorgerò; questo mio corpo verrà “ricostruito” dalla potenza di Dio e splenderà in tutta la sua pienezza di vita. E avverrà, allora, il contrario di ciò che avviene oggi, in questa mia esistenza terrena. Ora il mio spirito vive in questo mio corpo nascosto da esso come il Sole nascosto dalle nubi. Allora, quando il mio Salvatore e Signore apparirà in mezzo ai suoi angeli e sconfiggerà definitivamente il male e le sue conseguenze (la sofferenza e la morte), il mio spirito, riunito a questo mio corpo “ricostruito”, sarà, all'interno di esso, come una potente sorgente di luce e di calore, la stessa luce e lo stesso calore d'amore che sono in Dio e di cui Egli permeerà ogni fibra di me. Tutto, in me, sarà luce e calore; tutto, in me, sarà perfezione e pienezza di vita.
    Quale stupendo destino Dio ha preparato per ogni uomo, per ogni donna che Egli, per amore, chiama all'esistenza! E, se questo destino è vivo e presente continuamente dentro di me, niente potrà farmi paura, niente potrà farmi vacillare.
    Quei sette fratelli, di cui viene narrata la vicenda nel secondo libro dei Maccabei (prima lettura), riescono ad affrontare, insieme alla loro madre, torture atroci e una morte certa, per rimanere fedeli a Dio. Hanno pienamente fiducia in Lui e la certezza della sicura ricompensa divina dà loro forza. “Il re dell'universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna” proclama il secondo dei fratelli, mentre sta per morire.
    Noi oggi forse non saremo chiamati a dare testimonianza della nostra fede in maniera così cruenta, ma ugualmente la fedeltà al nostro Dio richiede ogni giorno coraggio e perseveranza in questo nostro mondo, in cui Egli sembra essere ignorato, un mondo che, magari in maniera subdola e sottile, cerca di farci “cibare” di “alimenti” che non sono secondo il cuore di Dio e che possono “avvelenare” il cuore e l'anima.
    Ma Dio veglia incessantemente su di noi. Egli è la nostra sicurezza e la nostra forza. E, se il nostro sguardo sarà rivolto continuamente a Lui e al dono della pienezza della vita a cui Egli, nel suo infinito, gratuito amore, ci ha destinati, noi potremo “guardare” la nostra esistenza terrena con i suoi stessi occhi e la “vedremo”, già fin da ora, permeata di eternità.


03 Novembre 2019 - XXXI Domenica del tempo ordinario


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO




LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Sap 11,22-12,2

Hai compassione di tutti, perché ami tutte le cose che esistono.



Dal libro della Sapienza

Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.


Salmo Responsoriale Dal Salmo 144

Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.


Seconda Lettura 2 Ts 1,11 – 2,2

Sia glorificato il nome di Cristo in voi, e voi in lui.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi

Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.


+ Vangelo Lc 19, 1-10

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.


Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


COMMENTO


    Che meraviglia la prima lettura! E' uno di quei brani biblici che dovrebbero essere incorniciati e messi bene in vista nella casa, in modo da poterli leggere ogniqualvolta vi si passi davanti.
    E quale meraviglia anche il salmo responsoriale! Un'esplosione di lode e di gioiosa gratitudine dell'essere umano che, nella sua piccolezza e fragilità, si sente avvolto dall'amore di questo Dio “misericordioso e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore, buono verso tutti, la cui tenerezza si espande su tutte le creature”, un Dio che “sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto”, poiché “ha compassione di tutti e chiude gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento”, un Dio che “ama tutte le cose che esistono e non prova disgusto per nessuna delle cose che ha creato”, un Dio che “è indulgente con tutte le cose, perché sono sue”, un Dio che “ è amante della vita”!
    Non è splendido un Dio così?
    E Gesù passa per le strade della Palestina mostrando questo splendido volto di Dio.
    Un uomo piccolo di statura si aggira in mezzo alla folla. Tutti sembrano essere più alti di lui e gli impediscono di vedere quel “Rabbi”, il cui sguardo egli desidera incontrare. Gesù si sta avvicinando sempre più e Zaccheo rischia di “perdere” un incontro che egli sente importante per la sua vita. E' il capo dei pubblicani, un “peccatore pubblico”, quindi, come il pubblicano della parabola narrata da Gesù nel brano di Vangelo della settimana scorsa, un uomo da evitare, per non contaminarsi. E' già tanto dover avere a che fare con questi uomini, che riscuotono le tasse per conto di Roma e hanno la pessima abitudine di aumentare le somme e trattenersi il di più. Pagare e poi, subito, fare le abluzioni per purificarsi da tale contatto. Quanto disprezzo Zaccheo deve avvertire su di sé! Ma, ecco, egli ha sentito parlare di questo Gesù di Nazareth, che non disdegna la compagnia dei peccatori, che pranza in casa di pubblicani e prostitute, trattandoli con rispetto e amore. Dicono che perdoni i peccati e ridia pace ai cuori.
    Gesù è ormai quasi giunto. Zaccheo vuole vederlo a ogni costo. Tanti gli hanno parlato della tenerezza misericordiosa che emana dallo sguardo di quel “Rabbi”. Quanto bisogno di tale tenerezza c'è nel cuore di quest'uomo, così detestato da tutti e, forse, anche da se stesso! Egli desidera con tutte le sue forze incrociare quello sguardo. Ma come fare a superare tutte quelle teste, che, come una muraglia, si frappongono fra lui e Gesù? Ed ecco, lì vicino, un sicomoro, pianta amica che viene in suo aiuto. Zaccheo vi sale in fretta. Finalmente è lassù! Da quell'altezza può vedere tutto. Eccolo, questo “Rabbi”. Il cuore batte forte. Come vorrebbe che questo “Maestro” alzasse gli occhi, che si accorgesse di lui, così piccolo, così “invisibile”! E l'impossibile avviene. Il desiderio del suo cuore “calamita” lo sguardo di Gesù. “Zaccheo,... oggi devo fermarmi a casa tua”. E Zaccheo “scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”.
    “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” dice il Signore in un passo dell'Apocalisse (Ap 3,20). Zaccheo ha aperto a Gesù la porta della sua vita forse ancor prima di averne coscienza; gliel'ha aperta nel momento in cui ha desiderato incontrare il suo sguardo ed è salito su quel sicomoro per potervi riuscire. Quel sicomoro è diventato la porta del cuore di quest'uomo, che si è aperto a Gesù e Lo ha fatto entrare con gioia nella sua vita. E Gesù, entrando nella vita di questo pubblicano, l'ha riempita della sua Presenza e l'ha trasformata, dandole un senso nuovo.
    E noi... non siamo forse un po' tutti “Zaccheo”? Non siamo forse tutti bisognosi della tenerezza misericordiosa di Dio, che, di fronte ai nostri sbagli e alle nostre cadute, è sempre pronto a perdonarci, a farci rialzare, prendendoci Lui per mano e facendoci riprendere, con rinnovato vigore, il cammino della vita?
    A noi il Signore chiede una sola cosa: che ogni giorno saliamo su un sicomoro col desiderio ardente di incontrare il suo sguardo, poiché a ciascuno di noi Egli vuole dire: “Oggi devo fermarmi a casa tua”.
    Ogni giorno, allora, sarà una vita nuova, permeata della vita stessa di Dio. E sarà gioia infinita per Dio e per me, per te, che Lo avremo accolto.


                               

02 Novembre 2019 - Commemorazione di tutti i fedeli defunti


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Gb 19,1.23-27a

Io lo so che il mio Redentore è vivo.



Dal libro di Giobbe

Rispondendo Giobbe prese a dire:
«Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 26

Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto.
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.


Seconda Lettura Rm 5,5-11

Giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.


+ Vangelo Gv 6,37-40

Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.


Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».


COMMENTO


    Due sono le certezze della vita di ogni essere vivente: la nascita e la morte. Ma, mentre una pianta, un animale non si pongono il problema della fine della loro esistenza, poiché di tale fine essi non hanno consapevolezza, per l'essere umano la morte costituisce la realtà esistenziale più drammatica, quella che gli mette nel cuore gli interrogativi più angoscianti.
    Ogni uomo, ogni donna, per vivere consapevolmente la propria vita, devono dare a se stessi le risposte alle cosiddette domande fondamentali (o esistenziali): 1) Io, individuo della specie umana, da dove vengo? Sono solo il risultato biologico della fecondazione di un ovulo femminile da parte di uno spermatozoo maschile oppure, al di là di tale fenomeno biologico, vi è la mente di un Essere superiore che ha voluto la mia esistenza? 2) Perché mi trovo in questo mondo? Che senso ha la mia esistenza? 3) Che cosa avverrà di me dopo la morte fisica? Scomparirò nel nulla o qualcosa di me continuerà a vivere?
    Dalle risposte a queste domande dipende tutta l'esistenza di un essere umano, la concezione di se stesso, il suo modo di “vedere” la vita, i valori su cui costruire la propria esistenza, i suoi desideri, i suoi progetti, le sue scelte. Domande importantissime, quindi, che richiedono necessariamente una risposta. Di tali domande l'ultima è senz'altro la più drammatica, poiché l'essere umano anela con ogni sua fibra all'infinito, all'eternità e percepisce, quasi in maniera viscerale, come una tremenda “ingiustizia” il dover morire.
    Sul perché della morte e su ciò che può esserci dopo la morte gli uomini si sono sempre interrogati, dandosi le risposte più diverse, dalle più fantasiose e superficiali alle più profonde.
    La morte, insieme alla sofferenza, può costituire un serio motivo di difficoltà a credere all'esistenza di un Dio buono, di un Dio – Amore, e può rendere difficile e problematico il rapporto uomo - Dio. “Perché Dio, se è buono, ha creato la sofferenza e la morte?”. E' questa la domanda che tanti, anche tra gli stessi cristiani, si pongono. Il non sapersi dare o il non ricevere una risposta convincente può avere effetti molto negativi, addirittura devastanti; si può arrivare, nei casi più estremi, anche alla perdita della fede, con tutte le conseguenze che ciò può comportare.
    L'essere umano, con la sua sola intelligenza, non riesce a darsi risposte certe sul senso della vita e della morte, si muove a tentoni, dandosi risposte che possono soddisfarlo magari per un tempo più o meno lungo, ma che non riescono a dare al cuore un profondo, definitivo significato esistenziale. E' nella parola di Dio che possiamo trovare le vere risposte.
    “Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,23-24a). Così nel libro della Sapienza viene spiegata la causa originaria della morte. Dio non ha destinato l'uomo alla morte; questa, insieme alla sofferenza, è stata la conseguenza tragica del peccato originale. Dio aveva creato l'essere umano per amore e desiderava instaurare con tale sua creatura un rapporto d'amore. Ma l'amore esige libertà, non può essere né imposto né richiesto con la forza. Per questo Dio, nel creare l’essere umano, l'aveva creato con una volontà libera, perché questa sua creatura potesse decidere se ricambiare o no l'amore del suo Creatore. L'essere umano, però, non accettando la sua condizione di creatura e, quindi, non riconoscendo Dio come suo Creatore, ha desiderato essere come Dio, nutrendo nel suo cuore lo stesso folle, orgoglioso desiderio che aveva condotto il più bello degli angeli, Lucifero (nome che vuol dire “portatore di luce”), a ribellarsi a Dio insieme ad altri angeli che avevano condiviso il suo progetto. E ha ceduto alle lusinghe di Satana, accorgendosi troppo tardi della rovina che aveva attirato su di sé abbandonando Dio. Il ruscello si era staccato dalla sua Sorgente pensando di poter continuare a vivere autonomamente e invece aveva sperimentato la sua tragica realtà.   L'essere umano, staccandosi da Dio, ha fatto esperienza di ciò che non è Dio. Dio è armonia, è perfezione. L'essere umano, separandosi da Dio, ha sperimentato in sé la mancanza dell'armonia, ha sperimentato, cioè, lo squilibrio a tutti i livelli (spirituale, morale, psichico, fisico); tale squilibrio costituisce la sofferenza. Dio è pienezza della vita, è la Vita. L'essere umano, staccandosi dalla Vita, ha fatto esperienza della mancanza della vita; ha sperimentato, cioè, la morte.
    Ma Dio non ha abbandonato questa sua creatura in balia della sua rovina e della sua disperazione. Si è chinato sull'uomo, per prenderlo per mano e riportarlo a casa. Ed ecco lo splendido progetto di salvezza. Dio non poteva eliminare dalla vita dell'essere umano la sofferenza e la morte, poiché esse erano le conseguenze di una scelta libera di questa sua creatura e, come Egli aveva dovuto rispettare la scelta dell'uomo, doveva rispettare anche le conseguenze di tale scelta. Ma è intervenuto dando, attraverso la passione di suo Figlio Gesù, un valore di redenzione e di salvezza alla sofferenza e facendo essere la morte, attraverso la resurrezione di Gesù, non più l'ultima parola della vita dell'uomo, ma la penultima, poiché l'ultima parola è diventata, in Gesù, la resurrezione, come Gesù stesso dice nell'odierno brano di vangelo.
   E qui è preferibile che subentri il silenzio. Il commento fatto di parole deve lasciare il posto alla Parola. Sono splendide le letture di oggi. Lasciamo che parlino al nostro cuore. Ci immergeranno nel cuore di Dio e nell'eternità.


01 Novembre 2019 - Solennità di tutti i Santi


LITURGIA DELLA PAROLA E COMMENTO



LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Ap 7,2-4.9-14

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.


Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».


Salmo Responsoriale Dal Salmo 23

Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.
Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.


Seconda Lettura 1 Gv 3,1-3

Vedremo Dio così come egli è.

Dalla lettera prima lettera di san Giovanni apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.


+ Vangelo Mt 5,1-12a

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.


Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


COMMENTO

    “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,1). Così parla Dio al suo popolo attraverso Mosè.
    “Le nazioni sapranno che io sono il Signore - oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi” (Ez 36,23). E' ancora Dio che parla agli Israeliti per mezzo del profeta Ezechiele.
     La santità: la vocazione fondamentale a cui Dio destina ogni persona che Egli chiama all'esistenza.
    Quanto si è scritto sulla santità! Trattati senza fine, tecniche e metodi spirituali, per “conquistare” la santità, sacrifici immensi anche al limite della disumanità, per arrivare a questo traguardo spirituale, un obiettivo talmente difficile da raggiungere, da scoraggiare spesso i credenti “comuni mortali”, con la conseguenza che tale compito così arduo è stato, per secoli, lasciato agli “addetti ai lavori” (religiosi, religiose, sacerdoti, laici particolarmente impegnati per il Regno di Dio).
    Fortunatamente il concetto di santità nel nostro tempo sta rapidamente cambiando; si sta comprendendo sempre più chiaramente che la santità non è una vetta accessibile solo a pochi “atleti dello spirito”, ma un traguardo per tutti, anzi, il traguardo per eccellenza, a cui ogni persona è chiamata e nel quale ogni persona trova la sua piena realizzazione.
    “...Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme” (Ez 36,26-27). Con tali parole Dio spiega agli Israeliti come Egli “mostrerà alle nazioni la sua santità in loro”.
    “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” dice Gesù ai suoi apostoli durante l'ultima cena (Gv 14,23).
    Da queste frasi possiamo comprendere, allora, che la santità non è tanto e soprattutto una faticosa e ardua conquista del credente, ma l'accoglienza di un dono, il dono che Dio fa di Se stesso, il dono di questo Dio, il quale è totalmente santo e che, donandosi alla persona al momento del battesimo, ne permea ogni fibra, cambiandone la natura, che da semplicemente umana diventa anche divina. Il desiderio di Dio, il suo progetto per ogni persona che Egli crea con amore è quello di divinizzare questa sua creatura infinitamente amata, di rendere ogni essere umano veramente suo figlio, come afferma S. Giovanni apostolo nella seconda lettura. Dio, il Santo, venendo in me, mi permea della sua santità. Dopodiché, ecco la mia collaborazione, il “lavoro” che Dio si attende da me: mettercela tutta, perché Egli possa non solo continuare a vivere in me, ma “crescere”, “espandersi” sempre di più in me, attraverso la mia disponibilità, la mia docilità, la mia adesione totale a Lui. E quel seme di santità, iniziato a vivere dentro di me al momento del battesimo, crescerà, si espanderà, costituendo man mano i diversi livelli di santità.
    “Beati..., beati..., beati...”. Il discorso di Gesù sulle beatitudini viene considerato il discorso fondamentale per la vita di un cristiano. Vivere le beatitudini significa vivere la propria vocazione alla santità.
    Riguardo a tale discorso di Gesù a volte si è insistito troppo sulla beatitudine degli afflitti, dei perseguitati a causa della giustizia e dei perseguitati per il nome di Gesù, come se tali situazioni di sofferenza fossero quasi un “privilegio” per chi li vive, quasi una condizione necessaria, che Dio chiede ai suoi figli, perché essi possano essere “beati”. La beatitudine di cui parla Gesù, invece, non è perché “si è afflitti”, ma perché ci sarà una consolazione, non è perché “si è perseguitati per causa della giustizia”, ma perché c'è “il regno dei cieli” che attende tali perseguitati, non è perché si avranno insulti, persecuzioni e calunnie a causa di Gesù, ma perché “grande sarà la ricompensa nei cieli” per coloro che, per la fedeltà a Gesù, avranno saputo sopportare tali sofferenze.
    “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. I “poveri in spirito” sono, nel linguaggio biblico, gli “anawim”, cioè coloro che hanno la perfetta consapevolezza di essere delle creature, di essere, quindi, imperfetti, fragili, deboli, impotenti di fronte a tante situazioni e che, per tale consapevolezza, sentono il bisogno di Dio, di un rapporto profondo con Lui, dal quale attendono ogni cosa per il loro bene. Potremmo tradurre l'espressione “poveri in spirito” con la parola “umili”. E' negli umili che Dio trova la massima disponibilità, la massima docilità, potendo, quindi, compiere le meraviglie del suo amore. Non è forse nell'essere umano più umile, quella stupenda ragazza di Nazareth, che Dio ha compiuto le sue meraviglie più grandi? Ed è da un cuore umile e grato che è sgorgato l'inno più bello che mai sia stato elevato a Dio: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva” (Lc 1,46-48), un inno esploso gioiosamente nell'anima di quella ragazza, che si era appena sentita dire da Elisabetta: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore  le ha detto” (Lc 1,45). E' la prima beatitudine che troviamo nei Vangeli. E l'ultima è simile alla prima. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” dice Gesù all'incredulo Tommaso (Gv 20,29). E' la beatitudine della fede che racchiude in sé tutte le altre beatitudini.
    Tu, Gesù, durante l'ultima cena hai detto ai tuoi apostoli: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore... Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,2a.3). Anche per me hai preparato un posto per l'eternità accanto a Te, al Padre e allo Spirito Santo. Io lo credo fermamente, Signore. E la beatitudine, fin da adesso, invade il mio cuore.